Roberto de Mattei
recensisce il libro di Cristina Siccardi
Su Fatima si è scritto molto ed è giusto che ancora molto si scriva. Si illuderebbe infatti ‒ come ha detto Benedetto XVI il 10 maggio 2007, in visita presso il santuario
portoghese ‒ che la missione profetica di Fatima sia conclusa. Non c’è dubbio che un alone di mistero avvolga questa missione, ma l’interesse per il “non dettoˮ di Fatima non deve farci dimenticare l’enorme importanza del “già detto.
Il primo merito del bel libro appena uscito di Cristina Siccardi (Fatima e la Passione della Chiesa, Sugarco, Milano 2012, pp. 256, € 18.80) è proprio quello di aver resistito alla tentazione del sensazionalismo per affrontare il cuore della questione: la Passione della Chiesa. Fatima non è un “thrillerˮ, ma una rivelazione privata e bene fa l’autrice a sospendere il giudizio su alcuni inquietanti interrogativi che riguardano il Terzo Segreto. Di certo ‒ come ella scrive ‒ le apparizioni di Fatima, a differenza di molte altre, sono state ufficialmente riconosciute dalla Chiesa.
Altrettanto vero è che la Passione di cui oggi soffre la Chiesa è ad esse correlata. In questa prospettiva la storica piemontese collega Fatima ad altre profezie, meno note ma tutte impressionanti: l’apparizione della Madonna a La Salette e le visioni e locuzioni di Elisabetta Canori Mora (1774-1825) e Caterina Emmerick (1774-1825), due mistiche beatificate dalla Chiesa, che previdero la crisi della fede, già latente, ma esplosa dopo il Concilio Vaticano II. Il contributo più originale di questo libro è però la scoperta della stupefacente profezia custodita nell’archivio di un monastero domenicano di Alba (Cuneo), fondato dalla beata Margherita di Savoia (1390- 1464).
In quel luogo, il 16 ottobre 1454, una monaca in punto di morte, preannunziò alle consorelle che la Madonna sarebbe apparsa a Fatima in Portogallo. La suora, Filippina de’ Storgi, era la figlia di Filippo II di Savoia-Acaia e ignorava che il padre, fatto annegare nel lago di Avigliana, era invece miracolosamente scampato alla morte e si era recato pellegrino proprio a Fatima, un luogo che prendeva nome da una chiesa fatta costruire da Mafalda di Savoia (1125-1157), sposa del primo re lusitano dom Alfonso Henriques (1128-1185). A questa regina si doveva la conversione di una giovane musulmana, Fatima, fatta prigioniera dai cavalieri cristiani che combattevano l’islam in Portogallo.
Mafalda la istruì nella vera religione e volle essere sepolta accanto a lei. Da qui il villaggio portoghese prese il nome di Fatima, che dal XIII secolo si intreccia con quello di Casa Savoia, una dinastia che, nello spazio di mille anni, ha dato cinque beati e cinque venerabili alla Chiesa e ha custodito la Sindone, la reliquia più preziosa della cristianità. Proprio in Portogallo ha concluso la sua vita l’ultimo re d’Italia, Umberto II di Savoia, espiando in esilio le colpe di cui la sua casata si era macchiata nel Risorgimento.
Cristina Siccardi, biografa di tante belle figure di Casa Savoia, ha approfondito l’argomento, risalendo alle fonti e ci fa sapere, dalle voci dei testimoni, che suor Filippina, morendo, «parlava de’ futuri eventi, prosperi e funesti della Casata Sabauda, fino a un tempo non preciso di terribili guerre, dell’hesilio di Umberto di Savoia in Lusitania, di un certo mostro d’Horiente, tribulatione dell’Humanità, ma che sarebbe ucciso dalla Madonna del S. Rosario de Phatima, se tutti li huomini l’havessero invocata con penitentia grande» (pag. 53).
Mancano solo 5 anni al primo centenario delle apparizioni, avvenute tra i mesi di maggio e di ottobre del 1917 e Fatima è una profezia ancora incompiuta, ma straordinariamente attuale. Facciamo nostre le parole di Cristina Siccardi: «Quando, finalmente e con umiltà, si sarà compreso che per salvare la Chiesa e il mondo la Madonna deve essere presa in parola, il suo Cuore Immacolato trionferà. Ma quale prezzo dovremo pagare per l’inerzia di questi decenni?» (p. 22). (Roberto de Mattei)
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