"Chiediamo alle Autorità religiose e civili della città di intervenire, in modo pacato, ma autorevole, per riportare serenità e pacatezza nell’acceso di battito che si è scatenato negli ultimi giorni attorno allo spettacolo “Sul concetto del volto del Figlio di Dio”, che dovrà approdare a Milano nelle prossime settimane. Il nostro teatro è da qualche settimana oggetto di lettere, comunicazioni, messaggi e-mail, che si schierano contro la messa in scena dello spettacolo, tacciandolo di blasfemia, sulla base di informazioni errate o male interpretate. Le dimensioni della protesta aumentano di giorno in giorno, anche in violenza espressiva e intimidazione, minacciando la sicurezza di questo luogo, di chi ci lavora, quasi ricercando l’offesa personale, e chi ne usufruisce come luogo della cultura. Questo atteggiamento ci disorienta.
Chiediamo un intervento deciso che riconduca il dibattito a toni e forme più consoni alla grande tradizione civile e culturale di Milano. Una città che ha sempre rappresentato il pensiero illuminato, la religiosità alta, il dialogo e l’apertura.
Il nostro Teatro non ha mai voluto essere offensivo. Non cerchiamo la polemica, semmai, sempre, il dialogo costruttivo, nel rispetto reciproco. Siamo territorio della cultura e dello scambio, non della violenza. Non ci spaventa il dibattito, il confronto anche animato, che è un elemento sano, naturale e prezioso di una civiltà che cresce. A condizione che non si sconfini nella minaccia, nell’ingiustificata aggressione. Chiediamo che chi guida questa città, nello spirito e nelle azioni, intervenga per allentare le inutili e pericolose tensioni e riportare la discussione nella dimensione più appropriata di quello che è uno spettacolo teatrale, che, semplicemente, può essere visto o non visto, piacere o non piacere, fare discutere o meno. In modo totalmente disarmato."
Chiediamo un intervento deciso che riconduca il dibattito a toni e forme più consoni alla grande tradizione civile e culturale di Milano. Una città che ha sempre rappresentato il pensiero illuminato, la religiosità alta, il dialogo e l’apertura.
Il nostro Teatro non ha mai voluto essere offensivo. Non cerchiamo la polemica, semmai, sempre, il dialogo costruttivo, nel rispetto reciproco. Siamo territorio della cultura e dello scambio, non della violenza. Non ci spaventa il dibattito, il confronto anche animato, che è un elemento sano, naturale e prezioso di una civiltà che cresce. A condizione che non si sconfini nella minaccia, nell’ingiustificata aggressione. Chiediamo che chi guida questa città, nello spirito e nelle azioni, intervenga per allentare le inutili e pericolose tensioni e riportare la discussione nella dimensione più appropriata di quello che è uno spettacolo teatrale, che, semplicemente, può essere visto o non visto, piacere o non piacere, fare discutere o meno. In modo totalmente disarmato."
Andrée Ruth Shammah
[e sotto alla lettera è aggiunto il senguente comunciato, n.d.r.]
[e sotto alla lettera è aggiunto il senguente comunciato, n.d.r.]
Ritroviamo le origini classiche della Socìetas nell'enorme ritratto di Gesù teso come fondale al centro della scena. Resta intatto il mistero doloroso della vita reso in scena da un perfetto cast di attori diretti da Romeo Castellucci.
"Io voglio stare di fronte al volto di Gesù". In questa intenzione di ‘frontalità’ dichiarata e quasi sfrontata dell’autore, Romeo Castellucci, risiede la ragione profonda dello spettacolo. "Sul concetto di Volto nel figlio di Dio" prosegue il percorso di ricerca, tracciato da tempo dalla Socìetas Raffaello Sanzio, intorno all’icona massima della cultura occidentale. Sulla scena, dominata dall’enorme volto del Cristo rinascimentale di Antonello da Messina, non si racconta Gesù come il figlio di Dio, oggetto di fede e di adorazione. Si restituisce piuttosto l’uomo, che guardiamo e dal quale siamo guardati. I due opposti - la mistica, la teologia così come la demistificazione - sgombrano il campo lasciando spazio al ritratto puro dell’ uomo. Così era nella pittura rinascimentale, quando per la prima volta l’occhio di Cristo incontra quello dell’osservatore o dello spettatore: gli sguardi si intrecciano, si interrogano ma soprattutto si rispecchiano l’uno nell’altro. Allo stesso modo è sulla scena della Socìetas: un uomo davanti ad altri uomini.
"Io voglio stare di fronte al volto di Gesù". In questa intenzione di ‘frontalità’ dichiarata e quasi sfrontata dell’autore, Romeo Castellucci, risiede la ragione profonda dello spettacolo. "Sul concetto di Volto nel figlio di Dio" prosegue il percorso di ricerca, tracciato da tempo dalla Socìetas Raffaello Sanzio, intorno all’icona massima della cultura occidentale. Sulla scena, dominata dall’enorme volto del Cristo rinascimentale di Antonello da Messina, non si racconta Gesù come il figlio di Dio, oggetto di fede e di adorazione. Si restituisce piuttosto l’uomo, che guardiamo e dal quale siamo guardati. I due opposti - la mistica, la teologia così come la demistificazione - sgombrano il campo lasciando spazio al ritratto puro dell’ uomo. Così era nella pittura rinascimentale, quando per la prima volta l’occhio di Cristo incontra quello dell’osservatore o dello spettatore: gli sguardi si intrecciano, si interrogano ma soprattutto si rispecchiano l’uno nell’altro. Allo stesso modo è sulla scena della Socìetas: un uomo davanti ad altri uomini.
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