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domenica 28 ottobre 2012

L'eredità di don Didimo. E i giovani della Chiesa

Il cattolicesimo, oggi, sembra una religione per vecchi. Si entra in chiesa la domenica, e l’età media fa spavento: a quarant’anni, con molti capelli bianchi, ci si sente un ragazzino. La vecchietta a fianco ti guarda, sorridendo. Si capisce che è contenta di vedere “un giovane”.
Vecchia, la Chiesa, oggi, anche per il linguaggio, per le proposte di molti sacerdoti, catechisti… “Indietro di duecento anni”? No, non è questo che intendo. Direi il contrario: la chiesa invecchia quando vuole stare al passo con i tempi. Perché sono i tempi che sono vecchissimi. E’ questa Europa nichilista che è stanchissima, sterile, e mette tristezza.
Ma poi uno va a Bassano del Grappa, un paese del Veneto che fu bianco, ed incontra una realtà di cui non sapeva nulla, e che dà speranza. Mi riferisco al “Comune dei giovani”, alla “Scuola di cultura cattolica”, a tutte le attività suscitate, oltre cinquant’anni fa, da un sacerdote di nome Didimo.
A Bassano si incontrano giovani veri, 20-25, 30 anni, che amano la Chiesa; che si impegnano nello sport, nel sociale, nella cultura… con uno sguardo bello, pulito, fiero e sereno. “Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam”: così si diceva nella messa latina, a 10, 20, 60 o 70 anni. La fede è una esperienza che mantiene giovani. E’ infatti fiducia, speranza, carità: è la giovinezza del pudore, del rispetto, del timor di Dio, dell’amore del prossimo, della curiosità… Chi vive in un certo modo, invecchia, presto; chi vive in un altro, invecchia solo nel senso migliore della parola. Diventa più saggio, più equilibrato, più costante.
Ebbene, questi giovani di Bassano, cosa fanno poi di particolare? Sono organizzati come una vera città dei giovani: hanno il loro sindaco, i loro ministri (quello alla cultura, quello allo sport…tutti con carica annuale); hanno la loro squadre, di calcio, di pallavolo, i loro momenti formativi, e la fierezza di appartenere ad una storia forte.
Mi immergo, curioso, dopo averli conosciuti, ne “Il volto più vero” (Lindau), diario bellissimo del loro fondatore: don Didimo Mantiero. E’ la storia di un prete di formazione preconciliare, con la sua lunga tonaca nera; un prete che parla di sua madre come di una santa, piena di carità; che la ricorda con venerazione, e che nei momenti di difficoltà va ripetendosi una frase di lei: “nelle cose che riguardano te solo, cedi sempre”; un prete che ha momenti di difficoltà, con i suoi superiori, con i suoi confratelli, ma che crede e spera, e ama il destino immortale dei suoi parrocchiani e dei suoi giovani.
Leggere don Didimo significa buttarsi a capofitto nel Veneto bianco di san Pio X o di papa Luciani: come insegnante, a scuola, accetta il confronto, sul piano della ragione, con l’insegnante ateo che gli fa la guerra; come parroco, pensa ai suoi poveri, ama stare con i giovani, li accompagna nello sport e nella esuberanza giovanile, e nello stesso tempo li istruisce nel catechismo e li invita alla responsabilità personale, di fronte a Dio e alla storia.
Nei giovani don Didimo vede quello che è, effettivamente, il loro pregio: essere ardenti, desiderosi di verità, di cose grandi… Oggi, nel mondo delle parrocchie, si ritiene spesso che i giovani debbano fare cartelloni e attività ludiche, tutta la vita, quasi fossero degli sciocchi… invece già i bambini hanno un senso religioso profondo, hanno domande grandi e cercano risposte chiare. Poi, magari, con il tempo diverranno più cinici, più egoisti. “Nessuno è tanto pronto, scriveva don Didimo, a vedere, a capire la Verità, quanto un giovane, solo che lo si conduca fino alle sue sponde”; “i giovani, gli adolescenti sono molto facili ad apprendere la Verità e se ne mostrano poi disponibili. Ma è la Verità che vogliono e non cartaccia”; “il giovane aderisce volentieri alle idee chiare, semplici, vive e vitali. Rifugge invece ciò che è complesso, farraginoso, pesante…”.
Quali idee sono vere e nello stesso semplici? La modernità del ‘68 ha nutrito i giovani di idee semplicistiche, ideologiche e false… Vere, semplici sono solo le idee evangeliche. Per don Didimo ai giovani bisogna comunicarle attraverso l’insegnamento del catechismo, che è, in quegli anni, quello chiaro e sintetico di Pio X: “il catechismo è la scienza di Dio, la sola necessaria per salvare l’anima…il catechismo è dono di Verità… quando in una parrocchia il catechismo ai fanciulli e agli adolescenti funziona bene, tutte le cose vanno bene”.
I giovani di don Didimo lo amano, e sono da lui amati; lo seguono anche oggi, in tantissimi, dopo anni dalla morte. E non si vergognano di continuare la sua opera più cara, “la Dieci”: un’idea nata dal brano biblico di Sodoma e Gomorra. Dio salva il suo popolo solo che vi trovi dieci giusti, dieci che pregano, che si sacrificano per gli altri, per la salvezza delle anime. Ecco: “salvezza delle anime”. Sta tutta qui la giovinezza del messaggio di don Didimo. Quando da salvare c’è un’anima immortale, un popolo…allora i giovani si danno. Se li riempiamo di etica civile, anche in chiesa, e di moralismo laico, allora se ne vanno…a ragione.

(Francesco Agnoli, Il Foglio, 26 ottobre 2012)