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28º appuntamento della rubrica sulla storia del Movimento Liturgico a cura del M° Aurelio Porfiri.
Oggi ci presenta la figura di p. Guido Maria Dreves S.J. Egli è un imporntate autore ed editore dell'Analecta hymnica medii aevi, la più grande raccolta di lirica sacra latina medievali fino ad oggi (inni, sequenze, tropi, uffici in rima e salteri). Con sorprendente diligenza, p. Dreves cercò nelle biblioteche di tutta Europa antichi manoscritti e incunaboli e dal 1886 al 1926 pubblicò il frutto delle sue ricerche in 55 volumi di Analecta (dal volume 25 in poi il curatore fu p. Clemens Blume S. J. co-editore). (fonte Wikipedia).
Qui i precedenti medaglioni.
Roberto
L’innologia: Guido Maria Dreves (1854-1909)
Nella confusione che circonda la musica sacra al giorno d’oggi, non si fa più molto caso alla differenza fra le forme liturgiche e musicali, una vale l’altra.
Eppure, la loro conoscenza permette di precisarne meglio la funzione. Prendiamo gli inni e la disciplina che li studia, l’innologia. In campo anglosassone esistono realtà associative ben stabilite dedicate allo studio degli inni (il protrstantesimo qui ha ovviamente una grande influenza) come The Hymn Society, ed altre. Eppure lo studio degli inni è importante. Alcuni testi in san Paolo, secondo alcuni studiosi, sono reminescenze di inni delle prime comunità cristiane, anche se la prima liturgia privilegiava il canto dei salmi che poi si cristallizzerà nei testi scelti per introito, graduale, offertorio e comunione in momenti successivi.
Sant’Agostino, nell’Esposizione sul Salmo 72, ci da la definizione di cosa sia un inno: “Conosciamo tanti salmi nel cui titolo è scritto il nome di David, ma solo in questo è aggiunto figlio di Iesse. Dobbiamo, quindi, pensare che ciò non sia stato fatto invano né senza scopo, difatti, in ogni parola della Scrittura Dio si rivolge a noi e incita alla comprensione lo zelo devoto della nostra carità. Che significano le parole: Sono finiti gli inni di David, figlio di Iesse? Gli inni sono lodi a Dio unite al canto; sono poesie aventi per tema la lode di Dio. Se c'è la lode ma non è in onore di Dio, non si ha l'inno. Se c'è lode e la lode è in onore di Dio, ma non la si canta, non si ha ancora l'inno. È necessario dunque, affinché si abbia un inno, che ci siano queste tre cose: la lode, che essa sia lode di Dio e che la si canti. Che significano, dunque, le parole: Sono finiti gli inni? Sono finite le lodi che si cantano a Dio. Sembra annunziare una cosa triste e quasi luttuosa. Chi canta una lode, infatti, non soltanto loda ma loda con letizia. Chi canta una lode, non soltanto canta ma ama colui che canta. Nella lode c'è la voce esultante di chi elogia, nel canto c'è l'affetto di colui che ama”. Questa definizione è rimasta classica e ci fa ricordare che anche quando in un inno celebriamo un santo o una santa, quello che in realtà celebriamo sono le meraviglie che in loro Dio ha compiuto.
L’innodia ebbe un esplosione nel medioevo, insieme con la redazione di nuove sequenze (un’altra forma musicale della liturgia). Se ne scrivevano talmente tante che ad un certo punto si dovette fare una severa cernita. Di questa abbondante produzione danno fede varie raccolte e quella probabilmente più conosciuta è Analecta Hymnica Medii Aevi in più di 50 volumi, edita dal gesuita Guido Maria Dreves e in seguito dal gesuita Clemens Blume. Si tratta certamente di un monumento all’innologia, in cui possiamo ammirare le vette della poesia liturgica cristiana con testi che oramai sono presenti solo in queste pagine.
È veramente singolare la dedizione e la pazienza di questi studiosi teutonici che per decenni catalogano inni e sequenze dalle fonti più disparate, consegnandoci a noi un monumento alla creatività liturgica buona che si oppone alla creatività selvaggia.
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