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domenica 13 giugno 2010

Joseph de Maistre ci spiega i Salmi

Cari fratelli, come III scheda introduttiva ai Salmi della Vulgata, proponiamo alcune considerazioni del grande pensatore contro-rivoluzionario Joseph de Maistre.

Tra tante sue osservazioni meritevoli della nostra attenzione, sono degni di ancora maggior nota due concetti sintetizzati magistralmente: in primo luogo De Maistre mostra la superiorità dei Salmi su tutta la poesia pagana contemporanea e/o precedente.

In secondo luogo lo stesso pensatore ci illustra come i salmi siano veramente un Nuovo testamento ante litteram (“I Salmi sono una vera «preparazione al Vangelo»”): e di conseguenza non stupisce il fatto che il Salterio della tradizione, ovvero la traduzione latina della versione greca dei LXX, appena corretta da San Gerolamo, ha “il merito di aver saputo rimanere fedele alla lingua ebraica e nello stesso tempo distaccarsene”.

De Maistre non era un biblista, né un Padre della Chiesa; ma ha saputo condensare in poche pagine concetti che purtroppo mancano in tanti manuali e commentari moderni.

Il testo proposto è tratto da Le serate di Pietroburgo, Milano: Rusconi, 1971, pp. 415-425.



IL CONTE.

Ma che dite, caro cavaliere!? Pindaro non ha niente in comune con Davide: il primo ha voluto informarci «di voler parlare solamente ai sapienti e di non preoccuparsi affatto di essere compreso dai suoi contemporanei i quali, con suo grande piacere, avevano bisogno di interpreti per capirlo» (1). Per comprendere perfettamente questo poeta, non vi basterebbe declamare o cantare i suoi versi; dovreste anche danzarli. Un giorno forse vi parlerò di questo calzare dorico sbalordito dai nuovi movimenti che gli venivano imposti dalla musa impetuosa del poeta (2). Ma anche quando riusciste a comprenderlo nel modo migliore oggi possibile, scoprireste che non vi procura un grande interesse. Le sue odi sono ormai soltanto cadaveri da cui lo spirito si è ritirato per sempre. Che vi importa dei cavalli di Gerone o delle mule di Agesilas? (3) Quale interesse potete provare per la nobiltà di alcune città e dei loro fondatori, per i miracoli degli dèi, le imprese degli eroi e gli amori delle ninfe? Il loro fascino era legato a tempi e luoghi che la nostra immaginazione non può far rivivere. L'Olimpo, l'Elide o l'Alfeo non esistono più; colui che si illudesse di trovare il Peloponneso nel Perù sarebbe meno ridicolo di colui che lo cercasse in Morea. Davide invece sfida il tempo e lo spazio perché non ha accordato nulla ai luoghi e alle circostanze: ha cantato solamente Dio e la vita immortale come lui. Gerusalemme non è scomparsa per noi: «essa è tutta dove siamo noi»; ed è soprattutto Davide che ce la rende presente. Leggete e rileggete continuamente i Salmi e, se volete un consiglio, leggeteli nella versione latina adottata dalla nostra Chiesa e non nelle traduzioni moderne che sono lontane dalla fonte. Sono convinto che l'ebraismo, più o meno visibile attraverso la Vulgata, vi colpirà immediatamente: infatti i Salmi che noi oggi leggiamo, benché non siano stati tradotti dal testo originale, sono stati ricavati da una versione che era rimasta molto fedele al testo ebraico; perciò la difficoltà è la stessa; ma è una difficoltà che cede ai primi sforzi. Affidatevi a un amico che, pur non essendo ebraista, attraverso letture attente e ripetute è riuscito a penetrare nello spirito della lingua più antica, se paragonata a quelle che ci sono state tramandate nei vari monumenti, è riuscito a comprendere la sua logica laconicità, che per noi è più sconcertante della più audace laconicità grammaticale, e soprattutto si è abituato a capire il legame delle idee, quasi invisibile presso gli orientali, il cui genio ricco di voli ispirati e d'improvvise digressioni non si accorda con le sfumature europee: noterete che il merito essenziale di questa traduzione consiste nell'aver saputo rimanere fedele alla lingua ebraica e nello stesso tempo distaccarsene; una sillaba, una parola e un certo taglio leggero dato alla frase faranno sorgere davanti ai vostri occhi bellezze di prim'ordine. I Salmi sono una vera «preparazione al Vangelo»; infatti, in nessun altro scritto è così visibile lo spirito della preghiera, che è quello di Dio, e in ogni loro verso si leggono le premesse di tutto quello che possediamo. La preghiera è il carattere costante di questi inni. Anche quando il soggetto di un Salmo può sembrare assolutamente accidentale o riguarda soltanto un episodio della vita del Re Profeta, il genio di Davide, sfuggendo a questo cerchio ristretto, si eleva sempre a considerazioni generali. Ogni suo pensiero e sentimento si trasformano in preghiera, poiché egli vede tutto nell'immensa unità della potenza che lo ispira: non pronuncia una frase che non appartenga a ogni tempo e a tutti gli uomini. Non ha mai bisogno dell'indulgenza che permette all'entusiasmo di essere oscuro; eppure quando l'Aquila del Cedron si innalza verso le nuvole, il vostro sguardo potrà misurare sotto di lei uno spazio maggiore di quel che vedeva Orazio sotto il Cigno di Dirce (4). Talvolta si lascia penetrare dall'idea della presenza di Dio e allora espressioni superbe si affollano numerose al suo spirito: «Dove me ne andrò lontano dal tuo spirito? e dove potrò fuggire lontano dal tuo volto? Se prendo le ali dell'aurora e vorrò abitare nell'estremo del mare, anche là la tua mano si posa su di me e la tua destra mi afferra. Se scalo i cieli, tu sei là! E se mi stenderò nello Sceòl, eccoti là» (5). Un'altra volta rivolge lo sguardo alla natura, e i suoi trasporti ci insegnano come dobbiamo contemplarla: «Signore», egli dice, «mi avete inondato di gioia con lo spettacolo della vostra opera, sarei felice cantando le opere delle vostre mani. Quanto sono grandi le vostre opere, o Signore! Le vostre intenzioni sono abissi; ma il cieco non vede queste meraviglie e lo sciocco non le comprende» (6).

Se si sofferma su fenomeni particolari, quale abbondanza di immagini! quale ricchezza di espressioni! Sentite con quale vigore e con quanta grazia celebra le «nozze» della terra con l'acqua: «Tu visiti la terra con il tuo amore e la colmi di ricchezze! Fiume del Signore, ricopri le tue rive! Prepara il cibo degli uomini, questo è l'ordine che hai ricevuto (7); inonda i solchi, va' a cercare i germi delle piante, e la terra, penetrata dalle gocce rigeneratrici, trasalirà di fecondità (8). Signore, cingerai l'annata con una corona di benedizioni; e le tue nubi distilleranno l'abbondanza (9); isole verdi abbelliranno il deserto (10); le colline saranno circondate di allegria; le spighe saranno numerose nelle vallate; le greggi si copriranno di ricchi velli; tutti gli esseri umani canteranno di gioia. Tutti canteranno per te un inno di gloria» (11).

Ma è in un ordine più elevato che dovete sentirlo spiegare le meraviglie di quel culto interiore che a quei tempi poteva rivelarsi soltanto grazie all'ispirazione. L'amore divino che io infiamma assume in lui un carattere profetico; egli precede i secoli, egli già appartiene alla legge della grazia. Come Francesco di Sales o Fénelon, Davide scopre nel cuore dell'uomo «i gradi misteriosi (12) che, di virtù in virtù, ci conducono fino al Dio di tutti gli dèi» (13). È inesauribile quando esalta la dolcezza e l'eccellenza della grazia divina. Questa legge è «una lampada per il mio piede insicuro, una luce, un astro che mi rischiara nei sentieri tenebrosi della vita» (14); «è vera, è la verità stessa, porta in sé la sua giustificazione; è più dolce del miele, più desiderabile dell'oro e delle pietre preziose, e coloro che le saranno fedeli vi troveranno una ricompensa senza fine» (15); «egli la mediterà giorno e notte» (16); «nasconderà gli oracoli di Dio nel suo cuore per non offenderli mai» (17); ed esclama: «Se dilati il mio cuore, camminerò nella via dei tuoi comandamenti» (18).

Talvolta il sentimento che lo opprime io affanna. Un verbo, che stava avanzando per esprimere il pensiero del profeta, gli si ferma sulle labbra e ricade nel suo cuore; ma la pietà lo fa suo quando esclama: «I tuoi altari, Dio degli spiriti!» (19).

Altre volte in poche parole presagisce tutto il cristianesimo. «Insegnami», dice, «a fare la tua volontà, perché tu sei il mio Dio» (20). Quale filosofo antico ha mai saputo che la virtù è nient'altro che ubbidire a Dio perché è Dio e che il merito consiste esclusivamente nel sottomettere il pensiero a questa direzione?

Davide conosceva bene la terribile legge della nostra natura viziata; sapeva che l'uomo «è concepito nell'iniquità e già ribelle nel seno materno alla legge divina» (21). Come il grande Apostolo, sapeva che «l'uomo è uno schiavo venduto all'iniquità che lo tiene sotto il suo giogo e non può esserci libertà se non là dove si trova lo spirito di Dio» (22). Ed esclama con un tono veramente cristiano: «Solo per mezzo tuo sarò liberato dalla tentazione; con il tuo aiuto supererò le mura» (23), le mura che dalle origini sono state innalzate per separare l'uomo dal suo Creatore, le mura che bisogna assolutamente superare perché non è possibile abbatterle. E quando dice a Dio: «Agisci con me» (24), non enuncia, non insegna forse tutta la verità? Da una parte nulla senza noi e dall'altra nulla senza te, perché se l'uomo oserà affidarsi solo a se stesso, la vendetta giungerà immediata: «Egli sarà abbandonato alle inclinazioni del suo cuore ed ai sogni del suo spirito» (25)

Essendo sicuro che l'uomo è di per se stesso incapace di pregare, Davide chiede a Dio di penetrarlo «con l'olio misterioso, con l'unzione divina che farà schiudere le sue labbra e gli permetterà di pronunciare parole di lode e di allegrezza» (26); e raccontandoci la sua esperienza personale ci lascia intravedere l'ispirazione che opera in lui: «Ho sentito», dice, «il mio cuore infiammarsi; un fuoco è sprizzato dal mio pensiero interiore; allora la mia lingua si è sciolta e ho parlato» (27). A queste caste fiamme dell'amore divino, a questi sublimi slanci di uno spirito rapito in cielo, paragonate ora il calore putrido di Saffo o il mercenario entusiasmo di Pindaro; per scegliere non occorre essere virtuosi, basta avere buon gusto.

Sentite come il Salmista definisce in due parole l'incredulo: «Non ha voluto credere, temendo di agire bene»; e la terribile lezione che impartisce ai credenti quando dice loro: «O voi che amate il Signore, odiate il male» (28).

Quest'uomo straordinario, colmo dei beni più preziosi, aveva commesso tuttavia gravi colpe; ma l'espiazione aggiunse ai suoi inni nuove bellezze: mai come nei Salmi il pentimento parlò un linguaggio più vero, più patetico, più penetrante. Davide, pronto a ricevere con rassegnazione tutti i flagelli del Signore (30), vuole egli stesso rendere pubblici i suoi misfatti (31). «Il suo peccato gli è sempre presente (32), e il dolore che lo rode non gli permette alcun riposo» (33). In Gerusalemme, nel cuore della sfarzosa capitale destinata a diventare presto «la più superba città della superba Asia» (34), sul trono sui quale l'aveva condotto la mano di Dio egli è «solo come il pellicano nel deserto, come il gufo nascosto fra le rovine, come il passero solitario che geme sul tetto dei palazzi» (35). «Consuma le sue notti nei gemiti e il suo triste giaciglio è inondato di lacrime» (36). «Le frecce del Signore lo hanno colpito» (37). «Da allora egli è infermo; le sue ossa sono sconquassate» (38); «le sue piaghe marciscono; si incurva verso terra; il suo cuore è in subbuglio; le forze lo abbandonano; la stessa luce non brilla più per lui» (39); «non ode più, ha perduto la voce: non gli rimane che la speranza» (40). Nessun pensiero è capace di trarlo dal dolore, e il dolore, come d'altronde tutti gli altri suoi sentimenti, si tramuta in preghiera, una preghiera vivente che non si trova in altri scritti. Davide ricorda incessantemente una profezia che egli stesso ha pronunciato: «Dio ha detto al colpevole: Perché vai parlando dei miei precetti con la tua bocca impura?» (41). «Ai retti si conviene il lodare» (42). Nel suo animo il terrore si mescola di continuo alla fiducia; e anche nei trasporti d'amore, nell'estasi dell'ammirazione, nelle effusioni più commoventi di una riconoscenza senza limiti l'affilata lama del rimorso si fa sentire come la spina attraverso i petali vermigli del roseto.

Ma quel che più mi colpisce in questi magnifici Salmi sono le idee del Profeta sulla religione; pur essendo ancora limitata a un solo punto dell'universo, la religione che professava si distingueva già per una profonda inclinazione all'universalità. Il tempio di Gerusalemme era aperto a tutte le nazioni, e il discepolo di Mosè non si rifiutava di pregare il suo Dio con qualunque e per qualunque altro uomo: ricolmo di queste idee grandiose e generose, e spinto dallo spirito profetico che gli mostrava in anticipo la velocità e la potenza della parola evangelica (43), Davide si rivolge incessantemente al genere umano e lo esorta a partecipare della verità. Questo appello alla luce, questo voto del suo cuore, ricorre continuamente nelle sue sublimi composizioni. Per esprimerlo in mille modi, esaurisce ogni possibilità della sua lingua senza esserne soddisfatto. «Nazioni dell'universo, lodate tutte il Signore; udite, popoli tutti, abitanti del tempo» (44). «Il Signore è buono con tutti gli uomini e la sua misericordia si diffonde su tutte le sue opere» (45). «Regnerà il Signore nei secoli, di generazione in generazione» (46). «Popoli della terra, giubilate a Dio, inneggiate al suo nome, date gloria alla sua grandezza. Dite a Dio: La terra intera ti adori, essa inneggi a te, inneggi al tuo nome. Popoli, benedite il nostro Dio e fate risuonare la sua lode» (47). «Fa', o Signore, che le tue profezie siano conosciute in tutta la terra e che la salvezza che ci elargisci tocchi tutte le nazioni» (48). «Amico e fratello io sono di tutti coloro che ti temono e osservano i tuoi comandamenti» (49). «Re, principi, grandi della terra, popoli che l'abitate, lodate il nome del Signore, perché eccelso è il suo nome» (50). «Tutti i popoli si riuniscano intorno ai loro re per adorare il Signore» (51). «Nazioni della terra, cantate, cantate il nostro re! cantate poiché il Signore è il re dell'universo; inneggiate con arte» (52). «Ogni spirito lodi il Signore» (53).

Dio si degnò esaudire quel grande desiderio. Lo sguardo profetico del santo Re, scrutando nel profondo avvenire, vide l'immensa esplosione del cenacolo e la faccia della terra rinnovata dall'effusione dello Spirito Santo. Come sono belle e giuste queste espressioni: «In ogni punto della terra gli uomini ricorderanno e si volgeranno al Signore; e tutte le famiglie delle genti si inchineranno adoranti al suo cospetto» (54).

Saggi amici, osservate come l'infinita bontà abbia potuto «dissimulare quaranta secoli», e attendere il ricordo dell'uomo (55). Vorrei ancora citarvi un desiderio del Re Profeta: «Queste pagine», dice, «siano scritte per le generazioni future, e i popoli che verranno benediranno il Signore» (56).

È stato esaudito perché non ha cantato che l'Eterno. I suoi canti partecipano dell'eternità; le parole ardenti affidate alle corde della sua lira divina risuonano ancora dopo trenta secoli in tutte le parti dell'universo. La Sinagoga conservò i Salmi, la Chiesa si affrettò ad adottarli, la poesia di tutte le nazioni cristiane se ne è impossessata, e da più di tre secoli il sole continua a illuminare i templi le cui navate riecheggiano i suoi inni sacri. Si cantano a Roma, a Ginevra, a Madrid, a Londra, a Québec, a Mosca, a Pechino, a Botany Bay, si sussurrano in Giappone.

NOTE

(1) PINDARO, Ode Olimpica II, 149.

(2) Doríô fônàn enarmózai pedílô (PINDARO, Ode Olimpica III, 9).

(3) L'autore allude all'Ode Olimpica I di Pindaro, che celebra la vittoria di Gerone di Siracusa nella corsa di cavalli del 476 a C. ad Olimpia. Quanto alle «mule di Agesilas», si tratta di un errore: un aneddoto antico narra che Anaxilas tiranno di Reggio, avrebbe chiesto a Simonide di Ceo di comporre un epinicio in onore della vittoria conseguita dallo stesso Anaxilas in una corsa, con un carro tirato da mule. Simonide, sdegnando l'esiguità del compenso offerto dal tiranno, avrebbe detto che le mule erano animali troppo ignobili per essere celebrati da un carme. Anaxilas avrebbe aumentato il compenso, stimolando in Simonide un'interessata ispirazione (N.d.T.).

(4) «Multa dircaeum levat aura Cycnum» (Orazio).

(5) Sal. 138, 7, 9, 10, 8.

(6) Ivi, 91, 5-7.

(7) «Quoniam ita est praeparatio eius» (ivi, 64, 10).

(8) «In stillicidiis eius laetabitur germinans». Non conosco espressione più bella.

(9) «Nubes tuae stillabunt pinguedinem» (ivi, 12).

(10) «Pinguescent speciosa deserti» (ivi, 13).

(11) «Clamabunt, etenim hymnum dicent» (ivi, 14).

(12) «Ascensiones in corde suo disposuit» (ivi, 83, 6).

(13) «Ibunt de virtute in virtutem, videbitur Deus deorum in Sion» (ivi, 8).

(14) Ivi, 118, 105.

(15) Ivi, 18, 10-11.

(16) Ivi, 118, 97.

(17) Ivi, 11.

(18) Ivi, 32.

(19) «Altaria tua, Domine virtutum!» (ivi, 83, 4).

(20) Ivi, 142, 10.

(21) «In iniquitatibus conceptus sum, et in peccatis concepit me mater mea» (ivi, 50, 7). «Alienati sunt peccatores a vulva; erraverunt ab utero» (ivi, 57, 4).

(22) Rom. 7, 14; 2 Cor. 3, 17.

(23) «In Deo meo transgrediar murum» (Sal. 17, 30).

(24) «Fac mecum» (ivi, 85, 17).

(25) «Ibunt in adinventionibus suis» (ivi, 79, 15).

(26) Ivi, 62, 6.

(27) Ivi, 38, 4-5.

(28) Ivi, 35, 4.

(29) «Qui diligitis Dominum, odite malum» (ivi, 96, 10). Berthier ne ha detto cose meravigliose. Si veda la sua traduzione.

(30) Ivi, 37, 18.

(31) Ivi, 19.

(32) Ivi, 50, 5.

(33) Ivi, 37, 11, 18.

(34) «Longe clarissima urbium Orientis» (PLINIO, Nat. hist. V, 14).

(35) Sal. 101, 7-8.

(36) Ivi, 6, 7.

(37) Ivi, 37, 3.

(38) Ivi, 6, 3.

(39) Ivi, 37, 4-7, 11.

(40) Ivi, 15-16.

(41) «Peccatori dixit Deus: Quare tu enarras justitias meas, et assumis testamentum meum per os tuum?» (ivi, 49, 16).

(42) «Rectos decet collaudatio» (ivi, 32, 1).

(43) «Velociter currit sermo ejus» (ivi, 147, 15). «Dominus dat verbum evangelizantibus» (ivi, 67, 12).

(44) «Omnes qui habitatis tempus» (ivi, 47, 2). Questa bella espressione appartiene al testo ebraico. La Vulgata dice: «Qui habitatis orbem». Ahimè! Le due espressioni sono sinonimi.

(45) Ivi, 144, 9.

(46) Ivi, 13.

(47) Ivi, 65, 1, 2, 4, 8.

(48) Ivi, 66, 3.

(49) «Particeps ego sum omnium timentium te et custodientium mandata tua» (ivi, 118, 63).

(50) Ivi, 147, 11-12.

(51) Ivi, 101, 23.

(52) «Psallite sapienter» (ivi, 46, 8).

(53) «Omnis spiritus laudet Dominum» (ivi, 150, 6). È l'ultima frase dell'ultimo Salmo.

(54) «Reminiscentur et convertentur ad Dominum universi fines terrae,
et adorabuat in conspectu ejus omnes familiae gentium» (ivi, 21, 28).

(55) Atti, 17, 30.

(56) Platone dice bene! Tutte le verità sono in noi, esse sono noi, e
quando l'uomo crede di scoprirle non fa altro che guardare dentro di sé e dire «sì».

(57) «Scribantur haec in generatione altera, et populus qui creabitur
laudabit Dominum» (ivi, 101, 19).

16 commenti:

  1. Ma De Maistre non era massone?

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  2. Don Alfredo, Le dispiace se Le dico che preferisco Sant'Alfonso? la passione per De Maistre, trasmessaLe dal Professor Plinio colpisce ancora! Le dispiace, ripeto, se preferisco essere sentimentalista con Sant'Alfonso, che "tomista" con Plinio & De Maistre? Tanti saluti da quei due "diroccati" (tra cui un frate francescano) che le offrirono da bere a Montecassino, quando Ella, in occasione del Pellegrinaggio giubilare del 2000 celebrò nel cimitero. L'acqua era a temperatura ambiente, ma è buona e, a suo dire, la dissetava.

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  3. Massone? Fu Egli invece commendatore  ,  mio confratello quindi,  nella Sacra Religione dei SS. Maurizio e Lazzaro, della quale mostra le insegne nel dipinto! 

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  4. <span>Massone? Fu Egli invece commendatore  ,  mio confratello quindi,  nella Sacra Religione dei SS. Maurizio e Lazzaro, della quale mostra l' onorificenza nel dipinto! </span>

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  5. No beh, sapevo anch'io fosse stato massone.. ma poi credo ne sia uscito. Dextera Domini fecit virtutem..

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  6. http://books.google.it/books?id=uxyWJd32HB4C&pg=PA157&lpg=PA157&dq=serate+di+pietroburgo+maistre&source=bl&ots=85odmnKvQT&sig=w0rKfepWIEXtfQUs2mV0WouxBm4&hl=it&ei=eEcVTKT0CpqVOLDK-boM&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CBQQ6AEwADge#v=onepage&q=serate%20di%20pietroburgo%20maistre&f=false

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  7. Fu massone.. ma a quanto pare ne uscì..

    http://books.google.it/books?id=uxyWJd32HB4C&pg=PA157&lpg=PA157&dq=serate+di+pietroburgo+maistre&source=bl&ots=85odmnKvQT&sig=w0rKfepWIEXtfQUs2mV0WouxBm4&hl=it&ei=eEcVTKT0CpqVOLDK-boM&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CBQQ6AEwADge#v=onepage&q=serate%20di%20pietroburgo%20maistre&f=false

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  8. Don Alfredo Morselli13 giugno 2010 alle ore 23:53

    Credo proprio che De Maistre e S.Alfonso in Paradiso siano molto amici, combattenti del gallicanesimo e del giansenismo, antenati del modernismo attuale... ;)

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  9. Solo gli stolti non sanno cambiare idea idea. Evidentemente, De Maistre non era uno stolto! :-)

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  10. Texte admirable, comme tout ce qu'a écrit Joseph de Maistre.
    Oui, Maistre a été maçon dans sa jeunesse, mais, Dieu merci, il en est vite revenu.
    Maistre est le GÉANT de ces deux derniers siècles. Baudelaire et Donoso Cortés l'ont très bien vu.
    Son expérience de la maçonnerie lui a permis d'illuminer comme pas un les soubassements démoniaques de la modernité.
    Puissance de la pensée, force du style, il a tout pour lui.
    Lisez-le — notamment son Du Pape et  son Eclaircissement sur les sacrifices. Vous n'en comprendrez que mieux la Sainte Messe de Toujours.

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  11. <span>Sono d'accordo su "la superiorità dei Salmi", no sono d'accordo su De Maistre e neppure colla spiritualità preconciliare che impediva ai laici di pregare colla liturgia delle ore e preferiva le pie devozioni. </span>

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  12. Vous êtes un grand ignorant, Monsieur, et vous ne connaissez rien, à l'évidence, de la «spiritualité préconciliaire». Quel âge avez-vous?

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  13. Redazione di Messainlatino.it14 giugno 2010 alle ore 16:05

    M. Atalaia, s.v.p., n'insultez pas ainsi notre cher Inopportuno. Vous nous obligerez sinon à défendre un progressiste accompli, vous rendez-vous compte?

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  14. Dire 'spiritualità preconciliare' è dire tutto e nulla, forse sarebbe più corretto, se è questo che vuoi dire, dire 'consuetudine otto-novecentesca"; anche la mia bisonna, nata nel '17 pregava con il breviario che le aveva regalato uno zio prete.

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  15. Povero De Maistre, dimenticato anche da morto.
    Inumato nella chiesa torinese dei S. Martiri, tenuta dai Gesuiti, nella prima cappella a sx entrando (in cornu evangeelii) entrando, ma la sua tomba non è segnalata nè evidenziata in alcun modo.

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