Un altro interessante medaglione liturgico del M° Aurelio Porfiri. Quest'oggi ci presenta il francese Oscar Cullmann (osservatore protestante al CVII, insignito del premio Paolo VI 1993...)
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L’influsso luterano: Oscar Cullmann (1902-1999)
Molti asseriscono esserci stato un influsso del pensiero protestante sull liturgia rinnovata dopo il Concilio Vaticano II. Tra coloro che avrebbero esercitato un’influenza molto importante a livello teologico ci sarebbe stato il teologo luterano francese Oscar Cullmann. Se questa influenza sembra non essere molto fondata ad alcuni, cerchiamo di ricordare come egli fu tra gli osservatori protestanti al Concilio e che ricevette anche il Premio Paolo VI nel 1993. Quindi è ovvio il suo coinvolgimento anche nell’ambito cattolico sull’onda della tracimazione del Movimento ecumenico.
Cullmann, allievo del demitizzatore Bultmann e del modernista Loisy, fu autore fecondo ed ancora oggi molto studiato. Ivan Macut (I limiti e le novità nel Concilio Vaticano II secondo Oscar Cullmann) offre questo contributo per l’interpretazione del pensiero del teologo francese: “Cullmann fa una distinzione tra tradizione apostolica e post-apostolica. Questa prima è legittimata come autentica ed è posta sullo stesso piano della Sacra Scrittura. La tradizione post-apostolica ha un valore inferiore rispetto alla prima e può essere non vera. Il Concilio Vaticano II afferma che la Sacra Scrittura è norma suprema ma, conclude, che Sacra Scrittura e Tradizione per la chiesa Cattolica seppure poste su piani diversi hanno lo stesso valore. Le novità che Cullmann sottolina sono: la gerarchia delle verità; che vi sia una sola Rivelazione; la Sacra Scrittura come norma suprema; la “collegialità” dei vescovi; l’importanza data allo studio della Sacra Scrittura. La cosa più importante che il Concilio sottolinei per il dialogo ecumenico, secondo Cullmann, è l’insegnamento della gerarchia delle verità nella Chiesa cattolica. Ci sono dogmi fondamentali e dogmi derivanti. Il problema è come trovare una gerarchia che valga per tutte le Chiese cristiane. Cullmann propone come unica soluzione che la Sacra Scrittura sia la norma suprema e il giudice della Chiesa. Comunque, Cullmann mostra che i limiti di queste novità siano proprio nel fatto che si tratti di un concilio sostanzialmente cattolico”. In fondo quello che dice Cullmann è coerente per un protestante, l’enfasi della Scrittura a scapito della Tradizione, la sostanziale incomprensione sui dogmi. Il problema è quando queste idee trovano accoglienza, come hanno trovato, nell’ambito cattolico. Per Cullmann, comprensibilmente, l’ecumenismo non doveva essere considerato un mezzo, ma un fine, come dice di lui lo studioso valdese Paolo Ricca: “L’idea fondamentale è chiara fin dal titolo: l’unità cristiana non si fa malgrado la diversità, cioè la diversità non è un ostacolo o un intralcio per l’unità; e non si fa neppure nella diversità, come se unità e diversità coesistessero, una accanto all’altra, in una posizione di coesistenza pacifica, ma senza appartenersi, senza integrarsi l’una nell’altra, no – dice Cullmann – l’unità cristiana si fa attraverso la diversità, cioè la diversità è l’ingrediente principale dell’unità cristiana, nel senso che un’unità che non contenga dentro di sé la diversità, anzi le diversità, non è unità cristiana”. In fondo la dichiarazione di Abu Dhabi è l’esito corretto di questo pensiero.
Molto interessante il modo in cui Ricca legge le idee di Cullmann sui carismi ecclesiali: “Cullmann individua questi carismi, si capisce in maniera sommaria e indicativa: i carismi del protestantesimo sono la concentrazione sulla Bibbia e la libertà dei cristiani; quelli del cattolicesimo sono l’universalismo e l’istituzione; quelli dell’ortodossia sono la teologia dello Spirito e la conservazione delle forme tradizionali della liturgia. Ora Cullmann sostiene che ciò che divide le chiese non sono le loro «particolarità carismatiche», ma solo le loro deformazioni, che Cullmann individua così: nel protestantesimo l’autorità della Bibbia ha eclissato nella coscienza dei fedeli e anche nei pastori la necessità di un magistero, e la valorizzazione della libertà ha determinato una deriva verso l’anarchia e il settarismo. Le deformazioni cattoliche sono l’identificazione fra universalità e pienezza per cui il cattolicesimo avanza la pretesa di essere il solo a possedere la pienezza della verità e dei mezzi di grazia; la seconda deformazione è il rischio del sincretismo. A queste due deformazioni potremmo aggiungerne una terza: l’importanza dell’istituzione è tale che la si considera di fondazione divina, per cui si tende a sacrificare le persone all’istituzione: la gerarchia pensa di più alla reputazione dell’ istituzione che alle sue vittime (così l’Economist sullo scandalo pedofilo), Quanto alle deformazioni dell’ortodossia, Cullmann menziona fuggevolmente «un certo irrigidimento e un certo formalismo»“. Se rimaniamo al giudizio sulle “deformazioni” cattoliche, viene suggerito che proclamare di essere quella Chieda in cui soltanto c’è salvezza, per questo nuovo pensiero, è considerato un grave errore.
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