Riportiamo un estratto dell'interessante articolo di Giovanni Cavalcoli, O.P., pubblicato da Riscossa Cristiana (fine 2011) sul pensiero di p. Tyn sulla pena di morte e sulla corretta dottrina della Chiesa Cattolica al riguardo.
Roberto
Una delle difficoltà che vengono opposte da alcuni alla beatificazione di Padre Tyn è il fatto che egli sosteneva apertamente, abitualmente ed argomentativamente la legittimità della pena di morte. Infatti da alcuni anni circola in ambienti cattolici la convinzione che la Chiesa non ammetta più la pena di morte, ovvero c’è l’idea che, quand’anche l’ammettesse, essa rifletterebbe una mentalità irrispettosa della persona umana, mentalità ormai superata ed oggi non più ammissibile.
In realtà nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 troviamo ancora la tradizionale giustificazione della pena di morte. L’articolo dedicato a questo tema ha subìto di recente una modifica che vale la pena di prendere in considerazione.
Il testo precedente recitava così: “difendere il bene comune della società esige che si ponga l’aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, l’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, le pena di morte” (+ n.2266).
Invece la modifica apportata è la seguente: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo « sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti » (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 56: A.A.S. 87 (1995) 464)” (n.2267, Catechismo della Chiesa Cattolica)
Le parole citate di Giovanni Paolo II sembrerebbero alludere al fatto che oggi la Chiesa non ammette più la pena di morte, ma ciò non è detto in modo categorico, ma in una forma ipotetica che lascia aperta la possibilità, benchè “molto rara” della “necessità” di infliggere questa pena. Ci si potrebbe inoltre domandare se esistono effettivamente casi di “necessità assoluta”, quasi fossimo davanti ad un ineludibile comando del Signore o della legge naturale, contravvenendo al quale si cadrebbe nel peccato mortale.
Ora questo la Chiesa non l’hai mai detto. I comandi di uccidere che l’Antico Testamento presenta come provenienti da Dio, ci dice l’esegesi moderna, in realtà sono interpretazioni di questa volontà, certamente in buona fede, ma obbiettivamente legate ad una concezione arretrata sia della giustizia che della misericordia divine. Infatti, come risulta dall’etica tradizionale e da una sana filosofia morale, la liceità o meno di infliggere la pena di morte è un principio morale di non immediata evidenza, come sono i princìpi primi della legge naturale, ma è una norma che per quanto possa essere giusta, non è del tutto esente da un certo legame con il mutare dei tempi e dei codici morali. ....
(continua qui al link)
In realtà nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 troviamo ancora la tradizionale giustificazione della pena di morte. L’articolo dedicato a questo tema ha subìto di recente una modifica che vale la pena di prendere in considerazione.
Il testo precedente recitava così: “difendere il bene comune della società esige che si ponga l’aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, l’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, le pena di morte” (+ n.2266).
Invece la modifica apportata è la seguente: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo « sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti » (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 56: A.A.S. 87 (1995) 464)” (n.2267, Catechismo della Chiesa Cattolica)
Le parole citate di Giovanni Paolo II sembrerebbero alludere al fatto che oggi la Chiesa non ammette più la pena di morte, ma ciò non è detto in modo categorico, ma in una forma ipotetica che lascia aperta la possibilità, benchè “molto rara” della “necessità” di infliggere questa pena. Ci si potrebbe inoltre domandare se esistono effettivamente casi di “necessità assoluta”, quasi fossimo davanti ad un ineludibile comando del Signore o della legge naturale, contravvenendo al quale si cadrebbe nel peccato mortale.
Ora questo la Chiesa non l’hai mai detto. I comandi di uccidere che l’Antico Testamento presenta come provenienti da Dio, ci dice l’esegesi moderna, in realtà sono interpretazioni di questa volontà, certamente in buona fede, ma obbiettivamente legate ad una concezione arretrata sia della giustizia che della misericordia divine. Infatti, come risulta dall’etica tradizionale e da una sana filosofia morale, la liceità o meno di infliggere la pena di morte è un principio morale di non immediata evidenza, come sono i princìpi primi della legge naturale, ma è una norma che per quanto possa essere giusta, non è del tutto esente da un certo legame con il mutare dei tempi e dei codici morali. ....
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