Dovendo mettere a confronto tre messali [1] sul cominciare la messa, occorre stabilire quali siano i riti d’inizio. Il Messale corrente chiarifica che la messa è costituita da due parti e poi "ci sono alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione" (OGMR 28). Dunque il ‘cominciare’ riguarda tutto ciò che precede la liturgia della Parola.
1. Il Missale Romanum del 1570 o di san Pio V
Stando al Ritus servandus, gli inizi sono di due tipi: De praeparatione e De ingressu: mentre la preparazione è un inizio dispositivo al rito, l’ingresso e quanto segue riguardano il rito vero e proprio.
La preparazione richiede che il sacerdote dedichi un qualche tempo alla preghiera, rimandando a un formulario di 5 salmi, 7 orazioni (Kyrie e altri versetti) (nn. 20,47-61), che è preso dal Messale a uso della curia romana (XIII secolo). I salmi, la raccolta dei quali risale a usi monastici di salmodie prima della messa, sono i numeri 83, 84, 85, 115, 129 e comportano un’antifona che chiede a Dio di non ricordarsi dei peccati (Ne reminiscaris). La scelta obbedisce a una certa ispirazione: il Sal 83 è il canto del pellegrino "che si porta pieno di gioia spirituale all’incontro del Signore nel suo tempio, specialmente nell’ambito del culto. Il rapporto con la casa del Signore (l’arca) ritorna nel Sal 131 […]. Nel Sal 115 si ha l’espressione Calicem salutaris accipiam et nomen Domini invocabo, riferibile all’eucaristia. Non manca in alcuni il carattere penitenziale"
Ai salmi, il Messale tridentino aggiunge pro opportunitate due preghiere di sant’Ambrogio, delle quali la prima è lunghissima, e una di san Tommaso d’Aquino, di dubbia attribuzione (nn. 77-83).
Dopo aver pregato, in sacrestia il sacerdote si accosta al Messale per una lettura previa e per mettere a posto i segni "perlegit et signacula ordinat" – volesse il cielo che lo si facesse ancora oggi invece di dire strafalcioni dopo e cercare i segni all’altare! –, si lava le mani, prepara il calice e si veste con movimenti minuziosamente descritti e accompagnati da formule deprecative basate sull’allegorismo o su di un certo parallelo spirituale a partire dalla funzione del vestiario (nn. 62-68). Ma prima di accedere alle vesti liturgiche, si annota che il prete deve avere le scarpe e vestiti convenienti, l’esterno dei quali scenda sino ai talloni (n. 20).
Per comprendere il Messale tridentino è doveroso soffermarsi su tale preparazione evitando di leggerla con categorie attuali: pur con margini di facoltatività, è una preparazione predeterminata e che entra nel Ritus servandus e le cui formule non sono un’appendice. Nel suo insieme una preparazione del genere dura al minimo metà del tempo della messa se non un poco di più e raggiunge il vantaggio di far entrare nel rito attraverso degli elementi prerituali.
Il lato debole è di essere centrata unicamente sul soggetto, sulla sua indegnità da purificare, sulla gioia dell’incontro con il Signore, senza che queste tematiche vengano declinate in funzione di una presidenza da esercitare e di una assemblea in cui il soggetto sarà inserito [??].
La seconda serie di considerazioni ruota dal De Ingressu (n. 21) in avanti, che è la parte più propriamente rituale e visibile da eventuali fedeli che ‘assistono’ alla messa. E’ ben avvertibile nella sequenza rituale un movimento di sosta ai piedi dell’altare con la tensione di raggiungerlo e replicante i temi della precedente preparazione.
Il sacerdote vestito di tutti i paramenti – "Sacerdos omnibus paramentis indutus" o "indutus planeta" nei messali francescani: due incipit che diverranno famosi [sono infatti un cavallo di battaglia dei progressisti per vituperare l'antico rito come clericale, incentrato sul prete, dimèntico dell'assemblea; il nuovo Messale si apre infatti con questa rubrica: "populo congregato"]– si avvia verso l’altare con un ministro recante il Messale e il resto occorrente, camminando non solo in modo grave ed eretto, ma "oculis dimissis", traducibile "con gli occhi bassi / evitando di guardare intorno". Per quanto marginale, la prescrizione basterebbe da sola per rilevare lo ‘spirito’ soggiacente: infatti chi c’è intorno? Il popolo, o almeno dovrebbe esserci; ma il Messale è più preoccupato di far mantenere un certo raccoglimento al sacerdote – è il raccoglimento voluto da Gesù Cristo nel momento di consegnare il mistero eucaristico? [Gesù ha condannato forse il raccoglimento? Nel Getsemani, pare di no]– che non di collegare sacerdote e popolo, perché la messa in fondo è un affare tra il prete e Dio con la presenza immediata di alcuni ‘ministri’ chierici perché così vuole la tradizione.
Il sacerdote sale subito all’altare per collocarvi il calice e sistemare il Messale, adagiato su di un cuscino, verificandone ancora quei benedetti segni (signacula suis locis accomodat).
Disceso in basso inizia con il segno di croce e "dopo che ha detto questo, non deve porre avvertenza ad alcuno che celebri in un altro altare, anche se questi eleva il Sacramento, ma deve in modo continuativo proseguire la sua messa sino alla fine" (n. 22). A un livello superficiale la disposizione con un saggio buon senso affranca il rito da dover essere influenzato, se non interrotto o disturbato, da riti paralleli. A un livello più profondo legittima l’esistenza di celebrazioni contemporanee nella stessa aula. A un livello ancor più profondo costituisce i preti come tante monadi rituali che si rivolgono a Dio. A un livello significativo e prammatico legittima nei fedeli dei frazionamenti in vari gruppi di assistenti a questa o quella messa, cancellando l’immagine della ecclesia una, recuperata solo a livello di teologia, di grazia, di azione misteriosa del Signore ma non di visibilità.
Ciò che segue è più noto: l’antifona Introibo ad altare Dei e il Sal 42 Iudica me Deus alternato con i ministri, il Confiteor, alcuni versetti e quindi il sacerdote sale all’altare dicendo in segreto l’orazione Aufer a nobis "Togli da noi, o Signore, tutte le nostre iniquità affinché meritiamo di entrare con mente pura nel santo dei santi" (n. 1397): l’orazione sintetizza l’ispirazione preparatoria e, a dispetto della formulazione plurale, la sequenza rituale a cui pone il suggello non può che declinarsi al singolare.
Salito finalmente all’altare, il sacerdote recita la preghiera Oramus te, Domine, che fa menzione delle reliquie, forse memoria residua delle reliquie della cappella papale in cui il Messale di curia, ispiratore del nostro Messale, era usato. Dopo la possibile e complessa incensazione, seguono l’Introito recitato da solo, il Kyrie alternato con i ministri, il Gloria e infine l’Orazione. L’interazione è sempre tra sacerdote e altri ministri e il popolo non è considerato: infatti, se al Kyrie il ministro o coloro che sono intorno (si intende in presbiterio) non rispondono, "ipse solus novies dicit / dice da solo le nove invocazioni" (n. 23).
Al di là dei limiti sottolineati e dei quali il Messale in quanto prodotto storico non può essere responsabile, un simile entrare nella celebrazione conserva un suo fascino [!].
2. Il Missale Romanum del 1962 o del beato Giovanni XXIII
Il discorso è breve: tutti i testi sopra citati restano nel Messale, a parte qualche precisazione e qualche piccola mutazione: per esempio, si omette la revisione dei segni del Messale quando è posto sull’altare (n. 69). Le preghiere preparatorie sono aumentate con nuove formule – sino alla inutile e pietosa "Ego volo celebrare missam / Io voglio celebrare la messa" (può mai volere altro un tale cominciante?) (n. 120) – e, soprattutto, sono indulgenziate (nn. 92-121).
Tuttavia il nuovo Codex rubricarum riportato nel Messale rimanda alla partecipazione attiva ai sensi dell’Istruzione sulla musica sacra del 3.9.1958 (n. 26). Ora tale documento prevede: come primo grado che tutti i fedeli partecipino in canto alle risposte liturgiche e dunque anche quelle dell’inizio, come secondo grado che cantino l’ordinario della messa e dunque il Kyrie e il Gloria, come terzo grado che cantino il proprio e dunque l’Introito
3. Il Messale Romano attualmente in corso (20.4.2000)
La novità è la presa di coscienza che nella messa "il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote" (n. 27). Di conseguenza le eventuali formule personali di preparazione vengono relegate a un’appendice, e i riti di introduzione riguardano non solo il sacerdote, ma "i fedeli riuniti insieme" perché "formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l’eucaristia" (n. 46).
La seguente normativa si adegua a tale criterio: il canto d’ingresso non solo deve introdurre alla celebrazione ma anche "favorire l’unione dei fedeli riuniti" e il popolo può parteciparvi (nn. 47-48); il segno iniziale di croce è "con tutta l’assemblea" che poi viene salutata e alla quale si rivolge una mozione introduttiva (n. 50); l’atto penitenziale "viene compiuto da tutta la comunità", che pure deve intervenire nel Kyrie eleison e può intervenire nel Gloria (nn. 51-53); la colletta è preceduta da un invito a pregare da parte del sacerdote "e tutti insieme con lui stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e poter formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera" (n. 54).
Tutto ciò è nuovo e discontinuo rispetto al Messale tridentino, ma il Messale odierno vive della stessa preoccupazione: introdurre alla celebrazione ieri prevalentemente il sacerdote, oggi tutta l’assemblea, soggetto celebrante. Permangono riti e gesti quali l’introito, il saluto all’altare e ai presenti, la confessione generale, il Kyrie, il Gloria, la colletta, ecc. Restano l’anelito di purificazione, la richiesta di misericordia, la lode, ecc.
In questo senso la continuità profonda tra i messali è più forte della discontinuità epidermica e, accettato cordialmente il Messale in corso, può essere utile consultare i testi del Messale tridentino per riacquisire non dei testi da ripetere, ma una più ricca sensibilità da declinare nelle monizioni e nello stile della presidenza circa i riti d’inizio: pensiamo alla ricca tematica della purificazione legata allo Spirito, al pellegrinaggio che si conclude, alla gioia di accostarsi all’altare di Dio e al santo dei santi – quello visibile e quello del cielo – ecc.
[1] Per i riferimenti alle edizioni dei tre messali, cfr. l’articolo in RPL 272 (1/2009) 59-64.
[2] V. Raffa, Liturgia eucaristica. Mistagogia della Messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica, CLV, Edizioni Liturgiche, Roma 1998, 20033, 145.
[3] C. Braga – A. Bugnini (edd.), Documenta ad instaurationem liturgicam spectantia 1903-1963, CLV – Edizioni Liturgiche, Roma 2000, 3190.
Non totalmente anti-tridentina è però la conclusione:
RispondiElimina"In questo senso la continuità profonda tra i messali è più forte della discontinuità epidermica e, accettato cordialmente il Messale in corso, può essere utile consultare i testi del Messale tridentino per riacquisire non dei testi da ripetere, ma una più ricca sensibilità da declinare nelle monizioni e nello stile della presidenza circa i riti d’inizio: pensiamo alla ricca tematica della purificazione legata allo Spirito, al pellegrinaggio che si conclude, alla gioia di accostarsi all’altare di Dio e al santo dei santi – quello visibile e quello del cielo – ecc."
Aggiungo che, nel suo "L'estro di Dio", anche Pierangelo Sequeri diceva cose analoghe.
La solita stanca tiritera dell'assemblearismo e del sacerdote presidente. Le preghiere preparatorie individuali non sono necesssarie a chi, indegno, sta per operarare in persona Christi?
RispondiEliminaE' sempre quel che non voglion capire, o meglio che capiscono bene ma vogliono eliminare: la differenza tra il sacerdozio ministerialòe e quello comune. Non vogliono capire che il Sacrificio, a cui il popolo partecipa unito al sacerdote che parla per esso, può eser celebrato in quanto tale solo dal sacerdote: il popolo non può consacrare, non agisce in persona Christi.
Quella che nel post si vuole è la messa di Farinella.
"fa menzione delle reliquie, forse memoria residua delle reliquie della cappella papale in cui il Messale di curia, ispiratore del nostro Messale, era usato."
RispondiEliminapensavo si riferisse alle reliquie contenute nell'altare...
Nell'articolo di Padre Barile si possono trovare anche delle affermazioni in linea di principio condivisibili, però il punto debole di tutto il discorso rimane: chi è l'attore della celebrazione? è l'assemblea o Cristo sommo ed eterno sacerdote???
RispondiEliminaNella Messa l'assemblea celebra se stessa con il prete nelle vesti di presidente... oppure è Gesù che si offre al Padre???
La santa eucarestia è sì o no la rinnovazione e ripresentazione del sacrificio della croce dove il sacerdozio ministeriale si differenzia essenzialmente da quello comune di tutti i fedeli??? Questa è la dottrina cattolica espressa anche dal Vaticano II, non sono mie affermazioni gratuite.
Ora lo sforzo perché ci sia una partecipazione sempre miigliore soprattutto qualitativamente di tutti mi sta bene, non mi sta bene ridurre la Messa ad azione umana. La liturgia è l'esercizio del Sacerdozio di Cristo.
Il concetto di assemblea mi appare piuttosto ambiguo. Sul calvario non c'era nessuna assemblea: e neppure nel cenacolo...
Penso che sia bene per il sacerdote prepararsi con le bellissime preghiere tradizionali alla celebrazione della Messa anche quella di Paolo VI, almeno si arriva sull'altare consapevoli di quello che si va facendo... molti oggi vanno all'altare con una disinvoltura ed una superficialità spaventose... i liturgisti come Padre Barile si arrampicano sugli specchi nel difendere una riforma liturgica che di fatto ha eliminato il senso del sacro e della presenza di Dio. Mosè davanti al Roveto fu invitato a togliersi i calzari e a chinarsi faccia a terra... questi sapientoni pensano di trattare con Dio Santo e Terribile faccia a faccia, hanno capito tutto di Dio, sono i veri "maestri" senza i quali non possiamo capire le cose sante... Io rimango con la Tradizione.
Un semplice parroco di campagna.
In effetti, quello che Barile chiama elementi pre-rituali sono rilevantissimi per qualunque degna celebrazione liturgica. Non valgono solo per il sacerdote, ma anche per i fedeli. Oggi si va a messa e, anche architettonicamente, si è come buttati lì in un tutto e subito privo di soglie che immiserisce l'iniziazione liturgica.
RispondiEliminaNella celebrazione, come dire?, si diventa quello che si è e questo diventare è inaggirabile e imprescindibile rispetto all'essere.
In questo senso, aiuta molto di più, è più mistagogico l'antico rto rispetto al nuovo, come obtorto collo riconosce Barile.
E' opportuno che si continui ad insistere a questo livello, che è proprio quello del motu proprio.
Dante, hai visto giusto e ragione (come sempre). Sostituire o anche solo sminuire la figura del sacerdote (a favore dell'assemblea)nella Messa ci fa scivolare inevitabilmente verso il luteranesimo. Se è questo che alcuni cattolici vogliono, abbiano il coraggio di dirlo e di accomodarsi: comunità luterane sono presenti in tutta Italia. Ma a codesti cattolici invece riesce molto più comodo protestantizzare il cattolicesimo. Sarebbe interessante chiedere a P. Barile se considera la Messa degli ortodossi come anacronistica. Alessandro
RispondiEliminaCome argomentazioni sono superficiali e sciocchine: peccano proprio di quel formalismo che di solito viene rimproverato ai tradizionalisti. Come se la partecipazione profonda dei fedeli a un rito fosse legata unicamente a elementi esteriori, tipo intonare un canto (dei Gen Rosso?) o guardarsi negli occhi con il celebrante! Ma è chiaro che tanto più si partecipa quanto più il rito è qualitativamente alto. E tanto più si è abbassata la qualità del rito quanto più è discesa la reale partecipazione dei fedeli, che ormai considerano la messa una riunione qualsiasi, come quelle di condominio o i consigli comunali. Solo gente che vive nella ionosfera dell'ideologia può non rendersi conto di questo.
RispondiEliminaBasta con l'ipocrisia. Ma sì, dai, diciamolo! Lo stesso Paolo VI a J. Guitton disse (che poi lo scrisse) che il rito della Messa era stato così profondamente stravolto proprio per aprire ai luterani. E' stata questo il leit motiv dello stravolgimento. La Sacrosanctum conciluium serviva solo da paravento, da base giuridica indispensabile per poi far credere al popolo bue (noi laici) che così aveva voluto il Concilio (ma non era vero). Si, Dante hai ragione: è la solita tiritera di certi cattolici che si ostinano a difendere un Messale che vive su un altro pianeta rispetto a quello di s. Pio V. Alessandro
RispondiEliminaCirca la competenza di P. Barile sul messale di S. Pio V, mi permetto di rimandare a un mio commento pubblicato qui: http://www.rinascimentosacro.com/2009/04/tre-messali-confronto-la-replica.html
RispondiEliminaInteressante post di oggi in:
RispondiEliminahttp://rorate-caeli.blogspot.com/
FRIDAY, APRIL 03, 2009
40 years of Missale Romanum and the new Roman Rite - II
The new Ordo created a new liturgical rite
Does the Pope have the authority to change a liturgical rite founded on apostolic tradition and developed over many centuries? ...
PaoloD
Bello l'articolo di Rorate-caeli. Ci ricorda fra l'altro che lunedì ricorrono i quarant'anni dalla promulgazione del novus ordo (sono previsti festeggiamenti? Dovrebbe essere una data storica, quella in cui ci siamo finalmente scrollati di dosso il giogo di un vecchio rito impraticabile per abbracciarne uno nuovo che ha reso il cristianesimo qualcosa di serio...). Rorate si pone il quesito se creare di fatto un nuovo rito al posto di uno di tradizione apostolica sia stato legittimo. Non so rispondere. Certo è stato pazzesco vietare il rito antico. Per cercare un paragone che possa vagamente dare l'idea, è come se si fosse detto che tutta la letteratura italiana prima di, diciamo, Edoardo Sanguineti è da cancellare e dimenticare. Roba da manicomio: davvero, non so dare un altro giudizio.
RispondiEliminaDeux remarques seulement (en français, ce dont je prie qu'on m'excuse, n'écrivant pas assez bien l'italien):
RispondiElimina1) D'abord l'appellation de la messe traditionelle: elle n'est pas plus celle de Jean XXIII que de saint Pie V ou du Concile de Trente, mais celle de toute l'Eglise Romaine depuis près de 1500 ans (avec quelques différences secondaires ici et là), comme Mgr Klaus Gamber l'explique très bien dans ses ouvrages.
2) Paul VI, qui imposa brutalement la nouvelle liturgie, voulait se rapprocher des protestants, il l'a effectivement dit à Jean Guitton.
Question: les protestants se sont-ils rapprochés de nous? La plupart des catholiques, eux, ont fui; voir les chiffres de la pratique dominicale!
Nier ces évidences, c'est aussi une forme de négationnisme…
En Europe les protestants - s'ils existent encore - ne se sont pas rapprochés de leur mêmes. Toute la question était un faux problème.
RispondiEliminaEt en ce qui concerne l'appellation de la messe traditionelle, Vous avez tous les raisons. La "réduction" à Trente est une légèreté, même si venièlle.
RispondiEliminaIl commento di Daniele cui fa riferimento merita di essere letto.
RispondiEliminaConsigliamo di procedere in quest'ordine:
- articolo di P. Barile ( qui oppure qui )
- commento di Daniele
- replica di P. Augé a Daniele
Jean Guitton riferì le parole di Paolo VI (ne parla anche il card. Stickler): Bisogna eliminare ogni pietra d'inciampo sulla via dell'ecumeniasmo coi protestanti. Il che significa cancellare o comunque velare la transustanziazione e la presenza reale.
RispondiEliminaMa stiamo scherzando cari amici? Ma vi rendete conto che non è il caso di pubblicare queste incompetenti cafonaggini?? E mi meraviglio di voi. Possibile che solo Daniele reagisca nel merito? L'ho già scritto direttamente ad Augé e lo ripeto qui, solo questa "perla" che mi ha fatto sobbalzare:
RispondiElimina---
"Inutile e pietosa" viene autorevolmente definita la formula "intentionis", cioè che esprime l'intenzione generale dell'offerta di quella specifica santa Messa che sta per iniziare. Non esprime l'intenzione di celebrare la messa, ovviamente, ma l'intenzione "per cui" si intende celebrare. Ma evidentemente il commentatore non si prende la briga di leggere l'intera preghiera e di riportarla: "EGO volo celebrare Missam, et conficere Corpus et Sanguinem Domini nostri Iesu Christi, iuxta ritum sanctae Romanae Ecclesiae, ad laudem omnipotentis Dei totiusque Curiae triumphantis, ad utilitatem meam totiusque Curiae militantis, pro omnibus, qui se commendaverunt orationibus meis in genere et in specie, et pro felici statu sanctae Romanae Ecclesiae".
Stranamente poi non si accorge che questa preghiera non è una novità del 1962, essendo stata composta ed inserita nel messale da Papa Gregorio XIII (defunto se non ricordo male nel 1585). Ma al colmo del ridicolo: non si accorge che questa infelice preghiera è ancora presente tutt'oggi nella terza edizione del Messale Romano (quello in latino, non so se l'ha consultato...) che riporta anche le altre preghiere tradizionali di preparazione personale del sacerdote. Mi sembra strano che non venga notato. Capisco che lui personalmente non le usi, ma questo è un altro discorso. Mi meraviglio di vedere un articolo così pressapochista in riviste di certa levatura. Forse prima di divulgare è meglio controllare. Su altre questioni e sul modo di confrontare i messali sorvoliamo.
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A parte questo, scusate, noi vecchietti non vediamo caratteri così minuscoli sullo schermo. Vi prego di farli più grossi, per amore dei cecuzienti
Se non si esprime l'intenzione, neppure intimamente, si realizza la Transustanziazione?
RispondiEliminaE' vero che essa si realizza con le Parole dell'Istituzione, ma queste vanno inserite in un contesto che le rende reali: la volontà di fare quel che la Chiesa vuol fare: mutare il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Gesù.
Ecco il problema dell'ambiguità del Canone Svizzero (cattolicamente corretto nell'ed. tipica del 2003 dal card. Medina) e del II della conciliazione.
Da qui la grande di battaglia del p. Zoffoli (ed anche mia) che ha portato alla revisione del Camìnone svizzero (V).
E' vero che Ecclesia supplet: ma in genere la Chiesa supplisce ad errori involontari, non a quelli volontari. Per cui a questa supplenza si deve ricorrere con oculatezza.
Caro Don Tiddi,
RispondiEliminanaturalmente se la Redazione deciderà di ingrandire i caratteri dei testi allegati, saremo tutti felici. Se ciò, magari per motivi tecnici, non potesse accadere, può lei stesso ingrandirli in fase di visualizzazione: scelga nel menù in alto del suo programma di navigazione (Explorer?) la voce "Visualizza" e, nella finestra che si aprirà, la voce "Dimensione testo". Le darà la possibilità di ingrandire la maggior parte dei testi che visualizzerà navigando in internet.
(Nel caso in cui fosse già a conoscenza di questa opzione ma non l'avesse trovata confacente alle sue esigenze, cestini questo suggerimento e confidi nella provvidenza della Redazione)
Caro don Tiddi, prendiamo atto del problema e vedremo di non rimpicciolire più i caratteri.
RispondiEliminaMa non ci dica che non vanno riportate le opinioni dei novatori: bisogna conoscerli per combatterli, no? E poi, è comodo, da parte loro, pontificare su paludate riviste liturgiche lette sì e no da un centinaio di loro simili. Trasciniamoli quindi nell'arena del libero e immediato scambio di opinioni, in modo che, come state facendo, si possano subito far risaltare gli errori e l'infondatezza di certi argomenti. Ad es., proprio grazie a don Tiddi ne sappiamo di più sulla "intentio" della messa e possiamo ben vedere come sia delirante il giudizio in merito di P. Barile (del quale già avevamo, come si vede dal nostro cappello introduttivo, una pessima opinione)
L'articolo del padre Barile chiaramente non è un saggio scientifico freddo e distaccato, anche se pretende di presentarsi come tale. E' un articolo militante molto accalorato che intende dimostrare la tesi che la messa tradizionale non funziona bene. Posta in chiaro questa intenzione i tradizionalisti possono perfino sentirsene contenti: altroché rito obsoleto e archiviato nei cassetti della storia!
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