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martedì 24 gennaio 2012

La correzione del Culto e della Cultura come parte integrale della nuova evangelizzazione

Su KathNews, in lingua italiana, è stato pubblicato in interessantissimo e dotto commento denso di concetti teologici che ben spiegano, con incontestabile fondamento dottrinale, i (ormai tristementi noti) segni e le motivazioni della "crisi" della fede nel nostro tempo "occidentalizzato", causato dalla "banalizzazione" della liturgia 'riformata' (e quindi della feda) e dalla "secolarizzazione" della Chiesa.
L'autore pone fermamente l'accento sull'importanza della "riforma della riforma" del Culto, come "
fecondo" rimedio per la salvaguardia non solo della liturgia, ma (di conseguenza) anche della dottrina e la fede cattoliche (mediante la necessaria applicazione del riscoperto principio lex orandi-lex credendi
).
Proponiamo ai nostri lettori il brano nella versione quasi integrale, ma invitiamo a leggerlo per gli intero al link di Kath News.
Il sottolineato è nostro, anche se a nostro parere, ogni singola parola sarebbe stata degna di essere sottolineata.


Un commento teologico, a cura di Mag. theol. Michele Gurtner
tratto da Kath News, del 24.01.2012


Erstellt von Mag. Michael Gurtner am 24. Januar 2012 um 07:19 Uhr
Sua Santità Benedetto XVI ha trovato un tema fondamentale per il suo pontificato, al quale si dedica instancabilmente sin dal primo inizio del suo ministero petrino: la nuova missione dell’occidente. E’ il Santo Padre stesso a dire questo quando scrive nel suo Motu Proprio Porta fidei, col quale indice l’anno della fede: “Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo”. Se dobbiamo ri-scoprire il cammino della fede vuol dire che l’abbiamo perso, abbandonato, che siamo smarriti. L’iniziativa dell’anno della fede è un tentativo a dare una mossa a chi non segue più le orme del Signore, oppure senza l’entusiasmo voluto. Per lo stesso scopo, cioè la riscoperta della fede, il Pontefice ha persino eretto un proprio dicastero, il Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.
[...]
Allora vuol dire che la Chiesa ha un problema grave, il quale il nostro Pontefice sta affrontando. Le radici di questa crisi di fede sono in fondo di tipo culturale, causate dai grandi cambiamenti nelle società dell’occidente.

Il problema non viene solo dall’esterno della Chiesa
Questo pare di essere un fatto situato al di fuori della Chiesa che la colpisce dall’esterno, quasi come se la perdita della fede in ampie parti dell’occidente fosse solo una conseguenza di una cultura cambiata nel contesto secolare. Ma non è affatto così: il vero problema è che gli stessi cambiamenti sfavorevoli sono penetrati anche la Chiesa stessa, cioè il modo in cui pensano grandi parti del clero e degli intellettuali che agiscono nell’ambito ecclesiastico. Oppure, detto lo stesso con altre parole: non solo il mondo si è privato di Dio, ma anche la Chiesa stessa si è secolarizzata, assumendo la stessa nuova e insana mentalità che ha cambiato anche il mondo secolare in maniera spaventosa e, a lungo termine, anche pericolosa e che è tutt’altro che lungimirante.
I ragionamenti non vanno più oltre al momento attuale e alla domanda: cosa desidera una vera o presunta maggioranza? La stessa banalità che vediamo sin dagli anni 60 la notiamo anche nella Chiesa stessa, e si fa evidente in tanti commenti, libri, articoli e omelie. La stessa banalizzazione che ha colpito la società e la cultura secolare è entrata anche nelle chiese, nelle sue aule e uffici. Una vera tragedia se consideriamo, che fino a pochi decenni fa la santa Chiesa era considerata una garanzia di cultura e di educazione.

Forme nuove rivelano atteggiamenti nuovi
Quando si cambia l’aspetto di una cosa, questo cambiamento è molto spesso collegato a cambiamenti ben più profondi, cioè a modificazioni anche nell’interno, che a volte toccano anche la sostanza della cosa. Il cambiamento esterno riflette un cambiamento interno e promuove questo nuovo atteggiamento verso gli altri, approfittando di un certo effetto d’assuefazione: ciò che inizialmente ci pare scandaloso diventa, pian pianino, indiscutibile. Basta resistere e aspettare, la gente si abitua a tutto. Famosi esempi non mancano: chierichetti femmine, la comunione in mano, l’altare rivolto al popolo, sedie invece di inginocchiatoi eccetera ci danno un esempio come lo scandalo può diventare presunto diritto, a volte anche difeso.
Tutto questo porta a lungo termine a cambiamenti indesiderati, anche se non si rende sempre subito evidente: se per esempio il sacerdote dice, giustamente, durante la sua omelia che bisogna pregare per non perdere il rapporto vivo con Dio, ma poi sembra che parli alla gente recitando il canone ad alta voce e in lingua volgare, rivolto proprio all’”assemblea”, allora che esempio ci da questo modo di celebrare la Santa Messa riguardo le belle parole che ha detto poco fa sull’importanza della preghiera? Non è che ci si accorge subito, ma man mano si cambia l’atteggiamento verso la preghiera – e ormai siamo arrivati a un punto al quale vediamo che a tante persone non è più chiaro perché la Santa Messa è diversa dalla nostra vita quotidiana, e di conseguenza bisogna comportarsi in modo diverso.
Già con la forma e l’aspetto che diamo alle cose, trasmettiamo un messaggio
. Di solito funziona così che un ideatore (oppure un piccolo gruppetto d’ideatori) intende di riformare una cosa, un progetto, un concetto o qualcosa di simile. Così accadde anche con la liturgia: alcuni teologi, vescovi e professori avevano idee diverse di ciò che la Chiesa insegnava e faceva sin da secoli. E un nuovo progetto di una cosa ha anche bisogno di nuove forme e di nuovi aspetti per adeguare l’esteriore col’interiore, cioè con le nuove idee che si sono fatte strada nell’ambiente teologico.
I singoli elementi cambiati nel corso della riforma liturgica, effettuate in fretto subito dopo la chiusura del Concilio Vaticano II rappresentano cambiamenti nel pensare teologico. Questi cambiamenti liturgici fanno sì che man a mano si diffusero in tutto il mondo anche tra i fedeli. Inizialmente sembrava cosa strana celebrare la Santa Messa quasi in forma di una “riunione”: il sacerdote parla ad alta voce, in lingua volgare e rivolto al popolo invece di pregare a voce bassa e in Latino, essendo rivolto al Signore, certi gesti come la pax oppure la forma della distribuzione della Comunione come anche i saluti da parte del sacerdote celebrante all’inizio e alla fine della Messa ponevano l’accento su questo nuovo sentimento di essere “assemblea”. Nel corse del tempo però queste cose strane diventavano il normale, il quotidiano, ciò che alla gente sembra ormai allo stesso modo la cosa giusta come all’epoca sembrava essere giusto ciò che il rito tradizionale esprimeva tramite la sua forma esteriore. La forma è allora il veicolo per trasportare concetti e modi di pensare. Dove si banalizza il culto, si banalizzerà anche la fede della gente.
Questo, però, non vale soltanto per il culto, ma anche per la cultura: non è indifferente come o se si usano i titoli e i vestiti, come ci si comporta di fronte alle autorità e al clero, come si allestiscono le case ecclesiastiche e le chiese, che linguaggio si usa e così via. Tutto questo influisce anche la fede e il credere della gente, perché trasmette qualcosa che va oltre alle parole: trasmette un valore della fede, l’importanza della Chiesa e distingue il sacro dal profano. Perdere i tipici comportamenti ecclesiastici, le vecchie usanze e l’aspetto esteriore che porta i secoli della storia della Chiesa in se significa necessariamente delle conseguenze anche nella fede, anche se queste cose a qualcuno possano sembrare esagerate, superflui e indifferenti per la fede. Ma non lo sono affatto. Oggi vediamo, che di certo non è del tutto, tanto meno la sostanza della nostra fede cattolica, ma nonostante ciò si tratta di cose più essenziali quanto credevamo negli ultimi decenni, perché sono proprio queste cose che preparano la mente e l’anima dei fedeli per il Divino e trasmettono il valore e l’importanza dei contenuti della dottrina e della Chiesa. Certamente non sono solo queste cose, ci sono anche tanti beni spirituali che ci preparano per il sacro, ma dato che l’uomo non è soltanto un essere spirituale ma anche connesso alla “gravità terrena” ha bisogno anche degli sostegni terreni per sincronizzare la sua anima con la divina volontà. Ci vuole allora l’uno senza escludere l’altro: importante è solo, che diamo alle singole cose il loro proprio valore dovuto.

La correzione del culto e della cultura ecclesiastica è fondamentale per la nuova evangelizzazione
Abbiamo detto che certi cambiamenti in culto e cultura che sono entrati nella Chiesa hanno esercitato un influsso negativo sulla fede della gente. Tanto è andato perso con queste nuove forme, ma in cambio non abbiamo vinto niente. I mezzi scelti per promuovere una “nuova primavera della fede [omelia di Paolo VI, 29.06.1972, n.d.r.] sono stati i mezzi sbagliati – ci vuole un approfondimento e un arricchimento, non il contrario com’è successo negli ultimi decenni. Le forme private da ogni bellezza nella quale splendeva la sacralità della verità e volontà divina non sono capaci di tenere viva la fede nella gente. Una fede semplificata nella sua spiegazione non è in grado di far capire che si tratta di una verità assoluta e indiscutibile, proveniente da Dio stesso. Se rendiamo la liturgia più “comprensibile”, togliendo tutto ciò che pare che sia superfluo oppure non più adatto per i nostri tempi (e chi dice questo intende il mondo secolare al quale prendono misura anche per la Chiesa, dimenticando che per essa valgono ben altre regole), tocchiamo necessariamente anche i contenuti che la liturgia vuole esprimere, cioè i dogmi e di conseguenza anche la fede del popolo.
Se tutta questa secolarizzazione non ci ha portato i frutti aspettati, allora dobbiamo necessariamente smettere di togliere e abrogare, di “aggiornare” e di semplificare. Anzi, dobbiamo riscoprire le ricchezze che si sono sviluppate grazia a Dio nel corso dei secoli e che sono stati una buona base per una società fondata nella fede cristiana.
Non ci sarà nessuna re-evangelizzazione dell’occidente ormai secolarizzato se non correggiamo anche le banalizzazioni e a volte anche gli errori che si trovano nella liturgia riformata e nella cultura ecclesiastica. Non è comprensibile perché c’è ancora chi sembra di aver paura di un ambiente ecclesiastico che possiamo circoscrivere come “tipico cattolico”, con tutto ciò che ci rientra – e non intendo solo il necessario, ma anche gli “ornamenti” che accompagnarono l’essenziale della fede. Questi piccoli gesti creano un’attitudine nei fedeli. Soprattutto la forma straordinaria del rito romano è in grado di parlarci delle cose delle quali ormai si tace perché sono considerati antiquati, ma che fanno parte delle fondamenta che portano la fede e che le danno appoggio.
Solo nella cultura e nel culto giusto potrà ricrescere la fede nella gente
. Non possiamo approfondire la fede se questi sforzi non sono accompagnati da sforzi non meno faticosi riguardo l’ambiente ecclesiastico. Se la fede èbella e vera, allora deve riflettersi questa bellezza e questa verità nei nostri comportamenti, nella forma esteriore della liturgia, nelle sue parole e nel modo in cui diamo forma alla nostra fede cattolica.
[...]
Fra Culto, cultura e la nuova evangelizzazione c’è allora uno strettissimo legame: l’uno dipende dall’altro. Con la promozione della forma straordinaria del rito romano il Pontefice ha dato un grandioso contributo alla nuova missione, che gli sta così tanto al cuore. Essa è la feconda terra, dove potremo piantare i semi della fede con grande successo, raccogliendo una nuova, vivace e serena società cattolica come frutti.

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