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lunedì 4 maggio 2009

Romano Amerio risponde ad Enzo Bianchi


di Francesco Agnoli

Sono reduce dalla lettura dell’ultimo libro di Enzo Bianchi, Per un’etica condivisa (Einaudi), e non posso non riflettere sulla spaventosa distanza che esiste tra il pensiero di questo famoso monaco mediatico e l’ortodossia cattolica.

L’errore di fondo, che inficia tutto il ragionamento di Bianchi, è quell’ottimismo mondano che si è insinuato profondamente nel pensiero ecclesiastico e cattolico nell’epoca del post Concilio. Mondano, intendo, perché ignora o sminuisce del tutto l’esistenza del peccato.

Quando la Chiesa, scriveva parecchi anni fa il Cardinal Journet al cardinal Siri, prenderà coscienza sino a che punto lo spirito del mondo è penetrato dentro essa, si spaventerà”.

Ma come è penetrata questa mentalità, di cui Bianchi è oggi uno dei massimi alfieri? A mio modo di vedere all’epoca del Concilio, allorché in molti si diffuse l’idea che col mondo, inteso in senso evangelico, occorresse trovare un modus vivendi pacifico e conciliante, sempre e comunque.

Bisognerebbe anzitutto ritornare a quegli anni, per evitare di costruire leggende e miti come quelli che piacciono ai vari Melloni, Mancuso e, appunto, a Enzo Bianchi: il concilio non fu una pacifica e simpatica riunione di vescovi e periti, tutti in perfetto accordo tra loro, ma fu una lotta dura, che vide la presenza di posizioni problematiche e critiche, rispetto alla volontà di “aggiornamento” e “innovazione”, di molti uomini di grande spessore, dal cardinal Siri, più volte papabile, ai cardinali Ottaviani, Ruffini, Bacci, sino al Coetus Internationalis patrum, formato da centinaia di padri conciliari, e raccolto intorno a mons. Marcel Lefebvre.

I documenti conciliari sorsero dunque in mezzo alla tempesta, agli scontri, talora veramente aspri, tra “conservatori” e “progressisti”, con correzioni, emendamenti, e ambiguità, inevitabili laddove un documento nasca come mediazione, come compromesso tra posizioni divergenti. A mio modo di vedere, l’ambiguità più grande fu quella sull’atteggiamento da tenere, appunto, rispetto al mondo, allo spirito moderno e alle sue filosofie.

Il concilio volle essere pastorale, e quindi soffermarsi proprio e soprattutto, in questo caso senza godere dell’infallibilità, sui modi, le strategie, per una nuova evangelizzazione, efficace e fruttuosa. Il principio guida, che fu indicato da Giovanni XXIII, fu quello di utilizzare, rispetto alla “severità” del passato, la “medicina della misericordia”.

Ci fu insomma un cambio di passo, che Romano Amerio, oggi riscoperto e finalmente ristampato da Fede & Cultura, commentò tra l’altro con queste profetiche parole: “Questo annuncio del principio della misericordia contrapposto a quello della severità sorvola il fatto che, nella mente della Chiesa, la condanna stessa dell'errore è opera di misericordia, poiché, trafiggendo l'errore, si corregge l'errante e si preserva altrui dall'errore. Inoltre verso l'errore non può esservi propriamente misericordia o severità, perché queste sono virtù morali aventi per oggetto il prossimo, mentre all'errore l'intelletto repugna con un atto logico che si oppone a un giudizio falso. La misericordia essendo, secondo S. theol., II, II, q. 30, a. 1, dolore della miseria altrui accompagnato dal desiderio di soccorrere, il metodo della misericordia non si può usare verso l'errore, fatto logico in cui non vi può essere miseria, ma soltanto verso l'errante, a cui si soccorre proponendo la verità e confutando l'errore. Il Papa peraltro dimezza un tale soccorso, perché restringe tutto l'officio esercitato dalla Chiesa verso l'errante alla sola presentazione della verità: questa basterebbe per sé stessa, senza venire a confronto con l'errore, a sfatare l'errore. L'operazione logica della confutazione sarebbe omessa per dar luogo a una mera didascalia del vero, fidando nell'efficacia di esso a produrre l'assenso dell'uomo e a distruggere l'errore” (Romano Amerio, Iota unum, Fede & Cultura).

Questo brano magistrale mi sembra possa essere utile per far fronte anche oggi a questo ottimismo mondano, che nasce all’interno del mondo cattolico, e che si presenta con alcune caratteristiche costanti: la condanna più o meno aspra delle decisioni e della pastorale della Chiesa del passato; il ripudio della Tradizione e il tentativo di presentare il Vaticano II come una sorta di nuova Pentecoste, di vero e proprio atto di nascita della cosiddetta “Chiesa conciliare”.

Ottimismo mondano di cui il citato Bianchi costituisce uno degli esempi più solari, in quanto espressione di un tipo di cattolicesimo adulterato che ritiene che l’essenziale sia raggiungere una posizione condivisa, una mediazione, un punto di incontro, quale esso sia, tra la Verità di Cristo e le posizioni, anticristiche, del mondo.

Se analizziamo il libro citato ne troviamo subito, nell’incipit, il significato di fondo: Bianchi vuole fare pulizia, anzitutto all’interno del mondo cattolico, mettere i puntini sulle i, spiegare quale debba essere il comportamento dei suoi fratelli di fede. Costoro, scrive Bianchi, debbono smetterla di riunirsi in “gruppi di pressione (sic) in cui la proposta della fede non avviene nella mitezza e nel rispetto dell’altro, per diventare intransigenza e arrogante contrapposizione a una società giudicata malsana e priva di valori”.

La lettura del seguito fa capire bene il significato di queste parole, del tutto simili a quelle di un Augias o di un Odifreddi: esse sono una condanna chiara, anche se un po’ ipocrita nelle modalità, della posizione della Chiesa e dei cattolici, riguardo al referendum sulla legge 40 e alla questione dei pacs-dico. Una condanna, in generale, di ogni tentativo legale e leale da parte dei cattolici, e non solo, di affermare valori non negoziabili in politica. Bianchi lo ripete più volte, spiegando quello che è ovvio, e cioè che “il futuro della fede non dipende da leggi dello stato”, ma dimenticando che i cattolici, come tutti gli altri cittadini, sono chiamati ad esprimere la loro visione di società, qui e oggi, e non a ritirarsi nelle sagrestie.

Il cattolicesimo che Bianchi vorrebbe è invece insignificante e inesistente sul piano culturale e politico, e finisce addirittura per delineare una religiosità amorfa, astratta, spiritualista, che è lontanissima dall’idea originaria del cattolicesimo.
Ogni scontro e polemica attuale, ogni rinascita odierna dell’anticlericalismo, continua il monaco, è sempre colpa dei credenti, “è sempre una reazione a un clericalismo che si nutre di intransigenza, di posizioni difensive e di non rispetto dell’interlocutore non cristiano”. A parte che non si capisce bene, a leggere queste parole, a quale dibattito abbia assistito Bianchi in questi anni, il punto centrale è un altro: nel togliere al cristianesimo la sua capacità di incarnarsi nella realtà, per plasmarla concretamente, Bianchi finisce per negare cittadinanza al cristianesimo stesso e per scegliere come punto di riferimento assoluto e ingiudicabile, quasi metafisico, la Costituzione repubblicana.

Da essa deriverebbe, udite, udite, “l’assoluto diritto dello stato di legiferare su tutte quelle realtà sociali fondate o meno sul matrimonio (sia religioso che civile)”. “Diritto assoluto”, scrive Bianchi: una affermazione, a ben vedere, che oggi, dopo l’esperienza delle statolatrie totalitarie, neppure il più laicista tra i giuristi arriverebbe, almeno nella teoria, a sostenere.

In tutto il suo argomentare Bianchi annulla il concetto di Verità, affermando un relativismo pieno; sostiene la perfetta equivalenza tra fede e ateismo (“l’uomo può essere umanamente felice senza credere in Dio, così come può esserlo un credente”); nega di fatto in più passaggi, con linguaggio equivoco, ma chiaro, il primato petrino, a vantaggio del “primato del Vangelo”, e propone come unico riferimento del suo argomentare, da buon protestante, solo e soltanto la bibbia, la sua “lettura personale e diretta” (sic), etsi Ecclesia non daretur.

Per un’etica condivisa” è appunto un inno ad un “modo”, ad uno “stile”, al “come”, con cui i cristiani dovrebbero presentarsi oggi ai non credenti: un modo, uno “stile”, inaugurato dal Concilio Vaticano II, che sarebbe “importante quanto il messaggio”.

Coerentemente, in tutto il libro manca, appunto, il messaggio!

Non vi è mai una affermazione chiara di una verità teologica o morale: si parla di “etica condivisa”, si lanciano sfrecciatine piuttosto velenose ai cattolici, al centro destra, a Berlusconi, a Maroni, a Mel Gibson, a Ferrara, come fossero loro i problemi della cristianità, ma poi non si arriva mai ai contenuti: tutto puro stile, buonismo a buon mercato, mai una parola, una posizione, quale che sia, sulla clonazione, la fecondazione artificiale, le famiglia, l’eutanasia, la sessualità, e tutti i problemi più scottanti dell’etica odierna.

Al massimo qualche vago riferimento alla pace, e un accenno, velatissimo, per carità, alla 194, la legge che legalizza l’aborto, ricordando però, anzitutto e soprattutto, che i cattolici dovrebbero rispettare ogni legge nata dal “confronto democratico”, e proclamata, lo si ricordi, da quello Stato che ha potere “assoluto” di vita e di morte.

A Bianchi sfugge, come avrebbe detto Amerio, che lo stile è questione secondaria, nel senso che viene dopo, logicamente e non cronologicamente, perché l’Amore procede dalla Verità, e non viceversa. Gli sfugge, inoltre, che il suo irenismo indifferentista e relativista è stato già bollato da san Pio X, allorché deprecava quanti alla sua epoca si adoperavano per un “adattamento ai tempi in tutto, nel parlare, nello scrivere e nel predicare una carità senza fede, tenera assai per i miscredenti”, all’apparenza, ma in realtà priva di vera misericordia, perché spoglia di verità.

A chi continuava a sponsorizzare una “conciliazione della fede con lo spirito moderno”, Pio X indicava il crocifisso, e ricordava che certe idee “conducono più lontano che non si pensi, non soltanto all’affievolimento, ma alla perdita totale della fede”. Perché se io non fossi un credente, e leggessi, per cercarvi una parola di verità, il libro di Bianchi, arriverei alla conclusione che la verità non esiste, e che la mia sete di verità è roba da persone senza “stile”.

Caro Bianchi, la verità, nella carità, mi dice sempre un’amica pro life, ma: la verità, per carità!

Questo è l’unico stile, della Chiesa, di Cristo e del suo Evangelo, cioè della buona novella (vede che la novella, il messaggio, è importante?).


Il Foglio, 26 aprile 2009

18 commenti:

  1. Bellissimo articolo.

    Antonio

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  2. Tante cose, tantissime, bisognerebbe scrivere sul b. Giovanni XXIII, sull'indizione del Concilio e su Enzo Bianchi. Partiamo dall'ultimo. Su La Stampa di ieri è apparso un suo articolo dove per la prima volta prende le distanze da Mancuso. Che sia l'evoluzione della specie? Anni fa trascorsi a Bose una settimana per un incontro sulla Lettera ai Romani. Bell'ambiente, austero. Ma vuol fare la quadratura del cerchio e non ci riesce come cercare di far condividere la vita cenobitica a dei protestati ma il protestantesimo non ha mai conosciuto l'esperienza del monachesimo, è qualcosa di estraneo ad esso. Nella chiesa di Bose poi la statuina della Madonna è relegata in fondo, di modo che entrando non la si vede. Per non urtare i monaci protestanti? Mi son fatto l'idea che Frere Roger di Taizè sia stato più cattolico di quanto lo sia Enzo Bianchi.
    Indizione del Concilio: fu un gesto di somma autocrazia del b. Giovanni XXIII. Benedetto uomo, perchè si meravigliò che i 17 cardinali presenti a s. Paolo fuori le mura il 25 gennaio 1959 ammutolirono? Che cosa dovevano dirgli? Ringraziarlo per non averli consultati? Eppure il tanto vituperato b. Pio IX consultò i cardinali prima d'indire il Vaticano I e così fece Paolo III prima d'indire il Tridentino. E poi diciamolo: un Concilio si indìce quando le questioni da affrontare sono gravi (cioè deve essere stilato un sorta di ordine del giorno, e per un tempo determinato). Poche cose ma trattate bene. Invece il Concilio fu anche organizzato male, soprattutto nella I sessione (quella giovannea): vedasi i diari di mons. Santin, vescovo di Trieste.
    Sul b. Giovanni XXIII: che dire? Era senz'altro un grande comunicatore come Luciani e Wojtyla. Ma a distanza di anni la prolusione Gaudet Mater Ecclesia dell'11 ottobre 1962 in un punto è dottrinalmente debole. Quella appunto della medicina della misericordia. La Chiesa ha sempre, ripeto SEMPRE, utilizzato quella medicina. A tratti considero Giovanni XXIII un ingenuo come quando ricevette 12 vescovi ungheresi (9 dei quali erano zerbini del regime), tranne Mindzenty che era rifugiato nell'ambasciata U.S.A.a Budapest, come quando non ebbe alcun dubbio nel perseguire l'Ost politik con i camerieri dei sovietici (per lui era una sorta di evidenza scientifica, come quando fece sottoscrivere (così ha pubblicamente affermato Socci) a Parigi un accordo tra Tisserant e i sovietici in cui il Papa si impegnava a impedire che nei testi conciliari comparisse la parola "comunismo" (ed infatti non compare). Si, diciamolo: il b. Giovanni XXIII era gravemenrte malato di ottimismo. La sua fama è dovuta appunto al fatto che era un grande comunicatore e piaceva alla gente. E poi, una parola di chiarezza. Come su Pio XII sovrasta l'accusa di essere stato indulgente col nazismo ( e non è vero), ma si!, chiediamo specularmente anche noi l'apertura degli archivi vaticani relativi al pontificato del b. Giovanni XXIII, prima che si proceda alla sua canonizzazione. Alessandro

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  3. dal Concilio sono nati due grandi equivoci: il primo è come se esso fosse stato l'atto fondativo del cristianesimo, come se prima di esso vi fosse stato solo Gesù Cristo e null'altro di buono; il secondo equivoco indotto dai presunti difensori dello spirito del Concilio è che appunto esso non avendo condannato nulla fosse tutto lecito, tutto equivalente, tutto buono. Mi ricordo bene, ero un liceale, la damnatio memoriae cui fu sottoposta la figura di Pio XII, lo strizzare l'occhio al P.C.I. da parte di molti preti e anche da parte di qualche porpora: mi riferisco al card. Pellegrino, il silenzio su quella catastrofe antropoligica che si chiama comunismo: delle sue brutture non si dovesse parlare. Insomma: una sorta di notte hegeliana in cui tutti i gatti erano grigi. Alessandro

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  4. Ineccepibile l'articolo. Mi permetto di aggiungere qualcosa che potrebbe sembrare ovvio. Qualcuno potrebbe immaginare che si tratti di duelli raffinati su affermazioni di principio. In realtà queste questioni riguardano la vita di tutti i giorni: dall'energia da trovare al mattino per vivere la giornata, all'educazione dei propri figli. Consiglierei al monaco Bianchi e alla sua compagnia di provare ad insegnare in una scuola media (o se i titoli che ha sono superiori ad un altro livello di scuola), si accorgerà la devastazione che ha prodotto soprattutto nell'educazione un tale modo di pensare. Al tempo stesso si accorgerà che nonostante i danni prodotti da una tale "cernobyl dell'io" (come l'ha definita qualche anno fa qualcuno) non è riuscito a scalfire la sete di verità e felicità che alberga nel cuore dei ragazzi, come di tutti.

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  5. J'approuve entièrement cet excellent article et les trois commentaires qu'il a déjà suscités.
    Je me permets d'ajouter ceci:

    1) Jean XXIII n'a pas rendu un bon service à l'Église en convocant le Concile Vatican II dans les circonstances de l'époque (quel est le Cardinal qui a dit qu'il faudrait 50 ans à l'Église pour se remettre du «quart d'heure de folie de Jean XXIII»?);

    2) Le Concile a été un formidable accélérateur de la Révolution mondiale (notamment par son silence délibéré sur le communisme, qui allait faire de nouveaux ravages, notamment à Cuba, au Vietnam, au Cambodge, en Éthiopie, dans les provinces portugaises d'Outre-Mer, etc. — des millions de morts!);

    3) Dans la mesure où, sur des points essentiels (doctrine de la liberté religieuse, doctrine de la laicité de l'Etat, œcuménisme, etc.), l'enseignement du Concile contredit radicalement l'enseignement antérieur du Magistère (comme le cardinal Joseph Ratzinger l'a lui-même reconnu), Vatican II n'a pas rendu service à l'Eglise mais a contribué à son autodestruction.

    En effet, une Église qui se contredit et renie son passé est une Église qui se détruit, qui se discrédite, qui perd toute autorité morale et intellectuelle.

    … Vous dites cela aujourd'hui, mais qui nous dit que vous ne direz pas le contraire demain?…

    La déposition (pour motifs de prétendue humilité!) de la tiare par Paul VI a été le symbole le plus flagrant de cette démission.

    Paul VI, probablement aussi inconscient (on veut le croire) que Jean XXIII de la manipulation dont il était l'objet…

    Le résultat de cet effroyable gâchis, c'est la destruction de l'autorité du Pape et la transformation de l'épiscopat mondial en une aristocratie turbulente qui n'obéit plus au Souverain…

    Et aussi: la confusion des esprits, la perte de la foi (et des âmes), le recul de l'Église, l'hémorragie du clergé…

    Tout cela pour un quart d'heure de folie!

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  6. Concordo in toto con l'articolo e con i commenti soprattutto laddove mettono in evidenza gli errori del Beato Giovanni XXIII, cose che avevo gia intuito per conto mio. Ora che è in Cielo Papa Giovanni almeno preghi perchè si possa porre rimedio al più presto nella Chiesa a tutto il male da lui compiuto (magari in buona fede).
    Complimenti all'ottimo prof. Agnoli.
    un sacerdote cattolico

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  7. l’assoluto diritto dello stato di legiferare su tutte quelle realtà sociali fondate o meno sul matrimonio (sia religioso che civile) Risposero i sommi sacerdoti: "Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare"

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  8. Per bedwere
    Non è necessario risalire fino al 33 D.C.;basta fermarsi al grande beato Pio IX:Proposizione XXXIX del Sillabo
    lo Stato come origine e fonte di tutti i diritti gode di un diritto tale che non ammette confini

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  9. Come in un coro basta una sola nota sbagliata per far stonare i cantori più deboli, così nella nostra vita non possiamo non constatare che la qualità più pericolosa dell'errore è la sua capacità di contagio.
    E' da tempo che trovo le tesi di Enzo Bianchi - debitamente pubblicate sui "giornaloni" massonici, illuministi, atei e soprattutto anti cattolici - sgorgare innocentemente dalle gole di prelati, di suore, di fedeli adulti e di fedeli ancora in crescita, di ingenue insegnanti di catechismo post conciliare, di mamme onniscenti e di papà evanescenti.
    Un ronzio eretico che assorda parrocchie, associazioni, città e campagne.
    Diocesi, come quella di Chiavari, ne sono pervase, parrocchie come quelle di Sestri Levante fanno da megafono.
    Tutto sembra normale, come il sole che sorge e tramonta.
    Dopo tutto il magister è un monaco !
    Si va in gita al suo convento per imparare. Cosa? Ad essere eretici.
    E Roma tace.

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  10. Se posso dirlo, non sono d'accordo a paragonare Bianchi a Mancuso o, peggio, Odifreddi: ricordiamoci che è comunque priore di una comunità monastica, e in un tempo come il nostro in cui il monastero è schernito ed evitato.
    Sul Concilio e su Papa Giovanni, credo inoltre che non si possano imputare di niente: Concilio e Papi "conciliari" (anche se è un termine orrendo...i Papi sono della Chiesa!) non hanno alcuna colpa, a differenza di altri, magari anche in buona fede, che hanno mal interpretato i docmunenti conciliari (perfettamente ortodossi e legati alla Tradizione) e hanno arrecato molto danno; credo che il Concilio si debba leggere secondo l'ermeneutica della continuità di Papa Benedetto (ma direi anche di Papa Giovanni, Papa Paolo e dei due Giovanni Paolo), l'unica vera e affidabile.
    Beninteso, le mie idee sono criticabili o apprezzabili come quelle di chiunque altro.

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  11. Diciamo che tutto quello di orribile e terribile che è successo in questi quarant'anni non sia frutto del Concilio ma colpa di chi ha voluto fargli dire quello che non ha detto (e io sono molto convinto di questo e chi frequenta questi siti specialmente negli ultimi anni benedettiani lo ha letto in tutte le salse). Se il male non è colpa del Concilio la domanda che rimane è: qual è il bene che il Concilio ha prodotto? Alla fine a cosa è servito in positivo? C'è una risposta in questo senso alternativa alle solite tiritere mellonico - dossettiche? Lo chiedo sinceramente, senza ironia o malizia. Anzi, spero vivamente che una risposta ci sia perché la montagna (la più grande adunanza di Vescovi da tutto l'orbe terracqueo) non può aver partorito il topolino.
    Cordiali saluti.

    A.G., Correggio

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  12. quel signore col pizzetto e l'aria furbetta, in giacca e cravatta, che si vede in tv è un monaco?
    Interessante.

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  13. La déposition (pour motifs de prétendue humilité!) de la tiare par Paul VI a été le symbole le plus flagrant de cette démission.

    Cher Raul, bon mot, merci.

    I vedo una situazione concreta nella mia vita.

    Mia madre legge, ascolta ed ammira Enzo Bianchi. Poi lamenta amaramente il disastro morale dei tempi moderni e della nostra Italia, l'irriverenza nella liturgia attuale....c'e' indifferenza, pressapochismo, scarsa partecipazione....
    Facile dare risposte, difficile farsi capire.
    F.d.S

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  14. Enzo Bianchi solo perchè esiste Famiglia (S)Cristiana...!! la sua comunità non cresce non crepa, non è ne carne ne pesce...è vegetale e come tale rispettabile!

    ^__^

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  15. Certo, Caterina, Bose non è nè carne nè pesce ed è rispettabile ma chi non è capace di scandalizzare annunciando il Vangelo non è neppure in grado di convertire (cfr. Werenfried van Straaten, fondatore di Aiuto alla Chiesa che soffre, Direttive spirituali). Alessandro

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  16. Chi vorrebbe mondare il cristianesimo dalle sue accessioni millenarie per restituirlo alla sua "purezza primitiva", dichiara "originali" e "autentici" solo quegli elementi del cristianesimo approvati dal senso comune del proprio tempo.
    Da due secoli il "cristianesimo primitivo" si rimodella, più o meno ogni dieci anni, sulle opinioni dominanti.

    Da "Tra poche parole" di Nicolas Gomez Davila

    Ciao a tutti
    Stefano

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  17. Concordo con Stefano. Il "primitivo" che ognuno vede è una semplice opinione o una individuale (o di gruppo) esigenza che non è detto collimi con la verità.
    Extrapolare dal complesso bimillenario divino mosaico della Chiesa la tessera più antica è come credere che un granello di sabbia sia il deserto.
    La vana ricerca del "primitivo" è l'insano archeologismo condannato da Pio XII nella Mediator Dei.

    Il problema è che da 40 anni a questa parte si sono aggiunte tessere discordanti con l'insieme dell'edificio precedente. Tutto il mosaico può crollare ed in parte è crollato, almeno nella mente e nel cuore di tanti fedeli.
    L'essenza del mosaico è sempre lì, immobile: la roccia di Cristo.

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  18. Alcuni testi del Vaticano II, come la Dignitatis Humanae e la Nostra aetate, per esser letti nell'ermeneutica della continuità dovrebbero esser rifatti di sana pianta. La quadratura del cerchio.
    Si dimostri da chi di competenza, punto per punto, la continuità col magistero precedente. Se n'è già parlato altrove. Meglio lasciarli perdere nell'oblìo visto che non han promulgato aluna verità.

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