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giovedì 13 gennaio 2011

La Santa Liturgia di dom Gérard Calvet


[È con vero piacere che annunciamo l’uscita, fissata al 31 gennaio 2011, della prima traduzione in lingua italiana di un libro di dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), fondatore e primo abate dell’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux. Il volume in questione ha per titolo La santa liturgia (90 pp., euro 10), ed è la versione italiana del testo originariamente edito in Francia, nel 1982, dalle Éditions Sainte Madeleine: La sainte liturgie. Il libro è stato amorevolmente tradotto dalle monache benedettine del Monastero San Benedetto di Bergamo ed è pubblicato dalle edizioni Nova Millennium Romae – di cui ci siamo già occupati presentando la pubblicazione degli Atti delle “Giornate Liturgiche di Fontgombault”, La Questione Liturgica –, presso le quali è possibile sin d’ora prenotare copie del testo, attraverso il contatto e-mail milleromae@virgilio.it. Anticipiamo di seguito il capitolo introduttivo del libro, che ci auguriamo riscuota un’ampia diffusione nel nostro Paese] Romualdica


«Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi,il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44). Tre miracoli fioriscono continuamente nel giardino della Sposa di Cristo: la sapienza dei suoi dottori, l’eroismo dei suoi santi e dei suoi martiri, lo splendore della sua liturgia. Et hi tres unum sint! Questi tre elementi sono «una cosa sola» perché la liturgia è per sé stessa un canto unico di sapienza e di amore: essa riassume i due ordini dell’intelligenza e della carità e li sublima in preghiera.

Non sorprende quindi che quando l’azione liturgica, soprannaturale o sacramentale, colpisce la vista e l’udito, vi percepiamo il segreto del nostro destino e che un «sacro trasalire» s’impadronisca di tutto il nostro essere, come fu per Giovanni il Battista alla voce di Maria. La voce della Sposa, come ravviva il cuore dello Sposo e santifica l’anima dei suoi figli, così ricopre la sua doppia funzione di culto verso Dio e di santificazione delle anime. Senza dubbio, questo trasalire d’amore non può essere per noi quello che fu per Giovanni Battista, ovvero il segno della trasformazione immediata e totale che fece di lui il più grande tra i figli di donna; tuttavia, toccati dal messaggio liturgico, è un annuncio di salvezza e un sapore di vita eterna che ci trasforma poco a poco. Se ci capita di ascoltare questi accenti di un altro mondo risuonare in una lingua sacra, all’interno di uno di questi templi di pietra che gli antichi elevarono con tanta dignità, in profondo accordo con lo spirito di preghiera, penetreremo in un mondo misterioso dove i gesti e i movimenti compongono un’armonia divina, simile a una debole eco dei cantici della città celeste, i soli che siano capaci di distrarci un po’ dalle cose della terra.

«Sono colpita dalla grandezza delle cerimonie della Chiesa», diceva santa Teresa d’Avila. Se però c’interroghiamo sui segreti della liturgia, sulla sua essenza e la sua relazione con due ordini di grandezza così diversi — la grandezza cosmica nel nostro universo creato e la grandezza soprannaturale del Regno dei cieli — ci accorgiamo che essa ha purtroppo meno rilievo e spazio delle nostre faccende umane.

9 commenti:

  1. L'esempio di Le Barroux mostra luminosamente come la Tradizione si possa servire e seguire in comunione con Roma... tutto il resto sono chiacchiere (alcune parigine... ma pur sempre chiacchiere).
    Chi ha il coraggio mostri che seguire la tradizione e seguire il Papa (che ne è il custode, il garante e l'interprete) sono la stessa cosa, solo così il tarlo modernista verrà spazzato via!

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  2. <span>Sto aspettando una risposat a questa domanda.
     Posto che dono traduce MUNUS, dare senza avere in cambio nulla, quindi diviene un andare oltre il dono, cioè per-dono ( Amerio direbbe dono perfetto), quale è la differenza tra sacrificio e dono?  
    E pongo un'altra domanda: perchè non rispondete?
    MD</span>

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  3. Risposta a Bartimeo.
    Bisogna eliminare dal lessico cristiano la parola sacrificio e ogni altra che lo evochi.
    La morte del Gesù storico non è stata un sacrificio rituale ebraico, semmai una pena capitale irrogata dai romani per motivi essenzialmente politici.
    Meno che mai la Cena ultima è stata un sacrificio o un pasto sacrificale e ciò sarebbe stato impossibile per ebrei osservanti.
    Non è stata neanche un sacrificio di un nuovo rituale. Se la comunità dei discepoli del Gesù storico avesse anche interpretato in modo realistico e non metaforico le parole della Cena, si sarebbe macchiata di gravi peccati: cibarsi della carne di un uomo, bere o entrare in contatto col suo sangue, suggellare un patto di sangue, equivaleva alla peggiore maledizione, a uscire dall’ebraismo entrando nel paganesimo. Il vangelo di Luca è il meno inappropriato: il riferimento all’alleanza di Geremia non ha a che fare con sacrifici, e neppure le parole sul pane dicono più di una metafora (è un pane dato “perché lo mangiate” e dunque “a voi” e non “per voi”, in senso salvifico-espiatorio).
    La morte del Gesù storico non è stata neppure un nuovo evento sacrificale inaugurante una nuova economia salvifica, perché anche questo sarebbe stato un peggiore paganesimo: richiederebbe un Dio di sangue, che prescrive un sacrificio umano attraverso carnefici istituzionali, dopo averlo rifiutato all’inizio. La lettera a Ebrei che sembra sostenere questo, invece sovverte (cap. 13) l’economia sacrificale decretandola inutile e dannosa; né può valere l’idea di R. Girard di un sacrificio che pone termine ai sacrifici, perché richiederebbe comunque un rituale di collegamento con questo sacrificio inaugurale, mentre è dimostrato senza alcun dubbio che la lettera a Ebrei esprime una comunità che non celebrava alcun pasto sacrificale, sia pure spiritualizzato (perché la mentalità sacrificale rimane, traslata ma rimane con i gravi danni psichici che si vedono nelle vittime di questa mentalità).
    Bisogna uscire definitivamente, dunque, da queste idee teologiche e mentalità psicologiche inadeguate all’instaurazione del Regno di giustizia, di amore e di pace voluto da Gesù, regno che non ha bisogno di nuovi sacrifici, né di un sacrificio inauguratore.

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  4. d. mercenaro
    1) Ti ringrazio per lo sforzo che hai fatto. In attesa che i SOLONI DI ECONE rispondano.
    2) Mi sembra che il cristianesimo nasca con la NASCITA di Cristo e non con la sua Resurrezione, altrimenti tutta la predicazione fatta prima sarebbe inutile e non motiverebbe ad aderire a lui piuttosto che ad altra religione. Anche l'islam parla di paradiso. quindi tutto il tuo ragionamento cade.
    Rifaccio la domanda agli econiani con riferimento alla Liturgia:
    <span>Posto che dono traduce MUNUS, dare senza avere in cambio nulla, quindi diviene un andare oltre il dono, cioè per-dono ( Amerio direbbe dono perfetto), quale è la differenza tra sacrificio e dono?    
    MD</span>

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  5. Scusa, non capisco gli antefatti di questa domanda sul munus. Puoi chiarire?
    Mi sembra invece che tu non abbia colto il potenziale distruttivo del commento postato ripetutamente e in ogni dove dal "d. mercenaro"; è un attacco a 360° gradi alla dottrina cattolica, che coinvolge la critica biblica più eversiva e gli argomenti dell'antropologia culturale. Queste sono cose che sotto sotto si sentono da pulpiti e cattedre. Non basta certo dire che sono inconsistenti, ma dimostrare che lo sono, perchè inconsistenti sono certo, ma anche influenti.

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  6. Mi piacerebbe conoscere dai Redattori quali sono le differenze rituali tra il Messale del 1962 e la liturgia celebrata nell'abbazia di Le Barroux.

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  7. Egregio 1479.
    La questione è sulla sparizione del sacrificio dalla Messa NO ( sto sintetizzando).
    Allora io ho posto la domanda cui non ho avuto risposta ( tranne il fumoso delirio di mercenaro. Che almeno ci ha provato).
    La domanda è.
    La parola Dono, così come è intensa nella Messa, deriva dal latino MUNUS che significa donare senza avere nulla in cambio. Cioè andare oltre la logica dello scambio ( comunione è diverso da condono). Dal momento che il dono esce dalla logica dello scambio diviene un PER-DONO, cioè dono perfetto ( Amerio nello Zibaldone, n 114. pg 67. " I verbi composti con la preposizione per significano la perfezione dell'atto. Per -donare è dono perfetto.). Posto questo: nel momento che io dico che nella Messa c'è Dono non sto forse io dicendo che c'è il SACRIFICIO in quanto non c'è distinzione tra il PER-DONO ( darsi gratuitamente) ed il SACRIFICARSI ( Farsi Sacro; cioè donarsi totalmente a DIO)? In sintesi: non esiste differenza tra le due modalità, ma perfetta circolarità tra NO e VO. Logicamente al netto di ipocrisie, orgette pseudodiscotecare ed altro.
    Spero di non essere stato ne celebrale ne fumoso.
    Attendo gentile risposta.
    Matteo Dellanoce

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  8. Mi serve il link specifico dove è iniziata la discussione.
    Io, comunque, non sono di Econe.

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  9. Non mi riferivo a lei!
    MD

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