Testo integrale dell'intervista rilasciata da don Franz Schmidberger, Superiore del Distretto tedesco della Fraternità San Pio X e già Superiore generale, il 18 settembre 2012, al sito
Domanda: Non si sente più parlare tanto degli scambi tra la Fraternità San Pio X e Roma. Il Capitolo Generale di Ecône è l’ultimo avvenimento per importanza di data. Lei vi ha partecipato come Superiore del Distretto. Come giudica l’impatto che esso ha avuto sia all’interno sia all’esterno della Fraternità?
Don Schmidberger: Innanzi tutto, questo Capitolo Generale ha rafforzato l’unità nelle nostre fila, unità che in questi ultimi mesi aveva un po’ sofferto. Il fatto che abbiamo potuto trovare un terreno d’intesa, io lo considero una grande grazia. Questo ci aiuterà a continuare la nostra opera per la Chiesa, con una forza e una determinazione rinnovate. A mio avviso, è questo l’effetto interno. All’esterno, penso che potremmo concentrarci su quegli elementi importanti che noi dobbiamo assolutamente richiedere a Roma nel caso di una normalizzazione. Questi elementi possono essere formulati in tre punti: prima di tutto, che ci sia permesso di continuare a denunciare certi errori del concilio Vaticano II, cioè di parlarne apertamente; secondo, che ci sia accordato di utilizzare solo i libri liturgici del 1962, in particolare il Messale; terzo, che nei ranghi della Fraternità si abbia sempre un vescovo scelto al suo interno.
Domanda: Intorno alla Pentecoste, sembrava che un riconoscimento canonico fosse imminente. Oggi sembra che ci si trovi ben lontati da tale soluzione. Cos’è accaduto nelle ultime settimane? Quando e come è sopraggiunto questo cambiamento?
Don Schmidberger: Questo cambiamento è sopraggiunto il 13 giugno a Roma, in occasione dell’incontro tra il nostro Superiore generale, Mons. Fellay, e il cardinale Levada, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Quel giorno, il cardinale Levada ha presentato a Mons. Fellay un nuovo documento dottrinale che, da un lato accettava il testo proposto da Mons. Fellay, ma dall’altro conteneva dei cambiamenti significativi che ci pongono un vero problema, e questo ha creato una siruazione interamente nuova.
Domanda: Corre voce di una lettera che il Papa avrebbe scritto personalmente al Superiore generale.
Don Schmidberger: Innanzi tutto, questo Capitolo Generale ha rafforzato l’unità nelle nostre fila, unità che in questi ultimi mesi aveva un po’ sofferto. Il fatto che abbiamo potuto trovare un terreno d’intesa, io lo considero una grande grazia. Questo ci aiuterà a continuare la nostra opera per la Chiesa, con una forza e una determinazione rinnovate. A mio avviso, è questo l’effetto interno. All’esterno, penso che potremmo concentrarci su quegli elementi importanti che noi dobbiamo assolutamente richiedere a Roma nel caso di una normalizzazione. Questi elementi possono essere formulati in tre punti: prima di tutto, che ci sia permesso di continuare a denunciare certi errori del concilio Vaticano II, cioè di parlarne apertamente; secondo, che ci sia accordato di utilizzare solo i libri liturgici del 1962, in particolare il Messale; terzo, che nei ranghi della Fraternità si abbia sempre un vescovo scelto al suo interno.
Domanda: Intorno alla Pentecoste, sembrava che un riconoscimento canonico fosse imminente. Oggi sembra che ci si trovi ben lontati da tale soluzione. Cos’è accaduto nelle ultime settimane? Quando e come è sopraggiunto questo cambiamento?
Don Schmidberger: Questo cambiamento è sopraggiunto il 13 giugno a Roma, in occasione dell’incontro tra il nostro Superiore generale, Mons. Fellay, e il cardinale Levada, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Quel giorno, il cardinale Levada ha presentato a Mons. Fellay un nuovo documento dottrinale che, da un lato accettava il testo proposto da Mons. Fellay, ma dall’altro conteneva dei cambiamenti significativi che ci pongono un vero problema, e questo ha creato una siruazione interamente nuova.
Domanda: Corre voce di una lettera che il Papa avrebbe scritto personalmente al Superiore generale.
Don Schmidberger: Questa lettera è molto probabilmente la risposta ad una domanda che noi abbiamo fatto al Papa, ove volevamo sapere se le nuove richieste erano state realmente aggiunte con la sua approvazione, se venivano veramente da lui o da alcuni dei suoi collaboratori. Egli ci ha assicurato che era suo desiderio che noi accettassimo tali nuove richieste.
Domanda: E quali sono tali nuove richieste del 13 giugno?
Don Schmidberger: In particolare, ci è stato chiesto che noi riconoscessimo la liceità della nuova liturgia. Io credo che con questo si intenda la leggittimità della nuova liturgia. Del pari, che fosse possibile proseguire i colloqui su certe sfumature del concilio Vaticano II, ma che insieme noi fossimo pronti ad accettare molto semplicemente la sua continuità, cioè a considerare il concilio Vaticano II nella linea ininterrotta degli altri concilii ed insegnamenti della Chiesa. E questo costituisce un problema. Nel concilio Vaticano II vi sono delle incoerenze che non possono essere negate. Non possiamo riconoscere una simile ermeneutica della continuità.
Domanda: Quale sarà la reazione della Fraternità di fronte a queste nuove richieste inaccettabili?
Don Schmidberger: Io penso che diremo alle autorità romane che difficilmente noi potremo accettarle e che bisognerà abbandonarle se si desidera veramente una normalizzazione. Nel corso dei colloqui che si sono svolti da ottobre 2009 ad aprile 2011, è apparso evidente che vi sono dei punti di vista molto diversi sul concilio Vaticano II, su certi testi del Concilio e sul magistero post-conciliare. Tutti hanno riconosciuto che non sarà facile trovare un accordo tra le vedute del magistero post-conciliare e quelle che noi sosteniamo, con i papi del XIX secolo e gli insegnamenti costanti della Chiesa. Io penso che fino a quando queste ferite non saranno curate con il rimedio adeguato, che consiste nel parlare apertamente di quei punti che sono in contraddizione, non si avrà alcuna reale soluzione alla crisi nella Chiesa.
Domanda: Mons. Müller è stato nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Si conosce la sua antipatia nei confronti della Fraternità. Hanno un peso anche le sue opinioni molto discutibili su certe questioni dogmatiche. Qual è la posizione che egli assume nel quadro dei negoziati tra la Fraternità e Roma?
Don Schmidberger: Io penso che diremo alle autorità romane che difficilmente noi potremo accettarle e che bisognerà abbandonarle se si desidera veramente una normalizzazione. Nel corso dei colloqui che si sono svolti da ottobre 2009 ad aprile 2011, è apparso evidente che vi sono dei punti di vista molto diversi sul concilio Vaticano II, su certi testi del Concilio e sul magistero post-conciliare. Tutti hanno riconosciuto che non sarà facile trovare un accordo tra le vedute del magistero post-conciliare e quelle che noi sosteniamo, con i papi del XIX secolo e gli insegnamenti costanti della Chiesa. Io penso che fino a quando queste ferite non saranno curate con il rimedio adeguato, che consiste nel parlare apertamente di quei punti che sono in contraddizione, non si avrà alcuna reale soluzione alla crisi nella Chiesa.
Domanda: Mons. Müller è stato nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Si conosce la sua antipatia nei confronti della Fraternità. Hanno un peso anche le sue opinioni molto discutibili su certe questioni dogmatiche. Qual è la posizione che egli assume nel quadro dei negoziati tra la Fraternità e Roma?
Don Schmidberger: In effetti, Mons. Müller è stato nominato recentemente Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Questo fa di lu, dopo il Papa, l’uomo che ha la responsabilità finale di questi negoziati. Certo, noi siamo direttamente in contatto con Mons. Di Noia, designato personalmente dal Papa, forse per controbilanciare la posizione costantemente ostile che Mons. Müller ha manifestato nei nostri confronti. Ma quello che trovo molto più problematico, sono i suoi insegnamenti eterodossi su certe questioni importanti come la transustanziazione, il cambiamento della sostanza che si effettua durante la Messa, che fa che il pane e il vino divengano il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. A questo egli sostituisce più o meno ciò che si chiama «transfinalizzazione», che significa che il pane e il vino ricevono una nuova finalità. E questo lo si può leggere nei suoi lavori dogmatici.
Un altro esempio: egli non afferma chiaramente che la consacrazione si produce esattamente attraverso le parole pronunciate dal sacerdote. Per ciò che riguarda la mariologia, non sembra avere un’idea molto chiara della verginità ininterrotta della Madonna o, in ogni caso, è questo che risulta quando si leggono i suoi scritti. Si può affermare, invece, che talvolta egli si separa dalla dottrina che la Chiesa ha sempre creduta o, al meglio, che egli permette una certa ambiguità. E in effetti, questo è molto grave e molto deplorevole, perché il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dev’essere il supremo guardiano della fede, il guardiano della purezza della fede, della sua integrità, della sua verginità. Egli deve anche trasmettere questa fede ai fedeli, in tutta la sua bellezza, la sua profondità, la sua grandezza. Non si dovrebbe mai avere il minimo dubbio, né la minima ambiguità, su ciò che la Chiesa ha sempre creduto e predicato.
Domanda: Da un lato si esige continuamente che la Fraternità riconosca il papato, cosa che non è mai stata un problema, insieme alla continuità dell’insegnamento dottrinale. Dall’altro, in nome dell’ecumenismo, si invitano i protestanti nelle chiese, senza la minima condizione, quando invece il protestantesimo rigetta in blocco il papato. Quale commento può fare su questa situazione?
Domanda: Da un lato si esige continuamente che la Fraternità riconosca il papato, cosa che non è mai stata un problema, insieme alla continuità dell’insegnamento dottrinale. Dall’altro, in nome dell’ecumenismo, si invitano i protestanti nelle chiese, senza la minima condizione, quando invece il protestantesimo rigetta in blocco il papato. Quale commento può fare su questa situazione?
Don Schmidberger: Certamente, qui vi è una contraddizione. Si pratica l’ecumenismo con delle persone che negano il dogma cattolico, negano il papato e già in partenza hanno una posizione totalmente diversa.
Noi accettiamo la totalità della dottrina cattolica, la totalità della fede cattolica. Noi saremmo felici di firmare col nostro sangue il Credo, la fede della nostra Chiesa. E ci si accusa di non eccettare questo o quello… I protestanti accettano il Vaticano II? Ecco la domanda che si dovrebbe porre. Se oggi ciascuno può fare ciò che vuole in materia di liturgia, perché non permettere in maniera generale la liturgia antica?
Certo, col papato attuale si è avuta una nuova apertura, e noi ringraziamo Dio perché col Motu Proprio del 2007 questo si è realizzato. Ma adesso, per esempio, è stato nominato un nuovo Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Mons. Roch, venuto dall’Inghilterra, di cui si sa tuttavia che è un avversario del Motu Proprio e che ha tentato di tutto per ostacolare la Messa antica nella sua diocesi, invece di incoraggiarla. Fatti di questo genere sono molto strani.
Domanda: Come pensa che Roma reagirà se la Fraternità risponderà negativamente su questi due punti (liceità della nuova Messa e continuità della dottrina), affermando che col Vaticano II vi è stato un cambiamento? Condiderando la peggiore delle possibilità: pensa che possa essere possibile una nuova scomunica?
Domanda: Come pensa che Roma reagirà se la Fraternità risponderà negativamente su questi due punti (liceità della nuova Messa e continuità della dottrina), affermando che col Vaticano II vi è stato un cambiamento? Condiderando la peggiore delle possibilità: pensa che possa essere possibile una nuova scomunica?
Don Schmidberger: Personalmente, non lo penso. Dal momento che è stato il Papa stesso, nel 2009, a rimettere la scomunica che gravava sui quattro vescovi della Fraternità, la cosa passerebbe come una mancanza di coerenza nel suo pensiero e nei suoi atti. Questo veramente non giuocherebbe a favore della Chiesa. Bisogna anche ricordarsi che la Fraternità non è semplicemente una comunità di 560 o 570 sacerdoti, di un po’ di suore e frati ed anche di alcune scuole. Essa ha anche un’influenza molto estesa e – questo è forse un po’ sfacciato dirlo, ma io lo penso - ed è in un certo modo la spina dorsale, il punto di riferimento di tutti coloro che sostengono la Tradizione nella Chiesa. Se questo punto di riferimento fosse screditato in tal modo, si avrebbe per effetto uno scoraggiamento di un’ampiezza senza pari di tutte le forze restauratrici e conservatrici nella Chiesa. Sarebbe una catastrofe. Non tanto per la Fraternità, quanto per la Chiesa. Io vedo la cosa come un danno enorme.
Domanda: Vi sono anche alcune critiche da parte di certuni che dicono che i negoziati si sono arenati a causa della testardaggine e della rigidità della Fraternità. Altri mettono in questione i colloqui in se, dicendo «Non servono a niente in ogni caso. Perché darsi la pena di discutere con Roma?». Ecco allora la nostra ultima domanda: Questi colloqui hanno condotto a qualcosa?
Don Schmidberger: Essi sono stati di una grande utilità. A mio avviso, hanno dimostrato che noi abbiamo interesse ad una normalizzazione della siuazione, che consideriamo la nostra situazione come il risultato della crisi nella Chiesa e che si tratta di una situazione anormale. Noi abbiamo dimostrato che questo ci porta ad aspirare ad una regolarizzazione, ma anche che questa situazione non è colpa nostra. E vogliamo veramente insistere su questo punto.
A causa dello stato attuale, questo è necessario, se si vuole conservare l’antica dottrina, l’antica liturgia, l’antica disciplina della Chiesa nella loro integralità e se si vuole vivere una vita da cattolici nutrendosi di questa ricchezza. Questo è un primo punto.
Per altro verso, i colloqui hanno dimostrato che aderiamo a Roma, che anche noi riconosciamo il Papa, cosa che è scontata ai nostri occhi. Per altro ancora, i colloqui hanno messo in evidenza l’esistenza di differenze dottrinali e che queste differenze non risalgono a noi, ma – si è costretti sfortunatamente a dirlo – le si ritrova dalla parte degli attuali rappresentanti ufficiali della Chiesa, che organizzano le riunioni di Assisi e praticano ciò che è stato condannato dalla Chiesa, dai papi e dai concilii passati. E tutto questo viene fatto in maniera esplicita! E questo e il secondo punto.
I colloqui hanno avuto una terza utilità. Essi hanno evidenziato una certa debolezza nei nostri ranghi. Dobbiamo avere l’umiltà di ammetterlo. Abbiamo quindi sperimentato un processo di chiarificazione anche all’interno. Noi non siamo d’accordo con quelli che rifiutano ogni discussione con Roma. Io presenterei le cose così: la Fraternità non ha mai lavorato per se stessa, essa non è mai stata fine a se stessa, al contrario essa ha sempre voluto servire la Chiesa, servire i papi.
È quello che Mons. Lefebvre ci ha sempre detto. Noi vogliamo essere a disposizione dei vescovi, del Papa, noi vogliamo servirli e vogliamo aiutarli a far uscire la Chiesa dalla sua crisi, affinché essa si rinnovi in tutta la sua bellezza, in tutta la sua santità. Ma chiaramente, questo può prodursi solo a condizione che non vi sia alcun compromesso, alcun falso compromesso. Questo è della massima importanza ai nostri occhi. In effetti, noi abbiamo cercato di ristabilire ufficialmente – ed è tutto quello che vogliamo – questo tesoro nella Chiesa, di rendergli i suoi diritti e forse in qualche misura ci siamo riusciti.
Grazie a questi colloqui dottrinali, la Fraternità ha contribuito a dare impulso ad un nuovo moto di riflessione sul Vaticano II e certe sue dichiarazioni.Fonte:
Traduzione di DICI n° 261 del 28.9.2012