“Roma loquitur, confusio augetur”, Roma parla, la confusione cresce. La battuta critica del cardinale George Pell ha avuto una puntuale conferma nell’intervista che papa Francesco ha dato il 24 gennaio a Nicole Winfield dell’Associated Press.
Interpellato sul caso del gesuita Marko Ivan Rupnik, Francesco ha risposto di non avere con tale caso “nulla a che fare” e di aver provato alla notizia “una grande sorpresa”. Ma ha anche fornito elementi fin qui sconosciuti della vicenda, e di non poco conto, in particolare che “c’è stato un accordo” nel quale “si pagò un’indennizzo”.
È stata la prima volta, questa, nella quale il papa ha detto qualcosa sul caso Rupnik, da quando esso è venuto allo scoperto all’inizio dello scorso mese di dicembre. Rompendo un silenzio tanto più inspiegabile quanto più si sapeva della prossimità molto stretta, da anni, tra
lui e quel gesuita.Per sciogliere l’enigma di questo silenzio, e oggi di queste parole, non resta che riassumere i tratti finora noti della vicenda, in quattro scene con un intervallo.
SCENA PRIMA
Era il 3 gennaio del 2022 e Francesco ricevette in udienza Rupnik, con tanto di notizia sul bollettino ufficiale e di foto (vedi sopra).
Due anni prima, il 6 marzo del 2020, il papa aveva affidato a lui anche il compito di tenere la prima meditazione di Quaresima, per sé e per gli alti dignitari della curia vaticana riuniti ad ascoltarlo nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico.
La fama di Rupnik era fino a due mesi fa alle stelle. Sloveno, 68 anni, era noto e apprezzato in tutto il mondo come un artista di primissimo piano, autore di spettacolari creazioni a mosaico sia a Roma, nella cappella del Palazzo Apostolico Vaticano, come a Fatima, a San Giovanni Rotondo e in altre numerose città. Aveva fama anche come maestro spirituale, di raffinata formazione teologica, in dialogo tra Occidente ed Oriente, discepolo dell’insigne gesuita e cardinale Tomás Spidlik (1919-2010). Nel suo atelier artistico di Roma viveva assieme a una comunità di donne consacrate, da lui fondata, ispirata e diretta.
Ma attenzione alle date. Perché questi due eventi, l’udienza e la predica, si incrociavano con due processi che nel frattempo, in segreto, erano in corso contro Rupnik in Vaticano.
SCENA SECONDA
Era il gennaio del 2020 e la congregazione per la dottrina della fede aveva chiesto alla Compagnia di Gesù di istruire un processo amministrativo penale a seguito di una denuncia contro Rupnik per aver assolto in confessione una persona sua complice in un peccato “contro il sesto comandamento”. I giudici, tutti non gesuiti, avevano accertato all’unanimità che l’accusa era fondata. E toccava ora alla congregazione stabilire la condanna.
Fu proprio a questo punto che Rupnik fu chiamato dal papa a tenere la prima meditazione di quella Quaresima. Tra l’altro quando già erano scattate contro il gesuita delle misure disciplinari, tra le quali il divieto di predicare.
Nel maggio successivo la congregazione condannò Rupnik per l’assoluzione del complice, colpa gravissima che comportava anche la scomunica “latae sententiae”. Subito dopo, però, nello stesso mese di maggio, la scomunica fu revocata avendo Rupnik, si disse poi, “ammesso i fatti e chiesto perdono”.
Il secondo procedimento prese il via nel giugno del 2021 e fu chiuso nell’ottobre del 2022 con la motivazione che i fatti imputati a Rupmik, pur con “la constatazione dell’effettiva consistenza delle accuse”, erano “da considerarsi prescritti per decorrenza dei termini”.
E fu proprio nel gennaio del 2022, quando Rupnik fu ricevuto in udienza dal papa, che la congregazione per la dottrina della fede ebbe le prove della fondatezze delle accuse rivolte contro di lui da alcune consacrate della sua comunità, per abusi psicologici e sessuali, e avviò contro di lui il processo.
Inoltre, anche dopo l’archiviazione del caso, sono rimaste in vigore per Rupnik “le restrizioni cautelari al ministero”, dalla proibizione di confessare a quella di predicare esercizi spirituali.
INTERVALLO
Di questi due processi nulla si è mai saputo, in pubblico, fino all’inizio di dicembre del 2022, quando le prime notizie riguardanti la cattiva condotta di Rupnik vennero alla luce su due blog cattolici di Roma, “Silere non possum” e “Messa in latino”.
Seguirono le prime, vaghe ammissioni da parte della Compagnia di Gesù di procedimenti contro Rupnik “riguardanti il suo modo di esercitare il ministero” e di misure restrittive a lui imposte. Poi più dettagliate ammissioni da parte del preposito generale della Compagnia, Arturo Sosa. E poi ancora una cronologia sommaria dei fatti, emessa dalla curia generalizia dei gesuiti. Questo mentre su vari giornali italiani non cattolici, prima sulla rivista “Left” e poi più sistematicamente sul quotidiano “Domani”, uscivano e continuano a uscire le impressionanti testimonianze e denunce di un numero crescente di donne abusate da Rupnik in un ampio arco di anni, tutte passate nella comunità femminile da lui guidata. Sulla base di queste nuove denunce, la Compagnia di Gesù ha recentemente chiesto a Rupnik di restare a disposizione, nell’eventualità di ulteriori indagini e di un terzo processo.
SCENA TERZA
La venuta allo scoperto del caso, nei termini sopra detti, ha dato corpo a molte questioni irrisolte, che arrivano a coinvolgere il papa.
Le misure restrittive inflitte a Rupnik sono state da lui ampiamente disattese, senza alcun controllo o sanzione, come se godesse di un invincibile “status” di protezione.
L’immediata revoca, nel maggio nel 2020, della condanna e della scomunica di Rupnik non può essere stata semplicemente la conseguenza automatica del suo dichiarato pentimento. E neppure può essere stata decisa isolatamente dal cardinale prefetto della congregazione per la dottrina della fede. Una revoca di tale peso e rapidità, a giudizio di molti, può essere stata ordinata soltanto dal papa.
La chiusura per prescrizione del processo del 2022, con la motivazione che gli abusi sessuali imputati a Rupnik risalivano agli anni Ottanta e Novanta, non era affatto obbligatoria. Le istruzioni inviate ai vescovi di tutto il mondo nell’estate del 2020 per volontà dello stesso papa Francesco, riguardo ad abusi sessuali su minori e “adulti vulnerabili”, avvertono che in simili casi alla prescrizione si possa derogare, valutati la gravità dei fatti e i loro effetti in anni successivi, sulle vittime reali e potenziali.
Colpisce la trascuratezza con cui le autorità ecclesiastiche hanno trattato le donne su cui Rupnik ha esercitato i suoi abusi psicologici e fisici. Numerose lettere di denuncia oggi divenute note sono rimaste senza risposta da parte delle autorità a cui erano state indirizzate.
La cappa di segreto che ha celato fino allo scorso dicembre l’iter giudiziario di Rupnik è incompatibile con il “rescriptum ex audientia” del 2019 con cui papa Francesco ha abolito il segreto pontificio nei casi di abuso sessuale.
Ma ancor di più impressiona l’intangibilità di cui Rupnik ha sempre goduto mentre esercitava le sue prevaricazioni, a danno di decine di donne della comunità da lui diretta, sistematicamente violate nello spirito e nel corpo, in nome di aberranti giustificazioni teologiche da lui continuamente associate ai suoi atti.
Ingiustificabili appaiono infine le dichiarazioni del 23 dicembre scorso del cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, che – dopo aver premesso l’assenza di una sua responsabilità gerarchica su Rupnik – ha ridotto il tutto a una malevola campagna mediatica che avrebbe trasformato le denunce in reati, in violazione di ogni principio di garantismo. Quando in realtà contro il gesuita sono stati istruiti in Vaticano non uno ma due processi ed è stata emessa una condanna comprensiva persino di una scomunica.
E poi, di chi è vicario De Donatis se non del papa, in una diocesi come quella di Roma che Francesco ha recentemente riorganizzato da capo a piedi sotto suo totale comando, una diocesi in cui non cade foglia che il papa non voglia? Impensabile che il cardinale vicario abbia emesso quelle dichiarazioni solo di testa sua.
SCENA QUARTA
E siamo all’intervista del 24 gennaio all’Associated Press. Nella quale Francesco si dice estraneo al caso ma difende a spada tratta la decisione della congregazione per la dottrina della fede d’aver fatto cadere le accuse contro Rupnik, pur fondate, perché legate ad atti lontani nel tempo. “La prescrizione è una garanzia”, ha detto il papa nell’intervista. “Se c’è una minorenne la tolgo sempre, o con un adulto vulnerabile”, ma “in questo caso no”.
Quindi a parere del papa le donne abusate da Rupnik in veste di loro direttore spirituale non erano “vulnerabili”? A leggere le loro impressionanti testimonianze il giudizio che se ne ricava è proprio questo.
Nell’intervista Francesco esprime anche un suo cambio di giudizio su Rupnik, che ora gli si rivela, dice, come ”una persona molto limitata che però è potente, a volte”. E fa balenare che “alcuni devono uscire dallo stato clericale perché non possono continuare in una situazione pastorale di questo tipo”. Ma che a questi vaghi e tardivi rimproveri seguano i fatti è tutto da vedere.
E infine c’è quell’enigmatico rimando del papa a un pagamento in denaro, avvenuto per chiudere il caso: “Non so come il caso si è risolto, nel senso di un accordo comune. Credo che si pagò una indennizzo, ma io non conosco chiaramente l’accordo; ad ogni modo c’è stato un accordo”.
Un indennizzo a chi? A qualcuna delle donne violate? Le quali in realtà erano decine, come si scopre ogni giorno di più. E con che tipo di accordo?
Il cardinale Pell aveva proprio ragione. Il papa parla, la confusione cresce.