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venerdì 18 novembre 2016

Amoris laetitia: la terza domanda dei Cardinali

di don Alfredo M. Morselli


Dopo avere esaminato i primi due dubia (qui e qui) presentati da quattro Cardinali al Santo Padre, esaminiamo ora la terza domanda:
3. Dopo "Amoris laetitia" n. 301 è ancora possibile affermare che una persona che vive abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio, come ad esempio quello che proibisce l’adulterio (cfr. Mt 19, 3-9), si trova in situazione oggettiva di peccato grave abituale (cfr. Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000)?
Il dubbio nasce da quanto affermato in Amoris laetitia 301: "la Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti […] per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, rivi della grazia santificante".

In questo punto, Amoris laetitia soffre di un certo cartesianesimo, ovvero tende a separare il peccato in sé puramente pensato (in base alle leggi morali), da un atto umano particolare, compiuto di fatto nel mondo esteso
Sembrerebbe così che possano esistere un peccato oggettivo nei manuali di teologia morale, o una situazione irregolare nell'iperuranio, ma che questi possano non essere vissuti realmente come peccati, quantunque gli atti ricadono inequivocalmente nelle specie morali suddette.

In realtà, al pari di un ente creato che partecipa realmente e necessariamente di una determinata essenza, così gli atti umani che appartengono a una specie di azione intrinsecamente cattiva, sempre ne partecipano la malizia.

Inoltre, questo brano di Amoris laetitia sminuisce di fatto la libertà dell'uomo, riducendone strutturalmente la capacità di porre atti che procedono dalla libera volontà: si tratta di una forma di servo arbitrio, questa volta non determinato dalla predestinazione divina (di stampo luterano) ma da un pessimismo antropologico per cui l'uomo - poveretto - oggi si trova irrimediabilmente in balia delle circostanze.
Qui fa capolino l'ideologia yuppista sessantottina secondo la quale tutto il male sarebbe colpa della società e delle cosiddette sovrastrutture, e non da uomini che lo stesso male possono e vogliono compiere.

In base a quanto detto fin'ora, affermare la corrispondenza tra peccato in sè e peccato realmente commesso non significa, come pure hanno spiegato i Cardinali, emettere un giudizio definitivo sullo stato di un'anima (giudizio riservato a Dio), ma descrivere una situazione per cui, posto un atto umano cattivo, questo non è peccato solo nei manuali, ma lo è anche nella realtà.

L'uomo è poi in grado di conoscere se ha peccato o meno. San Paolo da un lato diceva "anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo sono giustificato" (1Cor, 4,4), dall'altro diceva di esaminare la propria coscienza prima di comunicarsi (cf. 1Cor 11, 28-29).

Se l'uomo non fosse in grado di giungere almeno a una certezza morale circa il proprio stato di grazia, perché esaminarsi? Sarebbe solo una vera e propria tortura spirituale; saremmo come dei ciechi a cui viene comandato di vedere per salvarsi.

E come facciamo a sapere se siamo in grazia di Dio o no? Evidentemente perché a un certo atto - compiuto con piena avvertenza e deliberato consenso -, corrisponde o un'azione meritoria o un peccato. Abbiamo compiuto un certo atto peccaminoso? Se la risposta è affermativa, non siamo in grazia; altrimenti lo siamo.

Affermare che "non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale" equivale a dire che si può convivere more uxorio senza piena avvertenza e deliberato consenso, e quindi: "cari conviventi, siete liberi solo parzialmente".

Per questo la Chiesa, sebbene non giudichi di nessuno se sia in grazia di Dio o meno, può legiferare circa situazioni oggettive peccato, e proibire di  ricevere l'Eucarestia a coloro che vivono,  da peccatori, in uno stato di peccato.

Le affermazioni di Amoris laetitia prese in considerazione dal terzo dubium, mettono in discussione anche alla possibilità per l'uomo di santificarsi: infatti, solo una volontà libera, quindi con la piena possibilità di peccare, ha la possibilità di raggiungere una vera santità. Come si può essere infatti capaci di amare (cioè di dire di sì a Dio), se non si è in grado di peccare (cioè di dirgli di no)? 

In base a tutte le considerazioni sviluppate sino ad ora, possiamo concludere che anche il terzo dubium mette il dito nella piaga di una formulazione che sembra davvero pericolosa per la fede e la morale cattolica. È dunque lecito porre rispettosamente una domanda su questo punto.