Riportiamo, per gentile concessione del curatore di Romualdica, un ampio stralcio della conferenza di S. Em. il card. Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, «Towards an Authentic Implementation of Sacrosanctum Concilium» (versione ufficiale in lingua francese della conferenza qui), svolta il 5 luglio 2016 nel corso del Convegno Sacra Liturgia 2016 (Londra, UK, 5-8 luglio 2016), trad. it. di fr. Romualdo O.S.B.
[…] Alla luce degli auspici fondamentali dei Padri del Concilio [Vaticano II] e delle varie situazioni che abbiamo visto affiorare dopo il Concilio, vorrei presentare alcune considerazioni pratiche quanto al modo di mettere in opera più fedelmente Sacrosanctum Concilium nel contesto attuale. Sebbene io mi trovi alla guida della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, lo faccio in tutta umiltà, come sacerdote e come vescovo, nella speranza che esse susciteranno studi e riflessioni mature, come pure buone pratiche liturgiche, ovunque nella Chiesa.
Non vi sorprenderete se raccomando che possiamo anzitutto esaminare la qualità e la profondità della nostra formazione liturgica, la maniera con cui abbiamo aiutato il clero, i religiosi e i laici a impregnarsi dello spirito e della forza della liturgia. […] La formazione liturgica è anzitutto ed essenzialmente un’immersione nella liturgia, nel mistero profondo di Dio, nostro Padre beneamato. Si tratta di vivere la liturgia in tutta la sua ricchezza, d’inebriarsene bevendo a una fonte che non estingue mai la nostra sete per le sue delizie, le sue leggi e la sua bellezza, il suo silenzio contemplativo, la sua esultanza e adorazione, il suo potere di legarci intimamente a Colui che è all’opera nei e per i sacri riti della Chiesa.
Ecco perché coloro che sono in “formazione” per il ministero pastorale dovrebbero vivere la liturgia quanto più pienamente possibile nei seminari e nelle case di formazione. I candidati al diaconato permanente dovrebbero essere immersi in un’intensa vita di preghiera liturgica per un tempo prolungato. Aggiungo che la celebrazione piena e ricca della forma antica del rito romano, l’usus antiquior, dovrebbe costituire una parte importante della formazione liturgica del clero. Senza di ciò, come iniziare a comprendere e a celebrare i riti riformati nell’ermeneutica della continuità, se non si è mai fatta l’esperienza della bellezza della tradizione liturgica che conobbero gli stessi Padri del Concilio e che ha forgiato così tanti santi durante i secoli? Una saggia apertura al mistero della Chiesa e alla sua ricca tradizione plurisecolare, e un’umile docilità a ciò che lo Spirito Santo dice oggi alle Chiese, sono un vero segno che noi apparteniamo a Gesù Cristo: “Ed egli disse loro: ‘Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche’” (Mt 13,52). […]
Secondariamente, ritengo si debba essere chiari a proposito della partecipazione alla liturgia, la participatio actuosa come l’ha chiamata il Concilio. Ciò ha generato molta confusione nel corso degli ultimi decenni. L’articolo 48 della costituzione sulla sacra liturgia dice che “la Chiesa si preoccupa […] che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente”. Per il Concilio, la partecipazione è anzitutto interiore, ottenuta “comprendendolo bene [il mistero dell’Eucaristia] nei suoi riti e nelle sue preghiere”. La vita interiore, la vita sprofondata in Dio e intimamente abitata da Dio, è la condizione indispensabile a una partecipazione fruttuosa e feconda ai santi misteri, che celebriamo nella liturgia. La celebrazione eucaristica dev’essere essenzialmente vissuta dall’interno. È all’interno di noi che Dio desidera incontrarci. […]
Se comprendiamo la priorità d’interiorizzare la nostra partecipazione liturgica, eviteremo il rumoroso e pericoloso attivismo liturgico che s’incontra troppo spesso negli ultimi decenni. Non andiamo alla Messa per dare spettacolo, ma per unirci all’azione di Cristo attraverso un’interiorizzazione dei riti, preghiere, segni e simboli che fanno parte dei riti esteriori. Noi sacerdoti, potremmo ricordarcene più spesso degli altri, visto che la nostra vocazione è il servizio liturgico! Noi dobbiamo altresì formare gli altri, in particolare i bambini e i giovani, all’autentico significato della partecipazione, al modo di pregare la liturgia. […]
In terzo luogo […], io non ritengo che si possa squalificare la possibilità o l’opportunità di una riforma ufficiale della riforma liturgica. I suoi promotori avanzano delle considerazioni giudiziose nel loro tentativo di essere fedeli all’auspicio del Concilio espresso nell’articolo 23 della costituzione, in cui si propone di “conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la via ad un legittimo progresso”. Occorrerà sempre iniziare con un accurato studio teologico, storico, pastorale, affinché “non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l’avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti”.
Onde supportare quanto detto, desidero aggiungere che quando sono stato ricevuto in udienza dal Santo Padre lo scorso aprile, Papa Francesco mi ha chiesto di studiare la questione di una riforma della riforma e il modo in cui le due forme del rito romano si possono arricchire reciprocamente. Sarà un lavoro lungo e delicato e vi chiedo la pazienza e l’assistenza delle vostre preghiere. Se vogliamo mettere in opera più fedelmente Sacrosanctum Concilium, se vogliamo realizzare ciò che il Concilio auspicava, è una questione che dev’essere studiata con attenzione ed esaminata con la chiarezza e la prudenza richieste, nella preghiera e nella sottomissione a Dio. […]
Voglio lanciare un appello a tutti i sacerdoti. Forse avete letto il mio articolo su L’Osservatore Romano di un anno fa (12 giugno 2015) o la mia intervista al giornale Famille Chrétienne nel mese di maggio di quest’anno. In ogni occasione, ho detto che è di primaria importanza ritornare il più presto possibile a un orientamento comune dei sacerdoti e dei fedeli, rivolti insieme nella medesima direzione – verso Est, o perlomeno verso l’abside –, verso il Signore che viene, in tutte le parti del rito in cui ci si rivolge al Signore. Questa pratica è permessa dalle regole liturgiche attuali. Ciò è perfettamente legittimo nel nuovo rito. In effetti, penso che una tappa cruciale è di fare in modo che il Signore sia al centro delle celebrazioni.
Pertanto, cari fratelli nel sacerdozio, vi chiedo umilmente e fraternamente di mettere in opera questa pratica ovunque sia possibile, con la prudenza e la pedagogia necessarie, ma anche con la certezza, in quanto preti, che è una buona cosa per la Chiesa e per i fedeli. La vostra valutazione pastorale determinerà come e quando ciò sarà possibile, ma perché eventualmente non cominciare la prima domenica di Avvento di quest’anno, quando noi attendiamo il “Signore [che] viene senza tardare” (cfr. l’introito del mercoledì della prima settimana di Avvento)? Cari fratelli nel sacerdozio, prestiamo orecchio alle lamentazioni di Dio proclamate dal profeta Geremia: “A me rivolgono le spalle, non la faccia” (Ger 2,27). Rivolgiamoci di nuovo verso il Signore! Dal giorno del suo battesimo, il cristiano non conosce che una direzione: l’Oriente. Ci ricorda sant’Ambrogio: “Tu sei dunque entrato per guardare il tuo avversario, al quale hai deciso di rinunciare faccia a faccia, e ora ti volgi verso l’Oriente (ad Orientem); poiché colui che rinuncia al diavolo si volge verso il Cristo, lo guarda dritto negli occhi” (Sant’Ambrogio, De Mysteriis). […]