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martedì 4 settembre 2012

"A proposito di Martini", di Costanza Miriano

A proposito di Martini
di Costanza Miriano, dal suo blog




Sono molto sollevata dal fatto di non essere Papa. Non tanto perché il bianco non mi dona (e credo che anche andare a correre in pantaloncini sarebbe un po’ più complicato), né per la quantità enorme di lavoro che mi toccherebbe. Soprattutto credo che sia un peso gigantesco la responsabilità. Essere la pietra sulla quale si fonda qualcosa su cui le porte degli inferi proveranno a prevalere deve davvero far tremare le ginocchia, anche se si confida umilmente nella grazia.

Dà un tale sollievo, invece, obbedire, sapere che su certe cose c’è chi sa, conosce, giudica, con sapienza e carità. È così bello sapere che c’è un pastore che su certe cose ci indirizza con sicurezza.

Non tocca a noi, ma solo al Papa dire cosa sia o non sia cattolico, chi è dentro e chi è fuori dall’ortodossia. Io poi davvero non sono in grado di farlo, sono troppo poco colta e sapiente e caritatevole.

Era questo che pensavo ieri alla messa, quando il mio parroco ha fatto leggere l’omelia di Scola per il funerale del cardinal Martini, e mi suonavano nelle orecchie le tante parole critiche nei suoi confronti lette in questi giorni, anche da credenti (personalmente del parere e della simpatia dei non credenti non me ne potrebbe importare di meno).

Io ho letto poche cose del cardinale, probabilmente le più semplici, quelle che scriveva a fini pastorali, ma so che dietro a quelle c’era un uomo di smisurata cultura, un biblista sopraffino. Quello che ho letto, dico la verità, difficilmente mi ha colpito in modo particolare. Le cose scritte su di lui sui giornali, e quelle scritte da lui per i giornali, invece, non mi piacevano proprio per niente (e qui ci sarebbe una lunga parentesi sui media, e anche sulla strumentalizzazione del cardinale che secondo me è stata fatta, con l’aggravante dell’età avanzata, che naturalmente aveva fatto perdere un minimo di lucidità). Quanto alla prefazione scritta da Martini per il libro di Mancuso, mi ricordo che avevo trovato stupefacente che il nome di un cardinale figurasse in un libro tanto brutto e tanto diverso dalla dottrina che avevo studiato a catechismo (l’ho espulso dalla mia pur accogliente libreria, che pure tollera paziente anche tanta spazzatura: questo l’ho buttato nel cassonetto). Devo dire però che un amico mi ha spiegato che quella prefazione sarebbe stata semplicemente una lettera destinata all’autore, e non scritta per la pubblicazione. Sarei contenta se fosse così.

Detto questo, io penso che la grandezza della Chiesa cattolica che per sua definizione è per tutti, cattolica appunto, stia anche in questo suo essere capace di esaltare, accogliere e rispondere a tutte le esigenze e le coloriture e le sensibilità dell’animo umano. Io non sono una “martiniana”, non è quella la mia coloritura spirituale. Non per questo mi sogno di giudicare un mio pastore. I sacerdoti non si giudicano mai, sono figli prediletti, tanto meno i cardinali. Posso certo dire che le poche cose che ho letto di lui non mi entusiasmano, ma so che ce ne sono molte altre che non conosco, altre che non posso neanche capire, e mi fido invece di cari, sapienti amici che lo stimavano molto, e che non possono essersi sbagliati in modo tanto grossolano.

Nella Chiesa ci deve essere chi tende al dialogo, chi all’identità. La sistole e la diastole sono entrambi necessari per far pompare il cuore, e la Chiesa è il cuore del mondo. Martini era quello del dialogo (oltre a molte altre cose). I cosiddetti tradizionalisti sono quelli dell’identità.

Ammetto che forse per la mia storia, anche il mio carattere, per la mia inclinazione, mi sento più vicina al richiamo alla tradizione, ma credo che la Chiesa abbia bisogno di tutti. Capisco anche benissimo che l’intento che ha mosso certe critiche possa essere stato quello di dare un contributo onesto e leale alla causa di una Chiesa che a forza di cercare il dialogo rischia di perdersi. Solo, come dice un amico sacerdote, dovremmo cominciare a pensare che siamo una squadra, una grande squadra. Siamo in missione per conto di Dio, ma noi davvero, non come i Blues Brothers, e c’è bisogno di tutti, anche perché il mistero del Dio Trinità è talmente immenso che nessuno di noi riesce a contemplarlo e a viverlo incarnando tutte le sconfinate possibili forme di spiritualità.

Perdonerete la mia semplicità, scrivo queste righe di getto, con un mucchio di panni da stirare che mi guardano torvi, e il tema meriterebbe un’altra dedizione, ma mi sembrava il giorno giusto.

Il male lo vediamo tutti, c’è, c’è nel mondo, e c’è nelle persone, anche cattoliche, ovviamente. Il problema è che c’è anche dentro di noi. Noi per comodità a volte vogliamo attribuire a qualcuno questo male, per dargli un posto, un nome, per metterlo fuori di noi, per non vedere che il male è impastato anche con la nostra carne (nulla è nell’uomo, nulla senza colpa), e allora a volte ci sentiamo nemici di qualcuno. Ma Dio non può mai essere contro un uomo, e se ci mettiamo contro qualcuno ci mettiamo contro Dio, mentre se stiamo umilmente e senza giudicare a fianco degli altri, Dio combatte per noi. Poi lui giudicherà.

Costanza Miriano