di don Alfredo M. Morselli
(Qui il terzo, il secondo ed il primo dubium)
Con il quarto dubium, i Cardinali chiedono al Santo Padre come sia possibile conciliare il § 302 di Amoris laetitia con la dottrina, fondata sulla Sacra Scrittura e la Tradizione - quindi de fide catholica - riproposta nel § 81 dell'enciclica Veritatis splendor.
Con il quarto dubium, i Cardinali chiedono al Santo Padre come sia possibile conciliare il § 302 di Amoris laetitia con la dottrina, fondata sulla Sacra Scrittura e la Tradizione - quindi de fide catholica - riproposta nel § 81 dell'enciclica Veritatis splendor.
Ecco il testo del dubium:
4. Dopo le affermazioni di "Amoris laetitia" n. 302 sulle "circostanze attenuanti la responsabilità morale", si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 81, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, secondo cui: "le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta"?
Vediamo ora il § 81 di Veritatis splendor:
81. Insegnando l'esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la Chiesa accoglie la dottrina della Sacra Scrittura. L'apostolo Paolo afferma in modo categorico: «Non illudetevi:
né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio» (1 Cor 6,9-10).
Il § 81 comincia innanzi tutto ribadendo che l'esistenza di atti intrinsecamente cattivi fa parte del depositum fidei, cioè si tratta una verità rivelata nella Sacra Scrittura, accolta dalla Chiesa come tale.
Cerchiamo ora capire cosa implica tutto ciò, per quanto riguarda il contenuto di questa stessa verità di fede.
Facciamo un esempio: ipotizziamo il caso di due divorziati risposati civilmente, che hanno figli e quindi non possono interrompere la coabitazione. Hanno ritrovato la fede a giochi fatti, ovvero dopo che hanno contratto il nuovo matrimonio civile; essi sono impegnati in parrocchia in attività caritative e sono di buon esempio, in tante cose, alle coppie regolari e allo stesso parroco.
Forse che queste circostanze autorizzano i coniugi risposati civilmente a compiere gli atti propri degli sposi, per altro consigliati saltuariamente dalla stessa enciclica nella assurda nota 329? [1]
Ebbene, Veritatis splendor dice di no. Proseguiamo la lettura del § 81:
"Se gli atti sono intrinsecamente cattivi, un'intenzione buona o circostanze particolari possono attenuarne la malizia, ma non possono sopprimerla: sono atti «irrimediabilmente» cattivi, per se stessi e in se stessi non sono ordinabili a Dio e al bene della persona: «Quanto agli atti che sono per se stessi dei peccati (cum iam opera ipsa peccata sunt) — scrive sant'Agostino —, come il furto, la fornicazione, la bestemmia, o altri atti simili, chi oserebbe affermare che, compiendoli per buoni motivi (causis bonis), non sarebbero più peccati o, conclusione ancora più assurda, che sarebbero peccati giustificati?» (nota 134: Contra mendacium, VII, 18: PL 40, 528; cf S. Tommaso D’Aquino, Quaestiones quodlibetales, XI, q. 7, a. 2; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1753-1755). Per questo, le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto «soggettivamente» onesto o difendibile come scelta)".
L'enclica prosegue nel paragrafo seguente spiegando le ragioni dell'impossibilità degli atti intrinsecamente cattivi a diventare buoni: essi, nonostante possano sembrare utili o buoni per quel caso, in realtà costituiscono un male per l'uomo, perché "si oppongono sempre e in ogni caso" al suo "vero bene" e al raggiungimento del suo fine. Sentiamo S. Giovanni Paolo II:
82. Del resto, l'intenzione è buona quando mira al vero bene della persona in vista del suo fine ultimo. Ma gli atti, il cui oggetto è «non-ordinabile» a Dio e «indegno della persona umana», si oppongono sempre e in ogni caso a questo bene. In tal senso il rispetto delle norme che proibiscono tali atti e che obbligano semper et pro semper, ossia senza alcuna eccezione, non solo non limita la buona intenzione, ma costituisce addirittura la sua espressione fondamentale.
Il § 82 prosegue spiegando che affermare che gli atti intrinsecamente - quindi sempre - cattivi possono acquisire una certa bontà dalle circostanze o dalla buona intenzione, comporterebbe svellere dalla fondamenta tutto l'edificio della morale naturale e cristiana: si negherebbe infatti l'esistenza stessa dell' ordine morale oggettivo.
82. La dottrina dell'oggetto, quale fonte della moralità, costituisce un'esplicitazione autentica della morale biblica dell'Alleanza e dei comandamenti, della carità e delle virtù. La qualità morale dell'agire umano dipende da questa fedeltà ai comandamenti, espressione di obbedienza e di amore. È per questo — lo ripetiamo — che è da respingere come erronea l'opinione che ritiene impossibile qualificare moralmente come cattiva secondo la sua specie la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati, prescindendo dall'intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili di quell'atto per tutte le persone interessate. Senza questa determinazione razionale della moralità dell'agire umano, sarebbe impossibile affermare un «ordine morale oggettivo» (nota 135: Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 7) e stabilire una qualsiasi norma determinata dal punto di vista del contenuto, che obblighi senza eccezioni; e ciò a scapito della fraternità umana e della verità sul bene, e a detrimento altresì della comunione ecclesiale.
In base a quanto detto, il quarto dubium dei Cardinali, che possiamo riassumere nella domanda: possono le circostanze o le intenzioni rendere buono un atto intrinsecamente cattivo? - domanda di cui conosciamo già la risposta negativa de fide catholica - è tutt'altro che banale; si può anche fomulare con: come Amoris laetitia non contraddice la verità di ragione e di fede della morale oggettiva?
NOTE
[1] "…conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, «non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli»” (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 51)".
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