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mercoledì 10 marzo 2021

Echi (quanto mai) tridentini: la gastronomia papale ai tempi di papa san Pio V e il primo ricettario illustrato della Storia. Su cui sarà tratto un film.

 

Dopo la puntata sulla cucina alla corte pontificia di papa Sisto IV oggi pubblichiamo un articolo sulla gastronomia di Pio V. (Sempre da la Nuova Bussola del 7.3.2021). 

Nessuno potrà mettere in dubbio la spiritualità di Pio V e la sua ieraticità. Egli fu il grande Inquisitore che instituì l’Indice dei libri proibiti, e come pontefice fu il papa delle attuazioni del Concilio di Trento, del Messale Romano “Tridentino”, della Madonna delle Vittorie, del S. Rosario, della scomunica alla regina Elisabetta I. 

Nessuno si scandalizzerà quindi leggere questo bel post sui gusti a tavola del grande papa di Lepanto, che ordinariamente era frugale, come aveva imparato quando era novizio domenicano ma che aveva come cuoco l’innovativo Bartolomeo Scappi che cucinava solo per i diplomatici Utilizzando anche materie prime originarie delle Americhe. 

In questo post il lettore che supererà lo scetticismo, Troverà notizie curiose e conoscerà piatti che dalla tavola papale si diffusero ai banchetti di molti Re dell’epoca. Leggerà come è nato il primo ricettario illustrato della Storia (finanziato da Pio V) e come ne sarà tratto un film a maggio 2021.

Roberto

San Pio V fu un pontefice notevole, che fece moltissimo per la difesa della fede. Sebbene si nutrisse in modo frugale, aveva il cuoco (ereditato dal suo predecessore) più raffinato del Rinascimento: Bartolomeo Scappi. Il quale pubblicò, grazie a papa Ghislieri, “Opera dell’arte del cucinare”, il primo libro illustrato di gastronomia. E a maggio uscirà un film, “Il Cuoco del Papa”, incentrato su questa storica pubblicazione. 


Pio V (1504-1572) è stato un pontefice notevole. Ciò che bisogna ammirare maggiormente in lui è la sua coerenza, intesa come fedeltà al ruolo di sacerdote, che deve difendere la fede cristiana a tutti i costi. E lo ha fatto, sempre, in qualunque momento della sua vita.
Nacque a Bosco Marengo, in Piemonte (provincia di Alessandria), come Antonio Ghislieri. Benché di condizioni economiche umili, i Ghislieri erano il ramo primogenito di una potente famiglia bolognese, arrivata in Piemonte dopo essere stata esiliata da Bologna a causa di discordie con la nascente signoria dei Bentivoglio per il predominio della città. La sua vocazione fu precoce. Già a 14 anni era in convento, dai Domenicani, a Voghera, dove prese il nome religioso di Michele. Fu notato subito dai superiori per l’intelligenza fuori dal comune ma soprattutto per l’austerità di vita che gli era propria e che lo avrebbe accompagnato fino alla morte. Questo tratto comportamentale fu alla base di tutti i suoi orientamenti e decisioni. Perciò, dopo i voti solenni pronunciati nel 1519 e la formazione umanistica e teologica, fu inviato all’Università di Bologna per perfezionare la formazione teologica. Lì ricevette una solida preparazione di stampo tomista. Infine, nel 1528 fu ordinato sacerdote dal cardinale Innocenzo Cybo.

Come sacerdote, dapprima fu professore nelle università di Pavia e Bologna, mentre contemporaneamente ricopriva anche degli incarichi in seno all’Ordine domenicano, di cui fu eletto nel 1542 superiore provinciale per la Lombardia, dove rimase per pochi mesi prima di entrare nella Santa Inquisizione con l’incarico di commissario e vicario inquisitoriale per la Diocesi di Pavia.

Il suo protettore era il cardinale Gian Pietro Carafa, che, diventato Papa Paolo IV, lo incaricò di redigere l’Index librorum prohibitorum e poi lo nominò “Grande Inquisitore della Santa Romana e Universale Inquisizione” con facoltà illimitate e ad vitam. Con il successivo pontefice, Pio IV (il quale pure gli lasciò le cariche), non avendo la sua stessa intransigenza, si crearono delle divergenze che portarono al trasferimento di Ghislieri a Mondovì, di cui fu nominato vescovo. Presto però, il 7 gennaio 1566, dopo la morte di Pio IV, Ghislieri diventò il 225° Papa. 

Durante il suo pontificato ha fatto moltissimo per la fede cristiana e per il riordino della Chiesa. Combatté con tutte le sue forze il nepotismo, l’eresia, l’immoralità dei preti, i luterani, gli ottomani. Disciplinò la regola dei monasteri di clausura femminili, emise diverse bolle, una in particolare a difesa degli animali: De salute gregis, che interdiceva la corrida, che era molto in voga a Roma. Con la bolla Consueverunt Romani Pontifices favorì la devozione del Rosario. Codificò anche la Santa Messa, confermando la liturgia adottata dal Concilio di Trento. Nel 1568, con la bolla Quod a Nobis, promulgò il nuovo Breviario Romano (noto anche come Breviario di San Pio V), imponendolo a tutto il clero cattolico secolare e regolare. Considerava eretici i valdesi e la regina Elisabetta I Tudor, da lui scomunicata nel 1570.

Ebbe invece un diverso atteggiamento con gli ebrei: sperava di convertirli e decise di non espellerli dal territorio italiano, come invece era successo in Spagna (la maggiore potenza cattolica del tempo). Pio V usò il modello veneziano: nella città lagunare gli ebrei arrivati dopo le espulsioni spagnole erano stati confinati su un'isola. Gli ebrei romani furono rinchiusi nel ghetto, situato in una specifica zona del rione Sant’Angelo, da cui furono espulsi i cristiani.

Pio V ha anche il merito di avere creato il primo servizio segreto pontificio, chiamato “Santa Alleanza”. Fu così che seppe per tempo dell’intenzione degli ottomani di invadere lo Stato Pontificio e la cristianità e promosse la Lega Santa nella Battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571). Con questo atto di straordinario coraggio il pontefice riuscì a riunire, per il tempo di una battaglia, l’Europa cattolica (eccetto la Francia, che rifiutò di aderire). Nei Musei Vaticani si trova uno splendido dipinto di Veronese, che partecipò alla Battaglia di Lepanto.


La biografia di Pio V ci aiuta a capire la sua personalità così complessa e a volte contraddittoria, soprattutto per quanto riguarda le cose “terrene”. Ci riferiamo al suo rapporto con il cibo: lui era quello che oggi sarebbe definito “anoressico” (il suo pasto di base si componeva di acqua e pane raffermo), ma aveva il cuoco più raffinato del Rinascimento, Bartolomeo Scappi (1500-1577), il cui genio veniva usato dal Papa per accogliere bene i diplomatici e i pellegrini. Scappi era bolognese, città nella quale svolse la prima parte della sua carriera di cuoco al servizio del cardinale Lorenzo Campeggio, per il quale realizzò nel 1536 un sontuoso banchetto in onore di Carlo V.

L’influenza di Scappi è stata determinante per l’evoluzione della cucina europea. Ispirato dai suoi predecessori (Maestro Martino e Platina), Scappi fu un innovatore: introdusse nelle sue ricette ingredienti nuovi e fino allora sconosciuti, provenienti dalle Americhe, ma anche dei prodotti trascurati dalla gastronomia medievale, come le frattaglie, il burro, la panna montata, le erbe povere (sono straordinari i “brodi” di ortiche, di malva, di asparagi selvatici, di radici varie). Creò nuove ricette di ravioli e anche la prima ricetta di tacchino ripieno (animale sconosciuto in Europa prima della scoperta dell’America). Diventò il cuoco di Pio IV e poi Pio V lo mantenne al suo servizio.

È naturale chiedersi: cosa avevano in comune un Papa ieratico che mangiava in modo a dir poco frugale e un cuoco stravagante che stupiva con le sue creazioni culinarie spettacolari? Forse niente, eppure rimarranno per sempre uniti da un libro. Un ricettario. Scritto da Scappi e pubblicato grazie al finanziamento di Pio V. Il libro è “Opera dell’arte del cucinare”, che è il primo libro illustrato di gastronomia della storia. L’autore delle illustrazioni è Bartolomeo Scappi stesso. In 27 tavole meravigliose possiamo ammirare il contenuto dettagliato di una cucina rinascimentale: le stoviglie, i modi di stoccare il cibo, i tagli, le cotture, i metodi di conservazione (affumicatura, salatura, seccatura al vento). Vediamo perfino una sella da viaggio per il cuoco, una collezione di rotelline per la pasta, uno spiedo multiplo creato da Michelangelo (che Scappi usava spesso) e una grande varietà di secchi per l’acqua: ricordiamoci che nei secoli passati non c’era acqua corrente, perciò nell’organizzazione di una cucina una parte del personale era addetto al trasporto dell’acqua.

Il Papa, che si prese il tempo di vedere i disegni man mano che Scappi li realizzava, decise perfino di mettere a disposizione del cuoco il suo notaio per la stesura del manoscritto, spiegandogli che quest’ultimo disponeva di buon inchiostro e pergamena di qualità, così il testo e i disegni sarebbero durati per sempre. Poi, sempre grazie a Pio V, venne contattato il tipografo Michele Tramezzino di Venezia, che stampò il libro. Esso contiene centinaia di ricette, ma è anche una specie di “diario” dei banchetti preparati da Scappi, dove il cuoco annota i menu e i nomi dei partecipanti.

La casa di produzione di chi scrive, la Condor Pictures, ha realizzato un film sulla pubblicazione di questo libro e sul legame speciale tra Scappi e Pio V, due uomini così diversi nel loro approccio alla gastronomia, ma grazie ai quali è arrivato fino a noi un capolavoro della letteratura gastronomica come “Opera dell’arte del cucinare”. Abbiamo riprodotto tutti gli attrezzi raffigurati nel libro, perfino lo spiedo di Michelangelo. Il film, chiamato “Il Cuoco del Papa” uscirà in Dvd a maggio, insieme a un altro, intitolato “Il Cuoco del Vaticano”, che racconta la storia del libro di Platina, del quale abbiamo già parlato (vedi qui).

Rendiamo omaggio anche oggi, con questo scritto, a due cuochi (Platina e Scappi) che hanno fatto grande non solo la gastronomia, ma anche l’Italia. Grazie a loro, la gastronomia italiana è stata considerata leader in Europa fino alla metà del Seicento, quando la supremazia culinaria sarebbe passata, con La Varenne, nelle mani della Francia e vi sarebbe rimasta fino al XX secolo, quando l’Italia ha ripreso il sopravvento.

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