Ogni anno per la festa di Pentecoste diverse migliaia di ungheresi della Transilvania, assieme a tanti altri provenienti da tutto il mondo, si radunano nella sella del monte Somlyó per il tradizionale Pellegrinaggio al Santuario di Csíksomlyó la cui storia centenaria ci ricorda come la fede e la devozione alla Madonna Santissima hanno resistito alle tante sanguinose persecuzioni scagliate nel corso dei secoli contro gli eroici cattolici di quella terra.
AC
Csíksomlyó, il santuario mariano che il Papa visiterà in Romania
Il santuario mariano di Șumuleu Ciuc, in ungherese Csíksomlyó, che sarà una delle tappe del viaggio apostolico di Papa Francesco in Romania, è uno dei più importanti centri spirituali dei cattolici ungheresi, non solo quelli della Transilvania, ma di tutto il mondo.
Nella chiesa dei francescani, sorta ai piedi del Monte Somlyó, si venera la monumentale statua della Madonna di Csíksomlyó, ma il monte stesso ha un significato particolare nella devozione popolare.
Una primitiva chiesa è stata edificata sul posto verso la metà del XV secolo, grazie al famoso condottiero ungherese János Hunyadi, vincitore dei turchi a Belgrado nel 1456 assieme a S. Giovanni da Capestrano.
Nel 1442 egli elargì una donazione ai francescani, in ringraziamento di una delle sue vittorie, avvenuta nel 1442.
Papa Eugenio IV, nel 1444, concesse un’indulgenza a quanti avessero aiutato la costruzione della chiesa e del convento, anche in considerazione della moltitudine dei fedeli che vi si recarono per venerare la Madonna.
(È da notare che in ungherese il termine “búcsú” ossia indulgenza, in generale indica anche la festa patronale o altra ricorrenza importante di una chiesa e così in questo caso anche il tradizionale pellegrinaggio che si compie a Csíksomlyó.)
La chiesa gotica venne consacrata nel 1448 col titolo della Madonna della Visitazione (lì tuttora festeggiata il 2 luglio).
L’edificio gotico, cinta anche di mura subì, nel 1661, la devastazione dei turchi che lo incendiarono, massacrando o portando in prigionia sia i fedeli ivi rifugiatisi, sia i francescani.
Fu ricostruito da Fr Kázmér Damokos, il quale fu in seguito nominato vicario apostolico della Diocesi della Transilvania e consacrato vescovo. (Un piviale donatogli da Clemente IX è tuttora custodito presso il santuario.)
Alla fine del turbolento XVII secolo un altro analogo attacco fu, invece, respinto dagli abitanti della zona.
Csíksomlyó, infatti, si trova vicino all’antico confine sud-orientale dell’Ungheria storica, allora esposta alle scorrerie turche e tartare provenienti dall’Impero Ottomano.
Sempre in quel periodo vi operò Fra’ János Kájoni (in romeno Ioan Căianu), insigne musicista e studioso (autore del Cantionale Catholicum) che stabilì presso il convento la prima tipografia cattolica della Transilvania.
Il cd. “Codice Kájoni” da lui compilato contiene una serie di spartiti musicali di provenienza europea e locale.
La biblioteca del Convento francescano di Csíksomlyó è, infatti, una delle raccolte librarie più antiche e significative della Transilvania.
Si tratta dell’unica biblioteca conventuale medievale della regione sopravvissuta alla riforma protestante e alle guerre turche.
I suoi codici più importanti sono stati poi nascosti all’arrivo dell’esercito sovietico e riscoperti solo negli anni 1980.
All’inizio del XIX secolo si decise la ricostruzione la chiesa del santuario, troppo piccola e fatiscente.
I lavori iniziarono nel 1804 e la chiesa venne consacrata nel 1876.
Essa presenta, perciò, un aspetto tardo barocco, con una decorazione interna più recente.
Nel 1948 Papa Pio XII vi concesse il rango di basilica minore.
Il tesoro più prezioso della chiesa è la statua della Madonna.
Di stile rinascimentale e di manifattura locale, essa risale agli anni 1510 e con la sua altezza di 2,27 metri è considerata la più grande statua di questo genere.
Scolpita in legno d’acero rappresenta la “Donna vestita di Sole”, con il Bambino in braccio, la luna sotto i piedi e la corona regale sul capo, cinta anche di una corona di dodici stelle.
La leggenda narra che essa rimase miracolosamente indenne nell’incendio del 1661 (anche recenti indagini scientifiche hanno confermato la mancanza di qualsiasi bruciatura).
Un’altra riferisce, inoltre, che per miracolo essa si era resa così pesante che i tartari che l’avrebbero voluto trascinare con sé non ci riuscirono neanche con i buoi, mentre il soldato che la colpì con la spada finì con il braccio paralizzato.
Le grazie ottenute per intercessione della Madonna di Csíksomlyó sono testimoniate anche da numerosi ex voto esposti nel santuario.
La devozione popolare prevede la salita alla statua della Madonna, collocata sopra l’altare maggiore, per toccarla con la mano o con un fazzoletto.
Il grandioso pellegrinaggio di Csíksomlyó (Csíksomlyói búcsú) è stato sin dagli inizi una testimonianza della volontà degli ungheresi di quella regione e di quelli che provengono oggi da tutto il mondo, di preservare la fede cattolica.
Le origini del grande pellegrinaggio mariano risalgono alla metà del XVI secolo, quando la Transilvania abbracciò la riforma protestante: i sassoni di lingua tedesca divennero luterani, mentre gli ungheresi per lo più calvinisti, oppure seguaci di una nuova confessione autoctona, la Chiesa Unitariana (antitrinitari).
Solo la regione del Csík, abitata dai székely (secleri o siculi) ungheresi, rimase fedele al cattolicesimo.
Il Re Giovanni Sigismondo, anch’egli di fede unitariana, avrebbe voluto costringere gli abitanti di Csík alla conversione protestante.
Il sabato di Pentecoste del 1567 gli abitanti della regione affrontarono vittoriosi l’esercito del sovrano nelle montagne della Hargita, mentre le donne e i bambini si radunarono presso il santuario di Csíksomlyó ad invocare la protezione della Vergine.
La vittoria fu attribuita alla Madonna di Csíksomlyó e da allora i székely si mantengono fedeli al voto di compiere il pellegrinaggio annuale il sabato di Pentecoste. (Sottolineatura nostra N.d.R.)
Sebbene alcuni storici avessero messo in dubbio la battaglia della Hargita, rimane il fatto incontestabile che solo la regione di Csík rimase fedele al cattolicesimo, (sottolineatura nostra N.d.R.) in tutta la Transilvania allora divenuta protestante.
È ad ogni modo significativo che il simbolo del santuario è il cd. labarum che richiama il vessillo militare.
Si tratta di una sorta di padiglione (ombrello) di tessuto rosso che, custodito presso l’altare maggiore, il giorno della “búcsú” viene portata in processione sul Monte Somlyó sovrastante la chiesa. (foto 4)
Le tradizioni popolari sorte attorno al pellegrinaggio e alla “búcsú” (cioè la festa con l’indulgenza) fanno parte dell’identità più profonda della popolazione della regione Csík, e della Terra dei Székely (Székelyföld).
Gli abitanti dei diversi paesi della zona vanno tuttora a piedi a Csíksomlyó per la “búcsú” e, dopo aver assistito alla messa solenne, compiono la salita alla cima piccola del Monte Somlyó, con la guida dei sacerdoti e preceduti dal labarum.
All’alba del giorno seguente, domenica di Pentecoste, c’è l’usanza di osservare il sorgere del sole proprio dal monte, cantando il Veni Creator e il Te Deum.
Secondo la tradizione alcuni riescono a scorgere nel sole il simbolo dello Spirito Santo.
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Dopo i quattro decenni del comunismo, quando non fu possibile celebrare la processione della “búcsú”, la tradizione è stata ripresa dopo il cambio di regime in Romania.
Anche i francescani sono tornati ad officiare l’antico santuario.
Lo straordinario afflusso dei pellegrini è cresciuto così rapidamente da non permettere la celebrazione della messa solenne nel santuario o nel piazzale davanti ad esso.
Così, dal 1993 si è deciso di celebrare all’aperto, proprio nella sella situata tra le due vette del Monte Somlyó, dove nel 1996 è stato eretto l’altare dalla forma caratteristica di triplice colle, opera del famoso architetto ungherese Imre Makovecz (rappresentante dell’architettura organica, che ha partecipato della mostra d’arte in Vaticano per i 60 anni di sacerdozio di Papa Benedetto XVI).
Fonte e foto: Ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede QUI
Ho avuto il piacere di vedere l'architetto Makovecz sul canale Marcopolo, in una trasmissione dedicata all'architettura tradizionale ungherese: quando i popoli mantengono le sane tradizioni, la società è migliore
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