di don Alfredo Morselli
Il giorno 8 aprile 2013, solennità dell’Annunciazione – per via che il 25 marzo quest’anno cade nella settimana santa – ho fatto un regalo all’Altar maggiore della parrocchietta affidatami dall’Arcivescovo undici anni or sono (San Venanzio Martire di Stiatico): un “set” – mi si perdoni il neologismo non propriamente tradizionalista –, un “set” – dicevo – di carteglorie nuove, trovate su ebay ad un prezzo abbordabile anche per le mie tasche felicemente evergreen.
In questo giorno ho intronizzato le carteglorie nuove (nuove rispetto alle precedenti, ma antiche quanto alla stampa e alla cornice), veramente belle, sul talamo nuziale di ogni sacerdote cattolico: l’Altare.
Che cosa può importare, ai lettori di questo blog, di quel che succede nella bassa tra Bologna e Ferrara? Perché scrivere, su queste pagine che hanno visto passare scritti di teologi e foto di altari maestosi – da far venire, liturgicamente parlando, l’acquolina in bocca –, di un altarino di campagna?
Proverò a darne le ragioni, scusandomi qualora queste non siano fondate come invece io credo.
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Stiatico è il classico paesino della bassa emiliana, dove anche l’erba cresce rossa. La chiesa parrocchiale è poco distante da un club privé e da un lottery palace, una specie di casinò dei poveri.
La percentuale di affluenza alla Messa è… da strapparsi i capelli.
E la condizione degli stabili parrocchiali? Se fosse vera la teoria della reincarnazione, nella vita precedente sarei stato un impresario edile truffaldino, per cui nella vita presente mi toccherebbe, per espiare le malefatte passate, restaurare – rigorosamente senza soldi – edifici fatiscenti.
Quando descrivo ad amici lo stato oggettivo del luogo dove il Signore mi ha posto, scatta il ritornello: “Ah bene, farai sicuramente come il Curato d’Ars, e il paese si convertirà…”
Dopo due o trecento volte che uno si sente ripetere queste parole non è facile controllare la collera, per i seguenti motivi:
A) il Curato d’Ars… come se fosse facile… provateci voi a fare il Curato d’Ars, anche solo per una settimana…
B) il Curato d’Ars, tra le tante cose che faceva, digiunava e mangiava male, cosa che è impossibile a Stiatico.
Dovete sapere che a Stiatico mettono i maialini nel presepe vicino alle pecorelle… non scherzo. Quando sono andato in giro per le case di campagna per la prima benedizione delle stalle, me ne sono ritornato a casa con la borsa delle offerte piena di salami e un tale fila di salcicce, che, se me le fossi messe al collo, avrebbero fatto più figura di una stola papale!
E, all’uscita della Messa, di che cosa discutono gli uomini? Le quaestiones disputatae riguardano spesso il modo di conciare i salumi: percentuali di sale, pepe, grado di macinatura… roba da fare impallidire la controversia de auxiliis.
Insomma, quanto al digiuno, Stiatico è quello che i moralisti chiamano occasione prossima di peccato… A Stiatico non digiunerebbe neppure Ghandi, per cui il capitolo Curato d’Ars è chiuso in partenza.
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Funes ceciderunt mihi in praeclaris (la sorte è caduta per me su luoghi deliziosi, Ps 15,6), mi son detto, non appena ho sentito il Vescovo che mi indicava, undici anni or sono, la nuova destinazione del mio ministero; e già mentre uscivo dalla porta del suo ufficio pensavo a come realizzare colà la mia vocazione.
Qual è la mia vocazione? “Voce di uno che grida nel deserto: Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto”: anche se allora Benedetto XVI non aveva ancora scritto quanto appena citato, di fatto lo vivevo già, ancor prima dell’indulto di Giovanni Paolo II.
Immaginatevi di quali successi è costellata la mia carriera ecclesiastica, con certe idee scolpite nel cuore. Tante volte mi ero anche arrabbiato un po’ con il Signore, dicendogli: “Basta, Signore; io difendo la Vostra Messa, e Voi permettete tutto questo nella mia vita: adesso per la Messa in latino Vi cercate un altro. Io mi faccio dare una bella parrocchia, con tutti i confort. Vendo l’anima alle chitarre, perché non ne posso più”.
Ma il Signore fa certi scherzi… Come scrive il Santo Profeta Geremia:
Così la parola del Signore è diventata per me motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno. Mi dicevo: "Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!". Ma nel mio cuore c`era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.
E così, mente scendevo le scale della curia vescovile, già pensavo a come implementare a Stiatico la S. Messa di sempre, release Messale 1962.
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Chissà quante opposizioni, voi direte? Eh no; sono abituato sempre a vedere il bicchiere mezzo pieno; nessuna opposizione all’Antica liturgia, per un semplice motivo: alla S. Messa feriale a Stiatico non veniva nessuno (N.B. nessuno con la lettera minuscola, non Ulisse nella grotta di Polifemo, proprio nessuno nessuno).
Anche qui non mi sono mancati i ritornelli consolatori: “Alla S. Messa è presente tutta la Chiesa trionfante, gli Angeli, i Santi…” Mai avuto dubbi sull’argomento, però, verso il quinto-sesto anno si comincia a sentire un po’di disagio.
Non è però che sia stato proprio sempre solo; in estate mi erano compagne le zanzare. Le zanzare di Stiatico sono della varietà detta Apache: depongono le uova nelle lattine di Red Bull, al posto del pungiglione hanno un missile aria-aria di ultima generazione, e si fanno le canne con lo zampirone. Ho provato a dir loro “Sorelle zanzare, non pungetemi durante la Messa…” ma oltre a non essere il Curato d’Ars, non sono neppure San Francesco… sempre per via del digiuno mancato.
In questi primi cinque-sei anni ho avuto due aiuti decisivi: una frase di San Paolo della Croce, O fede oscura, strada sicura, del santo amore, e un aureo libretto del servo di Dio P. Ignazio Franchi d’O. Si tratta di L’amore al proprio disprezzo. Il buon oratoriano scrive un capitoletto per ogni disagio o disprezzo che si può ricevere in questa vita, e dimostra, con ferrea logica, che questo è ampiamente meritato e che non c’è motivo di lamentarsi.
Ebbene, in uno di questi capitoletti, il pio autore scrive: “Perché ti lamenti della solitudine? Non hai forse lasciato solo tante volte Gesù nel tabernacolo? E non ti meriti per questo di essere abbandonato anche tu e di non avere nessuno che ti faccia compagnia?” Touché. Niente da obiettare… niente da lamentarsi, al lavoro! Senza perder tempo in inutili ripiegamenti su se stessi.
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“…La gioventù cattolica in cammino, la sua forza è lo spirito divino…” Quale tradizionalista non ricorda con nostalgia questa bella canzone dei giovani dell’Azione Cattolica dei tempi di Pio XII!
Io non ho mai visto, per motivi anagrafici, le schiere allineate di questi giovani; però, a un certo punto del mio ministero a Stiatico, la chiesetta si è popolata di tre anziane signore, la gioventù cattolica di un tempo.
Ero così abituato al silenzio, che un giorno, mentre una sussurrava sottovoce alla sua vicina “Passami il libretto della Messa”, mi sono istintivamente girato a dir loro: “Cos’è questa confusione?”.
Sono tre signore carissime, che mi curano la chiesa in modo straordinario.
I primi tempi, non ancora abituate all’antico rito, mi rispondevano Deo gratias ad ogni pausa: io provavo delicatamente a spiegar loro che Deo gratias si dice solo alla fine dell’epistola, quando il sacerdote fa segno toccando l’altare con la mano. Niente da fare: dovevo leggere tutto di un fiato, altrimenti a metà epistola, metà vangelo, metà prefazio, immancabile, qualcuna di loro rispondeva Deo gratias.
Che soddisfazione, un mese fa circa, nel tempo di Passione, quando, sovrappensiero, mi ero sbagliato e avevo iniziato a recitare il salmo iudica me Deus… Una di queste mi ha corretto, ha detto forte No.
Negli ultimi anni non sono mancate anche altre consolazioni; qualche Messa solenne nelle feste principali, la gente che si comunica volentieri in ginocchio, i normalissimi giovani di parrocchia che servono occasionalmente la Messa cantata… e, tra queste piccole soddisfazioni, l’arrivo delle carteglorie nuove, proprio il giorno della festa liturgica dell’Annunciazione.
È la Vergine santissima che, servendosi di una coincidenza, mi strizza l’occhio e mi dice di continuare? Un raggio dell’Aurora che dà le prime avvisaglie della fine della notte e dell’inizio del giorno? Io ci credo!
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Cari fratelli, ho raccontato un piccolo episodio della storia di un piccolo paesino perché, in tutte le opere di Dio, per una grande vittoria esterna e visibile ci vogliono tante piccole vittorie nascoste; anche la battaglia per la liturgia passa per i sacrifici di tutti noi. Io continuo a offrire per la piena riappacificazione tra Roma e la FSSPX: ce la faremo!
Grazie, commovente e splendido.
RispondiEliminaGrazie Don Morselli!
RispondiEliminaMolto simpatico! :)
Giacomo
Tu tutta la mia stima, la mia vicinanza e la mia preghiera. Spero un giorno di poter andare a visitare quella bella chiesetta.
RispondiEliminaUn racconto che scivola volentieri nella lettura: fa molto sorridere (scritto davvero in modo brillante), fa pure pensare...ed in definitiva fa pregare! Forza don Alfredo!
RispondiEliminaLuigi Moscardò