Non sarebbe ora di limitare numero e fluvialità delle interviste del s. Padre, ormai praticamente una a settimana?
Sul "capitello di Vezelay" vedere anche foto in fondo al post.
Luigi
Carissimi,
l'ennesima sua alluvionale intervista [QUI ndr] - illeggibile, ma io che ho molto da scontare l'ho letta - risulta particolarmente difficile.
Alcune (poche) cose, ma la terza fa girare la testa, anche perché è ripetuta, come un leitmotiv.
Alla domanda sui mali del tempo (è proprio il titolo di uno dei paragrafetti tematici in cui è suddiviso il testo), mentre imperversa una crisi di fede e morale senza precedenti in quella che fu la cristianità, mentre gli uomini di Chiesa sono coinvolti sempre più in spregevoli condotte, mentre l'umanità si vanta di ciò di cui dovrebbe vergognarsi (Fil 3,19), rivendicando il diritto di smembrare il figlio nel proprio grembo, di uccidere e uccidersi quando la vita non sembri più "degna d'essere vissuta", l'orgoglio sodomita e la compravendita di bambini, l'affitto degli uteri, e il "matrimonio" omoerotico, l'ateismo e comunque vivere come se Dio non esistesse, a fronte di tutto questo marciume intronizzato (e l'elenco è per difetto), lui che cosa risponde? Testuale: "Le tre cose che ha citato – narcisismo, scoraggiamento e pessimismo". Difficile da credere, ma è così.
Riprende i suoi quattro "principi politici", onestamente un po' banali, ma soprattutto (ma non credo che lo sappia) hegeliani e uno anche dannunziano (cito a memoria "non m'importa d'essere sconfitto nello spazio, perché vincerò nel tempo"): “La realtà è superiore all’idea” [...]; “il tutto è superiore alla parte” [...]; “l’unità è superiore al conflitto”[...]; “il tempo è superiore allo spazio”. Cioè, l'effettualità è quello che conta (per esempio, ma solo per esempio, in materia di seconde, terze, quarte etc., unioni e sodomia); la totalità (per esempio, della storia o dello stato) annienta l'individualità; si procede per sintesi e non per antagonismo (cfr., invece, Gn 3,15); tutto è processo, divenire cronolatrico, nulla è stabile.
Ma quello che a me sembra più difficile di tutto, è il suo ennesimo ritorno al "capitello di Vezelay". "c’è un capitello nella Basilica di Vèzelay, non ricordo se del 900 o del 1100. Si sa che, nell’epoca medievale, la catechesi si faceva con le sculture, con i capitelli. La gente li vedeva e imparava. E un capitello di Vèzelay che mi ha davvero colpito è quello di Giuda impiccato, con il diavolo che lo tira verso il basso e, dall’altra parte, un buon pastore che lo afferra e lo porta via con un sorriso ironico. Con questo insegna al popolo che Dio è più grande del tuo peccato, che Dio è più grande del tuo tradimento, che non devi disperare per i torti commessi, che c’è sempre qualcuno che ti porterà sulle sue spalle. È la migliore catechesi sulla persona di Dio, sulla misericordia di Dio. Perché la misericordia di Dio non è un dono che vi fa, è lui stesso. Non può essere altrimenti. Quando presentiamo questo Dio severo, che punta tutto sulla punizione, non è il nostro Dio. Il nostro Dio è il Dio della misericordia, della pazienza, il Dio che non si stanca di perdonare. Questo è il nostro Dio. Non quello che noi sacerdoti a volte sfiguriamo".
Premesso che, considerando che non mi sembra un uomo di grandissima cultura, forse non è farina del suo sacco (chissà che gliene ha parlato e suggerito la "lettura" che propone), la cosa, come dicevo, fa girare la testa.
Lui vuol dire che Gesù ha salvato anche Giuda, e se Giuda è salvo, chi mai potrà andare all'inferno? (o magari c'è un posto per tipacci come Hitler - forse Stalin no - e Riina? Boh!?).
Ora
1. Non c'è nessuna testimonianza precedente di tale "salvezza": Gesù dice “meglio per quell''uomo se non fosse mai nato”(Mt, 26,24), e solo per chi va all'inferno eterno si può dire così; nessun (NESSUNO!) apostolo, padre della Chiesa, Papa, teologo, santo, mistico, dottore, parla di Giuda "salvo", nella tradizione della Chiesa di un'opinione del genere non v'è la benché minima traccia.
2. L'esegesi unanime del capitello è che se l'impiccato è Giuda, quello che nella figura accanto lo porta sulle spalle è il becchino. Non può essere Gesù anzitutto perché nell'iconografia classica del tempo, alla stregua dell'immagine sindonica già da secoli nota e paradigma del Volto santo, Gesù ha la barba (e l'uomo che porta il cadavere sulle spalle è glabro), poi non v'è alcun segno, non la croce, non l'aureola del pantocrator, che rimandi a Gesù, e infine nello sguardo non v'è né pietas, né misericordia, ma l'indifferenza di chi svolge una mera funzione (quest'ultimo elemento potrebbe essere attribuito, la vedo però difficile, conoscendo un po' l'epoca e la cura per certe raffigurazioni, all'incapacità dello scultore).
3. Infine, e francamente mi pare decisivo, confermando il punto 1., il Padre così disse a santa Caterina da Siena: "Questo è quello peccato che non è perdonato né di qua né di là, perché il peccatore non ha voluto, spregiando la mia misericordia; perciò mi è più grave questo che tutti gli altri peccati che ha commessi. Unde la disperazione di Giuda mi spiacque più e fu più grave al mio Figliolo che non fu il tradimento che egli mi fece. Così sono condannati per questo falso giudizio d’aver posto maggiore il peccato loro che la misericordia mia; e perciò sono puniti con le dimonia e cruciati eternamente con loro“.
Et de hoc satis.
Rimangono due domande.
Chi dice queste cose? Necesse che ve lo dica?
Perché si avventura in queste improbabili (per dire il meno) esegesi, per sostenere l'insostenibile, in specie (Giuda "salvo"), e in genere (Dio salva tutti, e siamo noi sacerdoti che lo sfiguriamo, dicendo che condanna - oggi, chi, dove, quando, lo dice? - così istigando oggettivamente se non al male, all'indifferenza per la propria salvezza, tanto è acquisita)? Mistero. Qualunque altra risposta andrebbe oltre le mie facoltà e diritti.