L’affezionato nostro lettore dal significativo nickname di Inopportuno, scelto molto a proposito avendo egli la vocazione di far valere, in questo sito di amanti della tradizione liturgica, le ragioni (se non i luoghi comuni) dei più accaniti novatori postconciliari, ci ha molto cortesemente inviato la traduzione dal francese di un testo inerente i paramenti liturgici.
La tesi che egli intende dimostrare è che l’amore per il rito antico nasconde in realtà una passione, non del tutto sana, per aspetti esteriori, stoffe e broccati, pizzi e merletti. In altri termini: superficiale estetismo e gusto frou-frou, che invece la riforma postconciliare avrebbe felicemente superato lasciando quegli orpelli superflui ed antievangelici agli antiquari e ai rigattieri.
Se accettiamo la provocazione di Inopportuno non è solo perché glielo abbiamo promesso, e gli siamo comunque grati dell’opera di traduzione. E’ anche per affrontare ex professo uno dei più frequenti pregiudizi che si muovono contro coloro che prediligono il rito antico: essere esteti decadenti, che si beano in modo elitario di un’arte per l’arte, delle risonanze di una lingua morta e incompresa, di una musica tanto sopraffina quanto lontana dal gusto comune. E soprattutto, che si perdono dietro a nappe e ricami mostrando così un’attenzione a dettagli senza importanza, col rischio di perder di vista l’essenza della liturgia.
Quell’accusa risuona troppo spesso nella bocca dei novatori; e perfino Andrea Tornielli, che non è un progressista esaltato, è venuto su questo blog a dirci: “l'ideologia del pizzo e del merletto esiste eccome! L'ideologia dell'estetismo esiste eccome! Viaggiando molto, vengo in contatto con molte realtà: vorrà dire che d'ora in avanti comincerò a scrivere una guida Michelin delle messe secondo il motu proprio...”. Un protestante, vedendo la bellezza di certi rituali – in quel caso ortodossi – coniò la battuta: salvation through haberdashery, salvezza grazie alla passamaneria...
Insomma, è giusto prendere in conto quell’accusa di fissazione per trine e ricami (e, in genere, per gli aspetti esteriori ed estetici del rito) e rispondervi. Noi siamo ben fieri di ammettere che, di regola, il rito antico esprime una bellezza incomparabilmente superiore ai riti ordinari cui siamo tutti avvezzi. Ma che questo sia uno svantaggio o qualcosa che meriti critiche, non ci sembra per nulla, anzi. E che il gusto per la forma oscuri la sostanza, ci appare come un sofisma senza costrutto: poiché al contrario la forma esprime la sostanza; o meglio ancora, è la sostanza che dà la forma. In altri termini: se quel che si svolge all’altare ha importanza, importanti saranno gli oggetti che si consacrano all’atto sublime, in quanto espressione di trasporto e fervore: poiché il desiderio di abbellire nasce dall’amore, come osservava Graham Greene ne Il Potere e la Gloria, il romanzo dedicato all’epopea dei Messicani all’epoca delle persecuzioni anticattoliche.
E non dimentichiamo che chi rimproverò Gesù per aver consentito alla donna di sprecare per Lui un prezioso unguento, anziché venderlo per sfamare i poveri, fu proprio Giuda Iscariota.
Ma lasciamo ai lettori di svolgere le dovute riflessioni sul punto e torniamo al testo; eccolo:
Monique Brulin, Requête de sacralité ou entrée dans le Mystère? L’apport de la PGMR 2002, in La Maison-Dieu, n. 257, 2009/1, p.121-5
La tesi che egli intende dimostrare è che l’amore per il rito antico nasconde in realtà una passione, non del tutto sana, per aspetti esteriori, stoffe e broccati, pizzi e merletti. In altri termini: superficiale estetismo e gusto frou-frou, che invece la riforma postconciliare avrebbe felicemente superato lasciando quegli orpelli superflui ed antievangelici agli antiquari e ai rigattieri.
Se accettiamo la provocazione di Inopportuno non è solo perché glielo abbiamo promesso, e gli siamo comunque grati dell’opera di traduzione. E’ anche per affrontare ex professo uno dei più frequenti pregiudizi che si muovono contro coloro che prediligono il rito antico: essere esteti decadenti, che si beano in modo elitario di un’arte per l’arte, delle risonanze di una lingua morta e incompresa, di una musica tanto sopraffina quanto lontana dal gusto comune. E soprattutto, che si perdono dietro a nappe e ricami mostrando così un’attenzione a dettagli senza importanza, col rischio di perder di vista l’essenza della liturgia.
Quell’accusa risuona troppo spesso nella bocca dei novatori; e perfino Andrea Tornielli, che non è un progressista esaltato, è venuto su questo blog a dirci: “l'ideologia del pizzo e del merletto esiste eccome! L'ideologia dell'estetismo esiste eccome! Viaggiando molto, vengo in contatto con molte realtà: vorrà dire che d'ora in avanti comincerò a scrivere una guida Michelin delle messe secondo il motu proprio...”. Un protestante, vedendo la bellezza di certi rituali – in quel caso ortodossi – coniò la battuta: salvation through haberdashery, salvezza grazie alla passamaneria...
Insomma, è giusto prendere in conto quell’accusa di fissazione per trine e ricami (e, in genere, per gli aspetti esteriori ed estetici del rito) e rispondervi. Noi siamo ben fieri di ammettere che, di regola, il rito antico esprime una bellezza incomparabilmente superiore ai riti ordinari cui siamo tutti avvezzi. Ma che questo sia uno svantaggio o qualcosa che meriti critiche, non ci sembra per nulla, anzi. E che il gusto per la forma oscuri la sostanza, ci appare come un sofisma senza costrutto: poiché al contrario la forma esprime la sostanza; o meglio ancora, è la sostanza che dà la forma. In altri termini: se quel che si svolge all’altare ha importanza, importanti saranno gli oggetti che si consacrano all’atto sublime, in quanto espressione di trasporto e fervore: poiché il desiderio di abbellire nasce dall’amore, come osservava Graham Greene ne Il Potere e la Gloria, il romanzo dedicato all’epopea dei Messicani all’epoca delle persecuzioni anticattoliche.
E non dimentichiamo che chi rimproverò Gesù per aver consentito alla donna di sprecare per Lui un prezioso unguento, anziché venderlo per sfamare i poveri, fu proprio Giuda Iscariota.
Ma lasciamo ai lettori di svolgere le dovute riflessioni sul punto e torniamo al testo; eccolo:
Monique Brulin, Requête de sacralité ou entrée dans le Mystère? L’apport de la PGMR 2002, in La Maison-Dieu, n. 257, 2009/1, p.121-5
IL VESTITO LITURGICO
Si vede spuntare oggi qualche dibattito sulla scelta delle vesti liturgiche, nella loro materia e nella loro forma per dare all’azione liturgica una sacralità più marcata. Questa tendenza si orienta qualche volta verso un ritorno a delle vesti portate nel passato, di cui certe non mancavano di contegno e di ricchezza. Conviene, nondimeno, rimarcare che il protocollo imperiale o regale della Corte che ne ha potuto ispirare la fattura non è senza dubbio più il quadro significante che permette di esprimere nelle nostre società, a livello dell’arte contemporanea, o ancora, dei segni attuali della civiltà, un riconoscimento della signoria del Cristo.
Si tratta di considerare la coerenza delle proposizioni. La bellezza del tessuto e la qualità del lavoro che le caratterizza non sono sufficienti in esse stesse a dedurre la bellezza e la nobiltà congruenti alla celebrazione dell’eucaristia. Se, con il re Luigi XIV, la Francia del XVII secolo ha visto accrescersi i pizzi ai bordi delle vesti dei cortigiani, questo marchio di qualità non ha senza dubbio la stessa significazione nella società attuale. Negare le connotazioni antropologiche e culturali contemporanee di tali ornamenti manifesterebbe un oblio dannoso della natura incarnata della liturgia. Conviene in particolare distinguere ciò che conviene alle vesti di sopra e quello che si accorda di più alle vesti di sotto: attualmente i pizzi fini e trasparenti appaiono piuttosto in questo ultimo registro e, nelle nostre contrade, specialissimamente femminile.
Anche nelle epoche anteriori dove esse si sono moltiplicate ai bordi del vestito liturgico (dell’alba o del rocchetto, addirittura della talare o della cotta) la critica non mancava per delle ragioni di convenienza.
Ecco qui un testimone nel 1930 (E. Roulin, benedettino, “Linges, insignes et vêtements liturgiques” 1930, p. 14-16 …): “Un cambiamento considerevole di idee e di gusto sopravviene, nel Rinascimento … Abbiamo appena nominato il gusto; fu in favore delle opere, le une pompose e pretenziose, le altre graziose e pretese seducenti; tra queste ultime ci sono i pizzi. Gentili cose, in effetti, che capteranno l’opinione favorevole dei ricchi e diverranno un accompagnamento necessario … di tutti gli accessori di tutti gli accessori dell’abbigliamento femminile e, altrettanto, dei differenti pezzi dei costumi dei gentiluomini; infine e molto in fretta decoreranno le vesti della liturgia”. Non riveliamo niente se diciamo che il clero fu sovente contaminato dallo spirito del mondo che batteva, allora, la sua piana [(?) non possiamo verificare il testo originale, ma se l'espressione usata era battait son plein, andrebbe allora tradotto con: si trovava al suo apice]. Le grandi dame e i signori furono incantati dei pizzi; e il clero credé di bon ton di aprirsi allo stesso incantamento. Come si vede una vita cristiana ed ecclesiastica più seria, e il suo completamento più importante: un’arte religiosa più semplice, più degna e più forte che in quei tempi lì, del tutto naturalmente desidera eliminare i pizzi dalle vesti e dai sacri panni …”. Si tratta di ritornare a “una nobile semplicità che esclude sciocchezze e leziosità”.
Si può ricordare, in un altro registro di manifestazione cultuale, una costante raccomandazione concernente l’emissione della voce: evitare una pronuncia “molle, stanca, effeminata” (san Bernardo, “Sermone 47 sul Cantico”: più volte citato a questo proposito dagli autori del XVII e dell’inizio XVIII secolo, come J. Grincolas, il card. Bona, L. Thomassin), “più degna del teatro, dice san Girolamo, che della casa di Dio” (J. Le Lorrain “De l’ancienne costume de prier debout e d’adorer debout le jour de dimanche”)
Da dove viene la significanza e l’opportunità di una scelta, soprattutto estetica, di marcare la “reverenza” necessaria relativamente alle funzioni, alle persone che hanno missione di compierle e alle azioni prescritte? Le scelta si farà in funzione di una distanza presa in rapporto ai segni del potere temporale? In quelle sfera si troverà il segno il più adeguato per produrre i segni di rispetto in rapporto al trascendente e al mistero celebrato? L’esperienza mostra che non è sufficiente ritornare a delle forme del passato per scappare dal carattere incongruo di certe scelte
Nei suoi “Examens particuliers” ad uso dei preti, l’abate Tronson evocava chiaramente nel suo tempo gli eccessi da evitare per restare nella modestia ecclesiastica:
“Consideriamo le regole che la modestia ecclesiastica ci dona per i nostri vestiti. Lei non ci permette di apportarci dell’oro, dell’argento e del pizzo; né di servirci di stoffe di seta, e neppure di quelle che sono troppo ricche o che avrebbero troppo lustro o troppo risalto. La modestia non sopporta che con pena le stoffe trasparenti attraverso le quali si può vedere l’abito di sotto … Lei rigetta i grandi risvolti, gli alti manicotti, i guanti a frange, le calze colorate, le scarpe mignon, le cinte svolazzanti, i capelli pieni di lustrini” (citato da Pascal Dibiè, “La tribu sacrèe”, cap. 4, “la grammaire des rites”).
Certo, si tratta del costume abitualmente portato dagli ecclesiastici. Il vestito liturgico può rivelare una logica differente per significare la gloria di Dio.
Ciò nonostante: “La veste sacra non deve essere un imbarazzo … nelle sue pieghe l’uomo più rude dovrebbe trovare la grandezza reale del figlio di Dio restituito in grazia … Un vestito non è sacro perché accumula ricchezze, non è il mantello del re, ma uno strumento liturgico” (A.M. Cocagnac, “Le vêtement sacré”, Art sacré 1955. Noi sviluppiamo alcune di queste osservazioni sulla qualità del vestito liturgico che può trovarsi sottomesso a “effetti della moda” insufficientemente riflettuti).
Sembra che l’opzione che ha condotto nell’epoca contemporanea alla scelta più diffusa per i vestiti liturgici (La Congregazione culto divino ha stimato che il “progetto di poter utilizzare, come nella PGMR 304 [oggi 342] un vestito sacerdotale di forma ampia con la stola piazzata sopra: vestito che avvolge tutto il corpo del celebrante e rimpiazza l’alba, era conforme ai principi generali concernenti i vestiti liturgici e fissati dalla PGMR 297 [oggi 335]”. La stola mette bene in valore il ministero gerarchico del prete; questo vestito, se è confezionato con arte e in un bel tessuto “salvaguardia il carattere sacro degli oggetti liturgici e aggiunge un elemento di bellezza” … In dettaglio …: Notitiae 1973 p. 96-98), nella loro forma e materia, si ispira in gran parte al modello monastico. È perché si è soprattutto attenti alla caduta del vestito che dà ai gesti e agli atteggiamenti della preghiera una certa gravità (un certo peso), una ampiezza sufficiente, senza rigidità, ne’ eccesso. È la linea di orientamento che preconizza la PGMR 344 “La bellezza e la nobiltà del vestito non devono tenere all’abbondanza degli ornamenti aggiunti sopra, ma alla materia impiegata e alla forma del vestito. Questo potrà presentare dei motivi, delle immagini o dei simboli che indicano un uso sacro e si scarterà quelli che faranno a pugni con lui”. La destinazione liturgica del vestito, tutto contribuendo alla bellezza dell’azione, mette in evidenza la diversità dei ministeri, tanto dei preti e dei diaconi quanto dei laici: “la diversità dei ministeri si manifesta esteriormente con la diversità dei vestiti liturgici, che devono dunque essere il segno della funzione propria di ciascun ministro. Bisogna nondimeno che questi vestiti contribuiscano alla bellezza dell’azione liturgica. Bisogna … siano benedetti prima di servire alla liturgia, secondo il rito previsto nel rituale romano (la PGMR 335)”».
Si tratta di considerare la coerenza delle proposizioni. La bellezza del tessuto e la qualità del lavoro che le caratterizza non sono sufficienti in esse stesse a dedurre la bellezza e la nobiltà congruenti alla celebrazione dell’eucaristia. Se, con il re Luigi XIV, la Francia del XVII secolo ha visto accrescersi i pizzi ai bordi delle vesti dei cortigiani, questo marchio di qualità non ha senza dubbio la stessa significazione nella società attuale. Negare le connotazioni antropologiche e culturali contemporanee di tali ornamenti manifesterebbe un oblio dannoso della natura incarnata della liturgia. Conviene in particolare distinguere ciò che conviene alle vesti di sopra e quello che si accorda di più alle vesti di sotto: attualmente i pizzi fini e trasparenti appaiono piuttosto in questo ultimo registro e, nelle nostre contrade, specialissimamente femminile.
Anche nelle epoche anteriori dove esse si sono moltiplicate ai bordi del vestito liturgico (dell’alba o del rocchetto, addirittura della talare o della cotta) la critica non mancava per delle ragioni di convenienza.
Ecco qui un testimone nel 1930 (E. Roulin, benedettino, “Linges, insignes et vêtements liturgiques” 1930, p. 14-16 …): “Un cambiamento considerevole di idee e di gusto sopravviene, nel Rinascimento … Abbiamo appena nominato il gusto; fu in favore delle opere, le une pompose e pretenziose, le altre graziose e pretese seducenti; tra queste ultime ci sono i pizzi. Gentili cose, in effetti, che capteranno l’opinione favorevole dei ricchi e diverranno un accompagnamento necessario … di tutti gli accessori di tutti gli accessori dell’abbigliamento femminile e, altrettanto, dei differenti pezzi dei costumi dei gentiluomini; infine e molto in fretta decoreranno le vesti della liturgia”. Non riveliamo niente se diciamo che il clero fu sovente contaminato dallo spirito del mondo che batteva, allora, la sua piana [(?) non possiamo verificare il testo originale, ma se l'espressione usata era battait son plein, andrebbe allora tradotto con: si trovava al suo apice]. Le grandi dame e i signori furono incantati dei pizzi; e il clero credé di bon ton di aprirsi allo stesso incantamento. Come si vede una vita cristiana ed ecclesiastica più seria, e il suo completamento più importante: un’arte religiosa più semplice, più degna e più forte che in quei tempi lì, del tutto naturalmente desidera eliminare i pizzi dalle vesti e dai sacri panni …”. Si tratta di ritornare a “una nobile semplicità che esclude sciocchezze e leziosità”.
Si può ricordare, in un altro registro di manifestazione cultuale, una costante raccomandazione concernente l’emissione della voce: evitare una pronuncia “molle, stanca, effeminata” (san Bernardo, “Sermone 47 sul Cantico”: più volte citato a questo proposito dagli autori del XVII e dell’inizio XVIII secolo, come J. Grincolas, il card. Bona, L. Thomassin), “più degna del teatro, dice san Girolamo, che della casa di Dio” (J. Le Lorrain “De l’ancienne costume de prier debout e d’adorer debout le jour de dimanche”)
Da dove viene la significanza e l’opportunità di una scelta, soprattutto estetica, di marcare la “reverenza” necessaria relativamente alle funzioni, alle persone che hanno missione di compierle e alle azioni prescritte? Le scelta si farà in funzione di una distanza presa in rapporto ai segni del potere temporale? In quelle sfera si troverà il segno il più adeguato per produrre i segni di rispetto in rapporto al trascendente e al mistero celebrato? L’esperienza mostra che non è sufficiente ritornare a delle forme del passato per scappare dal carattere incongruo di certe scelte
Nei suoi “Examens particuliers” ad uso dei preti, l’abate Tronson evocava chiaramente nel suo tempo gli eccessi da evitare per restare nella modestia ecclesiastica:
“Consideriamo le regole che la modestia ecclesiastica ci dona per i nostri vestiti. Lei non ci permette di apportarci dell’oro, dell’argento e del pizzo; né di servirci di stoffe di seta, e neppure di quelle che sono troppo ricche o che avrebbero troppo lustro o troppo risalto. La modestia non sopporta che con pena le stoffe trasparenti attraverso le quali si può vedere l’abito di sotto … Lei rigetta i grandi risvolti, gli alti manicotti, i guanti a frange, le calze colorate, le scarpe mignon, le cinte svolazzanti, i capelli pieni di lustrini” (citato da Pascal Dibiè, “La tribu sacrèe”, cap. 4, “la grammaire des rites”).
Certo, si tratta del costume abitualmente portato dagli ecclesiastici. Il vestito liturgico può rivelare una logica differente per significare la gloria di Dio.
Ciò nonostante: “La veste sacra non deve essere un imbarazzo … nelle sue pieghe l’uomo più rude dovrebbe trovare la grandezza reale del figlio di Dio restituito in grazia … Un vestito non è sacro perché accumula ricchezze, non è il mantello del re, ma uno strumento liturgico” (A.M. Cocagnac, “Le vêtement sacré”, Art sacré 1955. Noi sviluppiamo alcune di queste osservazioni sulla qualità del vestito liturgico che può trovarsi sottomesso a “effetti della moda” insufficientemente riflettuti).
Sembra che l’opzione che ha condotto nell’epoca contemporanea alla scelta più diffusa per i vestiti liturgici (La Congregazione culto divino ha stimato che il “progetto di poter utilizzare, come nella PGMR 304 [oggi 342] un vestito sacerdotale di forma ampia con la stola piazzata sopra: vestito che avvolge tutto il corpo del celebrante e rimpiazza l’alba, era conforme ai principi generali concernenti i vestiti liturgici e fissati dalla PGMR 297 [oggi 335]”. La stola mette bene in valore il ministero gerarchico del prete; questo vestito, se è confezionato con arte e in un bel tessuto “salvaguardia il carattere sacro degli oggetti liturgici e aggiunge un elemento di bellezza” … In dettaglio …: Notitiae 1973 p. 96-98), nella loro forma e materia, si ispira in gran parte al modello monastico. È perché si è soprattutto attenti alla caduta del vestito che dà ai gesti e agli atteggiamenti della preghiera una certa gravità (un certo peso), una ampiezza sufficiente, senza rigidità, ne’ eccesso. È la linea di orientamento che preconizza la PGMR 344 “La bellezza e la nobiltà del vestito non devono tenere all’abbondanza degli ornamenti aggiunti sopra, ma alla materia impiegata e alla forma del vestito. Questo potrà presentare dei motivi, delle immagini o dei simboli che indicano un uso sacro e si scarterà quelli che faranno a pugni con lui”. La destinazione liturgica del vestito, tutto contribuendo alla bellezza dell’azione, mette in evidenza la diversità dei ministeri, tanto dei preti e dei diaconi quanto dei laici: “la diversità dei ministeri si manifesta esteriormente con la diversità dei vestiti liturgici, che devono dunque essere il segno della funzione propria di ciascun ministro. Bisogna nondimeno che questi vestiti contribuiscano alla bellezza dell’azione liturgica. Bisogna … siano benedetti prima di servire alla liturgia, secondo il rito previsto nel rituale romano (la PGMR 335)”».
non ho letto la traduzione dell'articolo mandato da Inopportuno perchè non mi interessa. Credo che solo un semi infermo di mente possa andare a Messa V.O. solo perchè ci sono pizzi e/o merletti o perchè c'è il cardinale X o Y con uno strascico rosso di 4 metri. A me il V.O. piace per la sua bellezza e il suo fascino, per il sensus Ecclesiae che si respira, per il senso del Mistero di cui è pervaso. Pizzi e merletti? Mai mi era balenata per la mente un'idea così balzana. Alessandro
RispondiEliminaNo no. Inopportuno ha ragione. La sindrome del sacro pizzaiolo esiste eccome. Ne avete esempi vicinissimi e cinguettanti.
RispondiEliminaIl discorso su pizzi e annessi e connessi non mi entusiasma (a quando un excursus sulla forma dei banchi delle chiese?). Da un punto di vista molto più generale l’errore di base dei novatori è quello di considerare la liturgia come qualcosa che ci si può forgiare a proprio gusto e a seconda delle esigenze del momento. Invece non siamo noi che facciamo la liturgia, così come non siamo noi che facciamo la filosofia di Platone o la poesia di Dante. Possono anche non piacere alcuni punti della filosofia di Platone, ma non si possono riscrivere i Dialoghi senza esporsi al ridicolo. Mi rendo conto inoltre che per molte persone è stato un trauma trovarsi un bel mattino ribaltata la pietra che pensavano di avere rotolato per sempre sopra la messa tradizionale, ma è il destino al quale si va incontro quando si cerca di togliere di mezzo ciò che è immortale.
RispondiEliminal'uomo è per natura portato ad apprezzare il bello oggettivo; in ogni epoca ha sempre portato nella domus Dei e nel culto divino, quanto di più bello i tempi e le condizioni economiche permettevano. in epoca moderna il senso oggettivo del bello è scivolato verso il soggettivismo, ma si è pure introdotto un senso "scadente" del bello. La variegata e molto variopinta produzione di paramenti sacri ed articoli sacri lo testimonia. Eppure i principii del Novus Ordo indicano la strada da seguire: non appariscente sontuosità (esempio: ricami in simil oro etc.) ma ricerca di nobiltà nel tessuto in se stesso (e quindi: seta, non nylon). Nonostante questi principii, sono caduti in disuso i ricami in simil oro (ed è positivo) o i pizzi in nylon (anche questo positivo) ma non si è neppure ricercata la nobiltà nei tessuti; risultato: sciatterie a non finire e plastica al posto della seta.
RispondiEliminaPertanto i vecchi merletti del titolo di questo articolo altro non è che la concretizzazione pratica del "dilexi decorem domus tuae"; oserei dire che il bello nel culto ( e quindi anche un pizzo, una trina ed un merletto, magari antico) è una sorta di incarnazione della Parola di Dio nel vissuto quotidiano.
Il pauperismo oggi di moda è figlio dell'ideologia; i poveri, quelli veri, han sempre fatto sacrifici per dotare le chiese e il culto degli arredi più belli.
I pauperisti sono finti poveri nemici della bellezza e dell'arte.
I poveri, diceva il cardinale Slipyj, han già poco pane, volete togliergli anche il bello dell'arte e della musica?
I sacri pizzaioli non sono coloro che amano dotare il culto di trine e merletti, ma sono coloro che vanno in giro col metro a misurare i centimetri delle trine di un camice o di un superpelliceo per criticarli.
Antonello
Ottimi gli interventi di Jacopo ed Antonello. Alessandro
RispondiEliminaCi sarebbe anche da chiedersi se una forma di estetismo pervertito non si sia impadronita, invece, del Novus Ordo. Il gusto del rozzo e dello sciatto, il senso del kitsch configura pur sempre un'estetica (decaduta).
RispondiEliminaE anche sulla questione della virilità del rito. Sono forse virili le zuccherose canzonette adolescenziali, se non infantili, che accompagnano le messe Novus Ordo? Son forse virili i paramenti in spalmato d'oro, stile "drag-queen" anni Settanta? Ed è virile tenersi la manina al Padre nostro o scambiarsi effusioni bamboccesche al segno della pace? Potremmo continuare all'infinito, perché i segni di infiacchimento e mollizie nell'estetismo da "Tempo delle mele" del Novus Ordo degenerato sono molti ed evidentissimi.
Strquoto Jacopo e Alessandro.
RispondiEliminaOvviamente anche per me e' l'aspetto spirituale e verticale del Rito tridentino a conquistarmi. Ma per me non si tratta di conquista ma piuttosto di restituzione ad un patrimonio che appartiene da sempre ai fedeli cattolici, in particolare ai piu' poveri in senso materiale.
Ritornano con la memoria alle mie esperienze degli anni '70, quando mi preparavo alla prima comunione, in piena bufera postconciliare (ricordo come inistevano sulla cena, direi quasi sul "sedersi a tavola") Pensavo che solo dei pazzi potevano aver rinunciato alla grandezza del sacro Rito in latino col sacerdote rivolto a Dio.
Ma comunque mi sembrava che non si potesse prendere altro da un mondo che distruggeva, dissacrava, rapiva, uccideva, aboliva, manifestava, lanciava bombe, invadeva.ecc.ecc..(scusate lo sfogo personale).
F.d.S.
credo che il problema di pizzi e merletti ci sia, ma risiede a monte, è un discorso di fede. Se io ho fede e credo che la liturgia sia relmante la cosa più impotrante, allora ho cura che i paramenti liturgici siano i più belli possibili, perchè devono esprimere la bellezza del mistero e aiutare nell'incontro con Dio. Se non c'è questa fede è solo un narcisismo patologico che non ha nulla a che vedere con Gesù Cristo
RispondiEliminaALESSANDRO
Ho letto l’articolo e, onestamente e senza prevenzioni, non l’ho trovato di significativo interesse.
RispondiEliminaDirei pragmaticamente che i paramenti usati nel venerabile Rito sono molto più belli ma soprattutto consoni ad un’azione liturgica molto più di quelli che la moda pauperistica dello “spirito” del Concilio ha introdotto. Che cos’è più povero (e non pauperista)? Rammendare con perizia e pazienza, ciò che ci è stato lasciato e che ha respirato e vissuto di Sacro o spendere milioni di Lire -oggi migliaia di euro- in vesti nuove (molto spesso fredde se non di pessimo gusto)? Cos’è più modesto o povero: utilizzare una vecchia Lancia Thema o comprarsi una Smart? Vivere in una casa ristrutturata e ben mantenuta o buttarsi su bilocali di nuova costruzione?
Detto questo e per far sorridere i cultori del vecchio rito del 1970, penso che molte trine nacquero come frutto di arte, pazienza e lavoro, attività manuali rivolte a Dio come una preghiera; molte volte riempirono gli occhi di chi le fece e di chi le donò e le vide usare per l'atto più grande che un uomo possa compiere: tirare giù dal Cielo Nostro Signore Che Si nasconde nelle Sacre Specie. Io credo in questo.
A.H.
Pizzi e merletti, ebbene sì. Sono una di quelle "pie donne" che si dedicano alla manutenzione dei vari paramenti della chiesa parrocchiale. Non sono ne' un folosofo, nè un intellettuale, ma mi rendo conto, quando lavo e soprattutto stiro le vecchie cotte, di quanto amore e sacro zelo dovevano essere cariche quelle mani che hanno così finemente prodotto certi preziosi ricami e merletti. Che cosa, se non il rispetto e l'alta considerazione del rito sacro potevano guidare le esecuzioni di lavori tanto complessi e precisi?
RispondiEliminaAnche questo è una manifestazione del senso del sacro. Penso alle religiose,alle donne dei tempi passati, spesso appartenenti a famiglie nobili e ricche, che dedicavano delle giornate intere al telaio o a lavorare con ferri e uncinetto per la gloria di Dio. Evviva V.O. e vecchi merletti. Ho l'impressione che anche in questo caso sia in atto una lotta di classe: i paramenti ricchi e preziosi sono borghesi, mentre quelli semplici (sintetici e plasticoni con lustrini da cabaret) e pauperistici sono antiborghesi.Anche questa è una conquista post conciliare. Un vero peccato... Maria
A motivo della mia età potrei essere definito come dei più esperti , a livello locale, dell'organizzazione delle Messe con l'antico rito.
RispondiEliminaDa oltre un anno , come risaputo, abbiamo le celebrazioni stabili a Campocavallo di Osimo.http://www.missaleromanum.it/Immagini/Campocavallo/Campocavallo.htm
Oltretutto da quando, dopo il liceo classico e socchiuse le porte vocazionali locali, perchè invocavo, profeta ( ?) una certa ermeneutica della contionuità ho scelto di fare il musicista dovrei dire che ho fatto della ricerca del bello e dell'armoniosità lo stile della mia vita.
Scritto tutto questo con la massima franchezza vorrei dire che nel mio auto-gruppo, che si è formato spontaneamente per pregare con le antiche espressioni liturgiche, non ho mai avuto la ricerca, fine a se stessa, di nessuna forma di estetismo soprattutto nei paramenti.
Certo che per una bella Messa in terzo rimediamo dei bei paramenti antichi che possano dare lustro al particolare rito.
Non si è mai cercato, tuttavia, le tovaglie o i camici che possano essere troppo ricchi.
Potete averne conferma dalle foto.
Io sono, specie per la musica, uno spirito barocco.
Nelle SS Messe a Campocavallo, tuttavia, si eseguono solo musiche gregoriane ed al massimo polifoniche.
Quando sto io all'Organo abbondo di accompagnamento ... mentre quando c'è l'ottimo maestro Baiocchi il canto gregoriano viene eseguito senza l'ausilio organistico.
Nella chiesa del Sacro Cuore di Tolentino, della Confraternita di cui faccio parte, tutto dovrebbe essere il più povero possibile, come volle il Santo Vescovo Vincenzo Maria Strambi, quando eresse la Confraternita, http://www.missaleromanum.it/Confraternite/SacroCuore/SacroCuore.htm.
Ma la provocazione dei "pizzi e dei merletti" nasconde altre non tanto reconditi interrogativi.
Dimmi con chi vai e ti dirò chio sei.
Prendiamo, ad esempio, coloro che aderiscono al cammino neocatecumenale.
Gli uomini portano la barba, come il loro fondatore Kiko, ostentano una voce virile e gutturale e, all'occorrenza, sfornano tanti figli.
I paramenti dei NC sono ridotti al minimo.
Chi fa parte del cammino cerca di soddisfare lo spirito di preghiera dalla prassi di vita, come quasi tutti i movimenti postconciliari.
Viceversa chi frequenta la Messa antica mette a disposizione del culto divino quanto ha di più bello e di più prezioso, come facevano i nostri padri.
Quando i miei alunni si stupiscono perchè mi vedono abbardato elegantemente in occasione di una cerimonia così le nostre chiese e i sacri ministri in occasione delle feste vengono ammantati di quanto più bello, damaschi e broccati, abbiamo negli ammuffiti cassetti.
Questa cosa è stata osservata anche da coloro a cui noi stiamo antipatici.
Uno studente universitario della mia terra una volta osò chiedere a due sacerdoti " la messa in latino".
Uno lo fissò.
Gli disse " Ma non hai la ragazza? Perchè non vai a passeggio con le ragazze invece che chiedermi una cosa così?"
Eppure il giovane non aveva chiesto pizzi e merletti ma solo il rito a cui aveva assistito fuori paese...
Praticamente il giovane fu giudicato "perchè non vai a passeggio con le ragazze" automaticamente nel momento in cui aveva chiesto il rito latino della messa.
Lo stesso parroco che lo aveva giudicato per questo nella sua sagrestia aveva giurato che non avrebbe mai messo una pianeta per la Messa.
Noi invece, e sinceramente la cosa mi dispiace, adoperiamo solo le pianete nelle messe antiche.
Lo facciamo solo per il motivo che ho scritto sopra : vogliamo , dopo decenni di aridità, sottolineare che solo la Liturgia antica è splendente di bellezza.
Vogliamo emulare l'opera del Card.Reginald Pole che nella prima riconversione dell'Inghilterra alla vera fede volle "esagerare" nei simboli cattolici per riaffermare la corretta teologia.
Nessuni secondi fini da analisi psicologiche o psichiatriche ( la cui prenotazione lasciamo a coloro che non vogliono mettere le pianete oppure due candelieri antichi sopra la "mensa" ) ma solo la voglia, tanta voglia di far dimenticare la sterile aridità post conciliare affogandola nel mare dorato e fertile della bellezza che i nostri padri ci hanno consegnato.
Andrea Carradori
Andrea, ottimo intervento il tuo. Condivido tutto. Purtroppo in questa landa desolata che si chiama provincia di Alessandria (4 diocesi: Alessandria, Acqui, Tortona e Casale Monferr.) della Messa V.O. non se ne vede neppure l'ombra. Alessandro
RispondiEliminaMa non riuscite proprio a far niente a Alessandria?
RispondiEliminaOrganizzatevi! Su Messa in Latino ci sono ottimi consigli (ma gli avrai certamente già visti....). Già da prima del sette luglio del 2007 sapevamo che c'era da pedalare, soffrire, subire, scontrarci, confortarci a vicenda... Coraggio! A.H.
caro A.H., persino quando parlo a mia moglie della Messa in latino mi guarda storto ... Peggio di così. Vai a vedere il post del 5 maggio dedicato a s. Pio V: vedrai che "bella" notizia ho dato! Devo però rettificare: nella diocesi di Tortona ci sono due preti che dicono Messa V.O., entrambi sotto i 45 anni. Alessandro
RispondiEliminaDovevi parlargliene prima di sposarla... (scherzo).
RispondiEliminaPossibile però che non ci sia nessun uomo di buona volontà e retto intendimento liturgico oltre a Lei, Alessandro, in quella zona?
da 3 mesi ho fatto postare 1 avviso sul sito ma nessuno si è ancora fatto vivo. Ad Alessandria ho visto cose orribili sia nella liturgia che nell'arte sacra (sono ancora sacre le nuove chiese?). Dal 1989 al 2007 c'è stato un vescovo ... lasciamo perdere. Quello che c'è ora ha già la gamba alzata per andare a Torino e ricevere il galero. E' di questi giorni che il ns. vescovo è 1 dei 5visitatori apostolici dalla S. Sede presso i Legionari di Cristo. Alessandro
RispondiEliminaAlessandro ti capisco. Il problema è che più che ci si scontra con muri di gomma e più che si rischia di intestardirci e apparire come fanatici. E' un'accusa che anche mia moglie (che pure frequenta con me le celebrazioni col Venerabile rito) a volte mi rivolge. Soluzione? Trovare altri fedeli più o meno in sintonia con te e tra loro potrai mostrare a tua moglie quello più calmo e flemmatico e quello più esagitato.
RispondiEliminaChi grida da solo nel deserto anche se dice le verità più sacrosante è guardato con molto sospetto anche dagli affetti più stretti. Nella mia personale esperienza è l'unione che fa la...Messa!
Di cuore un augurio cristiano!
A.H.
Il testo tradotto ha perfettamente ragione: La liturgia deve essere al passo con i tempi, deve penetrare nella mentalità contemporanea per trovare i codici che le cominichino la realtà trascendente, secondo QUESTO momento storico e socio-culturale. Qual'è questa mentalità, com'è il contesto in cui viviamo? Quello democratico, e allora anche la Chiesa (e la liturgia) diventa democratica, tutti devono essere allo stessto livello, senza distinzioni, figli dello stesso Padre; una società in cui il principio di autorità e il rispetto vengono accantonati perchè ognuno possa avere voce in capitolo, confrontarsi a tu per tu, ognuno con un'opinione altrettanto valida, benvenga che la Parola di Dio venga interpretata ognuno a modo suo, chè anche l'opinione di Dio è opinabile; una società della mediocrità culturale, fatta di canzonette pop, quiz e reality, cultura da settimana enigmistica, pillole di informazione. Teniamocela stretta la società del volo basso, raso terra... benvenga che la "Divina Liturgia" si celebri con canzonette, visto che nessuno ha più orecchi per la polifonia. Se fosse un oggetto sarebbe già dentro una vetrina, come le centinaia di pale d'altare nei nostri musei, mentre le chiese moderne (e tavolta quelle antiche) sono vuote; La società del centro commerciale può forse concepire un rito in cui il valore del tempo venga sospeso, in cui non si abbia fretta di uscire? Ecco la Messa-Express, 35 minuti e sei fuori; infine, la società della bellezza, quella di seni rifatti e sopracciglia spiluccate (mi riferisco agli uomini) volgare e decadente (ma non decadentista). C'è forse bisogno di ribadire il livello dello splendore liturgico attuale? Di certo è all'altezza di una società del tutto incapace di esprimere ogni senso dell'altezza, della dignità, della grandezza, figuriamoci della trascendenza.
RispondiEliminaQuando viene a trovarci un ospite di riguardo non indossiamo forse il vestito più elegante, quando riceviamo a cena i nostri più cari non addobbiamo la tavola con il nostro servizio più prezioso?
RispondiEliminaNon sistemiamo forse la nostra casa nel modo più lindo ed elegante?
Tanto più sia così quando dobbiamo accogliere il Nostro Signore Gesù Cristo, vivo e vero nelle Specie Eucaristiche, Colui che con il Suo Sangue ha redento il mondo.
Maria
http://piccolozaccheo.splinder.com/post/20488490/de+sacerdotalibus+paramentis
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