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giovedì 30 aprile 2020

Ordine di Malta, tra mal governo certo e futuro inglorioso La fine dei grandi cavalieri?

Ieri abbiamo dato la notizia della morte del Gran Maestro del Sovrano Ordine di Malta che sappiamo essere stato persona di grande animo, integro e pio.

Oggi però vogliamo esprimere un commento condividendo il crudo ma obiettivo giudizio critico che ne dà l'ottimo Tosatti, che sembra quasi averci letto nel pensiero. 
Al pari del giornalista, anche noi non vogliamo emettere giudizio morale sulla persona, per la cui anima preghiamo, ma fornire un'analisi - che non può essere che negativa - sul suo governo, sì. 

E' pur vero che Sua Altezza Fra' Giacomo Della Torre giunse al vertice del Sovrano Ordine Militare di Malta (sotto il controllo irrituale di Mons. Becciu, all’epoca potentissimo Sostituto alla Segreteria di Stato vaticana e fedelissimo di papa Bergoglio, nominato “Delegato speciale” del pontefice presso l’Ordine) dopo un periodo difficilissimo e burrascoso per le gravi ingerenze della S. Sede, oltre al canonicamente consentito, nella gestione degli affari interni ed esteri di un soggetto di diritto internazionale (che, lo ricordiamo, è uno Stato autonomo e, come dice il nome, Sovrano). 
Egli però non ebbe la forza e forse le capacità, di prendere il timone di Via Condotti e ricondurre le cose - e le persone - al loro posto, ciascuna secondo il proprio ordine. Oppure fu eletto proprio per non ostacolare, anzi per assecondare i venti minacciosi che già
spiravano da Oltrevere (si veda lo scontro Becciu - Festing qui; la questione del Card. Burke ora solo nominalmente Cardinal Patrono dell'Ordine; si veda la visita uffiale del 2017 richiesta dalla Segreteria di Stato in abiti "civili" per il Luogotenente Della Torre e per i membri del Sovrano Consiglio qui). 

Data la peculiarità del nostro blog, non possiamo esimerci dal stigmatizzare, anche oggi, la sciagurata decisione (forse imposta? forse funzionale?) che il Gran Maestro Della Torre prese un anno fa: il divieto - infondato - della liturgia antica per le celebrazioni istituzionali o ufficiali proprie dell'Ordine. Divieto che estese anche a tutti i cappellani dei priorati, provocando un ingente danno alla causa della Tradizione. Qui la lettera ufficiale del 10 giugno 2019 con le solite "motivazioni" insulse e pretestuose (con traduzione).


Tosatti rileva altri elementi di mal governo del Gran Maestro ieri scomparso: l'avere permesso il "commissariamento" dei tre grandi priorati italiani (che sarebbero gli organi di governo territoriali, che gestiscono ambulatori, strutture assistenziali, opere di carità, e a cui è collegato il Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta [CISOM], gestiti da “procuratori” e non più da religiosi, nonchè l'aver permesso che il Delegato Speciale del Papa Becciu bloccasse il noviziato per i nuovi 'professi' (cioè quei cavalieri che fanno voto di povertà castità e obbedienza e diventano il 'primo ceto' dell’Ordine), immobilizzando così la vita religiosa dell’Ordine, oggi di fatto ridotta a mero aspetto decorativo, la quale, se non riattivata, sarà destinata a rapido azzeramento

Tosatti inoltre si spinge anche ad ipotizzare gli scenari possibili che potrebbero attendere l'Ordine, e non sono certo dei più dignitosi e rosei.

Ci spiace essere stati impietosi verso uno che fu un glorioso Ordine (religioso e secolare insieme) a servizio della Chiesa attraverso la cura dei malati e della Fede. Ma ahimè sta subendo la fine ingloriosa al pari degli altri secolari Ordini religiosi che seguono da troppo tempo le voci e le leggi del mondo e non hanno coraggio di dire Sì, Sì, No, No.

Roberto. 

Ordine di Malta, il futuro: nulla è escluso. Anche di clamoroso

di Marco Tosatti, Stilum Curiae, del 29.04.2020



Carissimi amici e nemici di Stilum Curiae vi offriamo una riflessione sulla situazione che si è venuta a creare dopo la scomparsa del Gran Maestro dell’Ordine di Malta. Con la morte di Fra’ Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, avvenuta poco dopo la mezzanotte del 29 aprile, si apre per l’Ordine di Malta uno scenario non proprio rassicurante. La scomparsa di un capo – che, nel caso, è insieme “religioso” e “secolare” – provoca sempre di per sé scosse al sistema, ma più ancora – crediamo – sarà così per l’Ordine di San Giovanni che già da almeno quattro anni vive una profonda crisi istituzionale.



Basti pensare che già nelle ore pomeridiane che hanno preceduto l’annuncio ufficiale della dipartita si sono rincorse notizie discordanti (che fonti ci dicono diramate da una imprudente lettera firmata dal principe Erich von Lobkowicz, potente presidente dell’Associazione tedesca dei cavalieri di Malta) sullo stato di salute del Gran Maestro, che
è arrivato a esser dichiarato morto anzitempo, con un velocissimo aggiornamento della pagina di Wikipedia, in seguito corretta, a seguito di un comunicato ufficiale dell’Ordine e alla lettera “firmata” dal Gran Commendatore (la seconda carica dell’Ordine di Malta e responsabile della vita religiosa), l’ottantenne portoghese fra’ Ruy Gonçalo do Valle Peixoto de Villas Boas.



Una cosa simile, in altri tempi, non sarebbe mai successa, anche perché si presume che le notizie riguardanti la salute del capo di un Ordine religioso che è anche – un unicum nel panorama giuridico attuale – Capo di Stato debbano necessariamente essere filtrate dall’entourage di strettissimi e, si spera, fidati collaboratori.



Il defunto Gran Maestro aveva personalmente annunciato – con una irrituale lettera del 24 febbraio scorso – di avere problemi di salute legati a un diagnosticato tumore alla gola che lo avrebbero sottratto a molti impegni istituzionali per via delle cure alle quali avrebbe dovuto sottoporsi; in quella stessa lettera, in modo effettivamente anomalo, Dalla Torre aveva tra l’altro scritto “Le decisioni importanti resteranno nelle mie mani”, quasi a voler rassicurare che nessuno se ne sarebbe approfittato. Ma perché scriverlo, ci chiediamo?



Tutti questi scricchiolii danno proprio l’impressione di una istituzione in sé molto gracile, che sembra dimenticare i suoi quasi mille anni di storia di battaglie e di vittorie per la difesa della cristianità.

Un governo molto debole quello di fra’ Giacomo Dalla Torre, scelto per la sua nota bonomia, per una integerrima condotta morale ma anche per l’indiscussa prossimità della sua nobile famiglia al mondo vaticano: suo nonno Giuseppe fu direttore dell’Osservatore Romano, mentre suo fratello, Giuseppe anche lui, è stato per decenni (fino a pochi mesi fa) l’influente presidente del Tribunale Vaticano.

Un governo che ha anche mostrato le sue falle e le sue sacche di incapacità sin dalla luogotenenza che Dalla Torre assunse come “tampone” al vulnus inflitto alla sovranità dell’Ordine con la defenestrazione dell’ex Gran Maestro fra’ Matthew Festing ad opera della ormai sbugiardata manovra teutonico-vaticana architettata dal prima cacciato e poi reintegrato Gran Cancelliere Albrecht Freiherr von Boeselager, che ha anche chiesto la testa del Card. Raymond Leo Burke, congelandogli l’incarico (peraltro a tutt’oggi formalmente esistente) di “Cardinalis Patronus”.

Singolare una coincidenza di date: egli fu eletto Luogotenente proprio il 29 aprile 2017 – sotto la supervisione di mons. Angelo Becciu (oggi Cardinale, Prefetto della Congregazione dei Santi), all’epoca potentissimo Sostituto alla Segreteria di Stato vaticana e fedelissimo di papa Bergoglio, nominato “Delegato speciale” del pontefice presso l’Ordine – e il Signore lo chiama a sé nello stesso giorno, tre anni dopo.

Sia da Luogotenente sia più ancora eletto Gran Maestro il 2 maggio 2018 dietro chiaro placet d’Oltretevere, al fianco delle indiscusse qualità morali e religiose di gran pregio, Dalla Torre non ha però saputo mai mostrare il piglio istituzionale che le contingenze esigevano, permettendo molto spesso una forma di gestione eterodiretta dell’Ordine a cui capo era stato posto. Ha consentito che tutti e tre i gran priorati italiani (che sarebbero gli organi di governo territoriali, che gestiscono ambulatori, strutture assistenziali, opere di carità, e a cui è collegato il Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta [CISOM]) fossero gestiti da “procuratori” e non da religiosi (una forma di commissariamento indiretto). Ha permesso che il Delegato Speciale del Papa bloccasse il noviziato per i nuovi “professi” (cioè quei cavalieri che fanno voto di povertà castità e obbedienza e diventano il “primo ceto” dell’Ordine), immobilizzando così la vita religiosa dell’Ordine, oggi di fatto ridotta a mero aspetto decorativo, la quale, se non riattivata, sarà destinata a rapido azzeramento. Non si dimentichi poi, tra gli altri, anche il grosso scivolone che fece con la proibizione nelle cerimonie dell’Ordine della messa in rito antico (si veda qui un nostro commento all’epoca): un atto certamente imprudente, probabilmente frutto di un ricatto istituzionale interno, ma che fu anche una inopportuna forma di piaggeria nei confronti di una presunta volontà “apostolica”, quasi a voler dimostrare che nell’Ordine di Malta – già di per sé malvisto perché incarnerebbe (almeno di principio) una certa impostazione elitaria ed eccessivamente aristocratica del cattolicesimo – non si dà voce ai sediziosi “tradizionalisti”; si trattò pure di un attacco indiretto alla sensibilità del predecessore Festing, notoriamente amante della spiritualità tridentina; insomma, fu un gratuito attestato di allineamento che probabilmente avrebbe potuto risparmiarsi. Appare quantomeno suggestivo considerare che Dalla Torre sia spirato alle prime luci del giorno in cui la Chiesa, nel calendario della messa tradizionale, commemora il Patrocinio universale di San Giuseppe, che è anche patrono della buona morte.

Al di là di ciò – che comunque costituisce una considerazione “politica” sullo stile di governo ma non è certo un giudizio morale (che apparrebbe ingeneroso, prima ancora che temerario) sulla persona – ora con la morte di Dalla Torre si aprono scenari molto problematici per la vita dell’Ordine.

Innanzitutto va notato che la morte di un capo di stato, che avviene in una circostanza come quella che stiamo vivendo dovuta al blocco planetario per la pandemia, subisce certamente ripercussioni cerimoniali, a cominciare dall’incertezza sulle esequie: certo, l’Ordine di Malta è un soggetto di diritto internazionale che gode, dunque, di sovranità, indipendenza e anche di extraterritorialità per cui non sarebbero certo applicabili le grottesche misure contenitive della normativa italiana in materia; però, oggettivamente, non crediamo sia ipotizzabile un rito proporzionato alla dignità di una “Altezza Eminentissima”. Probabilmente ci sarà solo una cerimonia ristretta ai membri del Sovrano Consiglio e ai cavalieri professi; forse si potrebbe sperare nella consolidata prassi per la quale, nel trigesimo della scomparsa, vengano officiati i funerali di stato, alla presenza di capi di stato e del corpo diplomatico. Staremo a vedere; certo dispiace che il capo di un ordine religioso, un uomo comunque molto pio e devoto, non possa avere un degno momento di estremo saluto con gli onori che gli spettano.

Ma al di là delle comunque impietose problematiche protocollari – sebbene in questo mondo la forma è sostanza – ben più significativo si profila lo scenario istituzionale che si apre con la sua morte.

Il comunicato del Gran Magistero, diffuso stanotte intorno all’1.00, informava che «Secondo l’articolo 17 della Costituzione del Sovrano Ordine di Malta, il Gran Commendatore… ha assunto le funzioni di Luogotenente Interinale e rimarrà a capo del Sovrano Ordine di Malta fino all’elezione del nuovo Gran Maestro.»

Ora il problema è veramente grosso. Già dalla sua luogotenenza e poi nel suo magistero Dalla Torre avrebbe dovuto provvedere a condurre e concludere la riforma costituzionale dell’Ordine. Sono state organizzate commissioni (nelle quali, comunque, sono stati ampiamente marginalizzati i cavalieri religiosi professi), ci sono stati scambi di documenti (tutti atti interni, nulla di pubblico, s’intende), e poi tutto è caduto nell’oblio, in una forma di acquiescenza allo status quo: molto imprudente per chi non può contare davanti a sé cinquant’anni di governo.

Tutto adesso è nelle mani del Gran Commendatore.

Sì, certo, formalmente è così, ma è chiaro che un gentiluomo portoghese di 80 anni suonati (e non proprio arzillo a ciò che si vede e si sa), rimasto peraltro confinato in Portogallo, non potrà gestire autonomamente una situazione complessa come questa, e pertanto avrà bisogno di aiuto. Non c’è dubbio che l’oscuro Gran Cancelliere Boeselager tirerà le fila di tutto… ma il primo scoglio è proprio la riforma incompleta, che dunque è anche inutile. Perché, a ben guardare, l’Ordine si trova nella stessa situazione di stallo che condusse all’elezione di Dalla Torre.

L’art. 13 della Carta Costituzionale dell’Ordine oggi in vigore prescrive che «Il Gran Maestro è eletto a vita… tra i Cavalieri Professi, con almeno dieci anni di Voti Perpetui, se di età inferiore ai cinquanta anni; per i Cavalieri Professi di età superiore, membri dell’Ordine da almeno dieci anni, sono sufficienti tre anni di Voti Perpetui.» (paragrafo 1°), e poi prosegue: «Il Gran Maestro e il Luogotenente di Gran Maestro devono avere i requisiti nobiliari prescritti per la categoria dei Cavalieri di Onore e Devozione.» (paragrafo 2°). Cosa vuol dire questo?

Per i non addetti ai lavori, il Gran Maestro dell’Ordine di Malta non può non essere un aristocratico (il che ci sembra anche logico per un Ordine che si qualifica come “nobiliare”); e la Costituzione prevede che il Capo dell’Ordine sia scelto non “tra i cavalieri di onore e devozione” (che potrebbero essere stati inseriti in tale categoria anche con un “motu proprio”, pure per particolari meriti, senza averne il diritto araldicamente parlando) ma che “abbia i requisiti richiesti per essere ammessi tra i cavalieri di onore e devozione”, e cioè: 4/4 (= tanto da parte di padre che di madre) di nobiltà per 200 anni, oppure: 250 anni di nobiltà per la linea paterna oltre a 200 anni degli altri 2/4 oltre alla sanatoria per un’ava, oppure: 300 anni linea paterna oltre a 200 anni degli altri 2/4 oltre alla sanatoria per un’ava, oppure: 350 anni, linea paterna oltre a 200 anni di un altro quarto, oppure: 450 anni linea paterna.

Questa era una delle norme che la riforma avrebbe dovuto modificare, quantomeno consentendo di poter spaziare tra i membri professi (detto “primo ceto”), estendendo magari (così si ipotizzava) l’eleggibilità anche a cavalieri di grazia e devozione (che sarebbe il gradino immediatamente sotto agli onore e devozione), ma così non è stato. E pertanto la norma vigente è quella sopra richiamata.

Assodato ciò, chi potrebbe essere eletto Gran Maestro stanti queste regole? Beh, la partita è complessa perché, a ben guardare, il panorama umano non è per nulla ampio. Alcuni sono dei candidati “solo sulla carta”, come fra’ Luigi Naselli di Gela (classe 1930, ex gran priore di Napoli e Sicilia, dimessosi per ragioni di salute) e fra’ Gherardo Hercolani Fava Simonetti (classe 1941, ex gran commendatore anch’egli, ma assai malconcio di salute); ci sarebbe infine fra’ Pierre de Bizemont (classe 1944, unico professo francese coi requisiti di eleggibilità). Naturalmente a questi pochi papabili va aggiunto, e forse anteposto, l’ex Gran Maestro Festing, classe 1949, per il quale tecnicamente non è escluso il grande ritorno, considerate anche le di fatto mai del tutto sopite polemiche che seguirono le sue controverse dimissioni.

Lo stesso Gran Commendatore non potrebbe essere eletto, provenendo dalle file dei cavalieri di grazia e devozione, così come anche gli italiani fra’ Carlo d’Ippolito di Sant’Ippolito (un energico signore calabrese classe 1933, ex gran commendatore) e fra’ Marco Luzzago (classe 1950, “commendatore di giustizia”, responsabile del castello di Magione), anche loro ammessi come cavalieri di grazia e devozione. Da escludere, naturalmente, tutti gli altri professi provenienti dagli altri gradi.

Ci sarebbero poi delle ipotesi che avvantaggerebbero una ipotetica riconquista italiana di Via Condotti, perché si potrebbe contare anche un altro cavaliere professo coi requisiti nobiliari previsti dall’art. 13, paragrafo 2°, ma che però è privo di quelli previsti dal paragrafo 1°, come il quarantaquattrenne friulano fra’ Nicolò Custoza de Cattani (che ha emesso i voti solenni nel 2016, ma dovrebbe aspettare il 2026 per essere eleggibile). E poi c’è anche un altro italiano, che però ad oggi sta al limite del raggiungimento dei requisiti legati alla professione solenne: si tratta del campano fra’ Alessandro de Franciscis, classe 1955, attuale direttore del Bureau Médical di Lourdes, che compirebbe il triennio di professione a dicembre prossimo. Dunque, in una ipotetica procrastinazione legata alle contingenze del covid-19, potrebbe anche concretizzarsi l’ipotesi di una sua elezione. Tuttavia, de Franciscis non è solo un assai stimato medico che svolge un ruolo di chiaro prestigio presso uno dei Santuari mariani più importanti della cristianità, ma ha anche un trascorso politico tra le file dell’area di centrosinistra (ex DC, poi Margherita, UDEUR, Partito Democratico) che lo ha portato a ricoprire l’incarico di presidente della provincia di Caserta nel 2005 e ad essere spiacevolmente coinvolto in questioni giudiziarie connaturate a detto incarico, poi comunque risoltesi positivamente per lui. Certamente dal 2009 non fa più politica, ma si sa che in certi ambienti certe cose non smettono mai di essere considerate, specialmente quando si tratta di eleggere quello che, sebbene sui generis, è pur sempre un Capo di Stato.

Naturalmente la questione si giocherà tutta sul tempo, che certamente non mancherà date le circostanze legate alla pandemia. C’è però da dire che il Codice che regola la vita dell’Ordine e (art. 145) fissa a un massimo di tre mesi il tempo per la convocazione del Consiglio Compìto di Stato (organo elettivo del Gran Maestro che costituisce una sorta di “parlamento” dell’Ordine, in cui sono rappresentati anche i gran priorati e le associazioni nazionali), e dunque il tempo di ipotetiche alleanze non è poi così ampio; a meno che non si concretizzi una deroga a tale norma, ma anche questa ad oggi è solo un’ipotesi ‘di scuola’.

È chiaro però che, al netto di ciò, l’influsso della gestione tedesca dell’Ordine, orchestrata dall’ineffabile Boeselager, non tarderà a farsi sentire. Egli ha certamente in pugno quasi tutte le associazioni nazionali – un po’ più recalcitrante delle altre quella italiana, guidata dal siciliano Riccardo Paternò di Montecupo, alla quale, sebbene abbia più membri delle altre, fu arbitrariamente impedito di esprimere la preferenza nelle ultime elezioni del 2018 adducendo la giustificazione che l’Italia era già rappresentata dai tre gran priorati (due dei quali all’epoca già commissariati) – e chiaramente può contare su un sistema tentacolare di controllo fondato sulla gestione e distribuzione di fondi economici e privilegi diplomatici (si pensi anche solo alla scelta di tutti i diplomatici dell’Ordine – tra cui ricordiamo c’è anche il figlio del potentissimo ex comandante della Gendarmeria Vaticana Domenico Giani, ora silurato da papa Bergoglio). I professi (non solo quelli “nati nobili”), d’altra parte, sono numericamente poca cosa e soprattutto appaiono molto disorganizzati e demoralizzati; la loro è una condizione di stallo, che sembra non aver tanto respiro né margine di azione.

Non si esclude però che in tutto ciò la Santa Sede, tramite il delegato speciale Becciu, possa allungare ancora una volta la zampa verso l’Ordine, esercitando un ruolo direttivo nelle procedure di elezione, magari facendo convergere verso la scelta di un Luogotenente che temporaneamente regga l’Ordine e lo traghetti verso la tanto richiesta riforma. Ma anche il Luogotenente deve avere i requisiti previsti per il Gran Maestro (come vedevamo prima citando l’art. 13 paragr. 2° della Carta Costituzionale), e dunque si ripropone ugualmente il problema della scelta che però, in questo caso, sarebbe limitato a un solo anno di governo, per poter poi, al momento di eleggere il nuovo Gran Maestro, poter spaziare su più candidati. D’altra parte però, se ciò avvenisse, si aprirebbe nuovamente la frattura legata alla considerazione della, ancorché peculiare, sovranità dell’Ordine, che risulterebbe in qualche modo viziata da una forma di ingerenza esterna.

A ciò si aggiunga che, comunque vadano le cose, torna a presentarsi la questione del “Cardinalis Patronus”, carica dalla quale a tutt’oggi non è mai stato formalmente rimosso Raymond Burke; il cardinale americano, che non ha certo bisogno di didascalie, elegantemente non ha mai rivendicato alcun ruolo dopo l’estromissione che di fatto ha creato un “congelamento” della sua funzione, ma considerato che le regole dell’Ordine assegnano al suo ufficio alcune mansioni legate a queste fasi, sarebbe auspicabile una definizione onesta del problema.

Naturalmente si tratta di ipotesi politiche. Ma la situazione potrebbe anche non essere così tragica come si pensa, ed anzi, confidando nell’irrobustirsi di un gruppo “resistente”, la pars sanior dell’Ordine potrebbe approfittare positivamente del momento per un cambio di rotta verso una più responsabile autonomia e una migliore consapevolezza del proprio passato.

Stiamo a guardare.

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