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martedì 31 maggio 2016

Osservazioni su alcuni punti controversi dell'Esortazione apostolica Amoris laetitia - 2.2 - AL e San Tommaso

 di don Alfredo Morselli 


A partire dal 30 maggio 2016, MiL ha presentato studio approfondito su alcuni punti controversi dell'esortazione Amoris laetitia: data l'ampiezza, lo scritto è stato diviso in più post: è possibile scaricare il testo completo in formato PDF.



Beato Angelico, Matrimonio della Vergine

Osservazioni su alcuni punti controversi
dell'Esortazione apostolica

Amoris laetitia


II.         Verità irrinunciabili (3)

 Scholion I: considerazioni circa l'uso, in Amoris laetitia, di alcuni testi di S. Tommaso d'Aquino



1.         Summa Theologiae I-II, q. 94, art. 4. 

In Amoris Laetitia § 304 viene affermato:
"È meschino soffermarsi a considerare solo se l'agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell'esistenza concreta di un essere umano".
A sostegno di questa affermazione viene portato un testo di S. Tommaso:
"Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d'Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] 
E tanto più aumenta l'indeterminazione quanto più si scende nel particolare».
 [S. Th., I-II, q. 94, art. 4. ]"
Poste queste premesse il Papa conclude:
"È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari".
Il succitato testo dell'Aquinate tuttavia non si presta a dimostrare che non esistano leggi valide in ogni circostanza, quali le leggi divine negative, obbliganti semper et pro semper, in tutte le situazioni particolari. Né tanto meno lo stesso testo può attribuire allo stesso S. Tommaso questa opinione.

A) Al contrario, abbiamo una serie di testi in cui appare chiaro che San Tommaso dichiara l'esistenza di azioni intrinsecamente cattive[1]:
1)   "…come la forma naturale è nella materia per l'agente, così la forma della bontà è in ciò che si vuole per il fine; e come la materia non proporzionata alla forma, pur sopraggiungendo un debito agente, mai ne consegue la forma, come la pietra non può diventare carne per la digestione; così anche ciò che è voluto non proporzionato alla bontà, quantunque sia buono il fine, mai riceve la bontà; e tali sono le azioni in sé cattive, come il rubare e così via; a meno che la deformità non possa essere tolta per l'autorità divina, come sopra è stato detto" (Super Sent., lib. 1 d. 48 q. 1 a. 2 ad 5)[2].
 2)   "La buona intenzione non è sufficiente a determinare bontà di un atto: poiché un atto può essere in sé cattivo, e in nessun modo può diventare buono" (Super Sent., lib. 2 d. 40 q. 1 a. 2 co.)[3].
 3) "…ciò che è male in tutto il suo genere, è assolutamente cattivo, e non può diventare buono" (Super Sent., lib. 2 d. 36 q. 1 a. 5 ad 2)[4]. 
B) Altri testi di S. Tommaso applicano questi princípi ai casi dell'adulterio e della fornicazione:
4) "Vi sono alcune [azioni umane] che hanno una deformità annessa inseparabilmente, come la fornicazione, l'adulterio, e altre cose di questo genere, che non possono essere compiute moralmente bene in alcun modo" (Quodlibet IX, q. 7 a. 2 co.)[5]. 5) "…alcune passioni o azioni, [e si capisce] dal loro stesso nome, implicano malizia: come, tra le passioni, la malvagità, l'inverecondia, l'invidia e, tra le azioni, l'adulterio, il furto, l'omicidio. Tutte queste cose e altre simili sono cattive in sé e non solo nel loro eccesso o difetto; perciò riguardo a queste cose, non può accadere che qualcuno si comporti rettamente in qualunque modo compia queste azioni, ma sempre, facendole, pecca. Nello spiegare questo aggiunge che bene o non bene non toccano queste azioni per il fatto che una persona compia uno di questi atti, come nel caso dell'adulterio, come è opportuno o quando è opportuno [a seconda delle circostanze], cosicché diventi bene, e sia male quando non fatto sconvenientemente. In sé, infatti, uno qualunque di questi atti comporta ciò che ripugna a ciò che si deve" (Sententia Ethic., lib. 2 l. 7 n. 11)[6]. 6) "…l'atto di lussuria è in sé peccato mortale, perché ha una materia indebita, che ripugna alla carità" (De malo, q. 15 a. 2 ad 6)[7]. 7) "…essendo contro la legge naturale avere rapporti coniugali con una donna che non è la propria moglie, in nessun tempo poteva essere lecito, neppure per una dispensa" (Super Sent., lib. 4 d. 33 q. 1 a. 3 qc. 3 co., S. Th., Suppl. q. 65, a. 5 co.).[8].
C) Altri testi dove i suddetti princípi vengono applicati a varie specie di atti intrinsecamente cattivi (uccsione dell'innocente, furto, spergiuro, menzogna):
8) "in nessun modo è lecito uccidere l'innocente" (S. Th., IIª-IIae q. 64 a. 6 co.)[9]. 9) "…il suicidio è sempre peccato mortale, essendo incompatibile con la legge naturale e con la carità" (S. Th., IIª-IIae q. 64 a. 5 co.)[10]. 10) "…è evidente che qualsiasi furto è peccato" (S. Th., IIª-IIae q. 66 a. 5 co.)[11]. 11) "La falsa testimonianza implica una triplice deformità. Primo, per lo spergiuro: poiché non si ammettono testimoni senza giuramento. E da questo lato la falsa testimonianza è sempre peccato mortale." (S. Th., IIª-IIae q. 70 a. 4 co.)[12] 12) "In nessun modo può essere buono e lecito ciò che è cattivo nel suo genere: poiché la bontà richiede il concorso ordinato di tutti gli elementi; infatti "il bene deriva dal concorso integrale delle cause, il male invece da ogni singolo difetto", come scrive Dionigi. Ora, la menzogna è cattiva nel suo genere. Essa infatti è un'azione che si esercita su una materia sconveniente: poiché le parole, essendo per natura espressioni del pensiero, è cosa innaturale e sconveniente che uno esprima con le parole quello che non pensa. Ecco perché il Filosofo insegna, che "la menzogna è per se stessa cattiva e riprovevole: la verità invece è cosa buona e lodevole". Dunque la bugia è sempre peccato, come anche S. Agostino afferma" (S. Th., IIª-IIae q. 110 a. 3 co.)[13].
D) Altri testi dove si afferma che tutti facilmente e immediatamente possono valutare correttamente le azioni intrinsecamente cattive:
13) "…i precetti del decalogo sono stati consegnati immediatamente da Dio al popolo; perciò sono consegnati in quella forma come sono manifesti alla ragione naturale di qualunque uomo, anche di bassa condizione. Chiunque poi immediatamente può cogliere, tramite la ragione naturale, che l'adulterio è peccato: e pertanto tra i precetti del decalogo l'adulterio è vietato." (De malo, q. 15 a. 2 ad 3)[14]. 14) "Nelle facoltà operative, ci sono certi principi conosciuti naturalmente quasi indimostrabili e prossimi ad esse, come bisogna evitare il male, non bisogna nuocere ingiustamente, non rubare e simili" (Sententia Ethic., lib. 5 l. 12 n. 3)[15]. 15) "Ma come ogni giudizio della ragione speculativa deriva dalla conoscenza naturale dei primi princípi, così ogni giudizio della ragione pratica deriva, come abbiamo visto, da alcuni principi noti anch'essi per natura. Da questi però si procede in vari modi nel formulare i vari giudizi. Infatti nelle azioni umane ci sono delle cose talmente chiare, che si possono approvare o disapprovare, immediatamente, in base ai suddetti principi universali.[…] Infatti ci sono alcune cose che la ragione naturale di qualsiasi uomo giudica subito e direttamente come da farsi o da non farsi; tali, p. es., sono i precetti: "Onora il padre e la madre", "Non ammazzare", "Non rubare". E codesti precetti appartengono in senso assoluto alla legge naturale." (S. Th., Iª-IIae q. 100 a. 1 co.)[16]. 

2.         Sententia libri Ethicorum, VI, 6.

A sostegno di quanto affermato nello stesso § 304 di Amoris Laetitia, viene riportato in nota (364) un altro testo dell'Aquinate:
"Riferendosi alla conoscenza generale della norma e alla conoscenza particolare del discernimento pratico, san Tommaso arriva a dire che «se non vi è che una sola delle due conoscenze, è preferibile che questa sia la conoscenza della realtà particolare, che si avvicina maggiormente all'agire» (Sententia libri Ethicorum, VI, 6 [ed. Leonina, t. XLVII, 354])".
Questo testo sembra non essere stato ben compreso, in quanto San Tommaso non si riferisce assolutamente alla "conoscenza generale della norma" morale, ma solo alla prudenza pratica.

Esaminiamo la frase in questione in un contesto più ampio:
"Infine, dove leggiamo Né, infatti. la prudenza ecc. (1141 b 14) [Aristotele] illustra un concetto che aveva formulato, fornendo la ragione per cui la prudenza verte su quanto si può realizzare.
In effetti, la prudenza non si limita ad analizzare gli esseri universali nei quali non c'è posto per l'azione, ma occorre che conosca anche i casi particolari dato che essa è una virtù attiva, vale a dire è il principio per cui si agisce, e l'azione vene sui singoli enti.
È questo il motivo per cui alcuni individui i quali non sono fomiti della scienza degli universali sono più attivi riguardo a ceni casi particolari: p. es., se un medico sa che le carni leggere sono facilmente digeribili e sane, ma ignora in realtà quali siano in realtà le carni leggere, non potrà dare la salute: invece, un individuo che sappia che le carni dei volatili sono leggere e sane sarà maggiormente in grado di produrre la salute.
Quindi, acquisito che la prudenza è la ragione attiva, occorre che l'uomo prudente sia fornito della conoscenza di entrambi gli ordini di cose, vale a dire degli universali e dei particolari: oppure, se uno può conoscere soltanto uno dei due ordini di cose, deve possedere preferibilmente questa seconda disciplina, cioè la conoscenza dei particolari per il fatto che essi sono più vicini all'azione[17].
Qui S. Tommaso non parla di discernimento morale dell'azione, ma di prudenza pratica: non bisogna avere la testa tra le nuvole, ma avere conoscenza tanto universale quanto particolare; L'Aquinate sta parlando di utilità pratica per la vita, come è facilmente constatabile dalle parole che precedono la frase esaminata:
"se un medico sa che le carni leggere sono facilmente digeribili e sane, ma ignora in realtà quali siano in realtà le carni leggere, non potrà dare la salute: invece, un individuo che sappia che le carni dei volatili sono leggere e sane sarà maggiormente in grado di produrre la salute".
In precedenza S. Tommaso aveva scritto:
"[Aristotele] inizia facendo notare che siccome la prudenza ha per oggetto i beni umani, la gente dice che Anassagora (496 - 428 a. C.), un altro filosofo chiamato Talete (Vll - VI a. C.) e altri personaggi orientati allo stesso modo erano indubbiamente sapienti, ma non prudenti: il motivo è che il popolo vedeva che tali individui ignoravano quanto era utile a loro stessi, e diceva che essi conoscevano delle cose superflue, cioè inutili e meravigliose, cioè superiori al sapere comune della gente, e difficili, perché esigono uno studio diligente, e divine, data la nobiltà della loro natura.
Il Nostro porta l'esempio specifico di Talete e di Anassagora perché avevano subìto un giudizio sfavorevole proprio su questo loro orientamento.Infatti, una volta che Talete era uscito di casa per osservare le stelle, cadde in una buca; a lui che gemeva, una vecchietta disse: «O Talete, tu non sei in grado di vedere quel che sta davanti ai tuoi piedi, e credi di sapere ciò che sta in cielo?»"[18].
Tanto l'Aquinate quanto Aristotele si riferiscono a chi conosce bene i principi, ma vive eccessivamente distratto dalla realtà.
Se applichiamo analogicamente al giudizio morale quanto il Filosofo dice qui circa la prudenza pratica, potremmo affermare che è meglio uno che agisce bene di uno che conosce benissimo la teologia morale e poi si comporta male: tanti poveri incolti, che non hanno la conoscenza scientifica della teologia morale, in Paradiso possono avere un grado di gloria superiore a tanti moralisti; ma S. Tommaso non dice che colui che non conosce formalmente i princípi universali della morale, nei casi particolari, può deviare da essi.

Questo stesso testo, usato in modo non del tutto appropriato in Amoris laetitia, è invece più correttamente letto in un documento della Commissione teologica internazionale del 2009, intitolato Alla ricerca di un'etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale. Riporto alcuni passaggi, che ci interessano da vicino:
"56. La morale non può dunque limitarsi a produrre norme. Deve anche favorire la formazione del soggetto, affinché questo, impegnato nell'azione, sia in grado di adattare i precetti universali della legge naturale alle condizioni concrete dell'esistenza nei diversi contesti culturali. Tale capacità è assicurata dalle virtù morali, in particolare dalla prudenza che integra la singolarità per guidare l'azione concreta. L'uomo prudente deve possedere non soltanto la conoscenza dell'universale ma anche quella del particolare. Per indicare bene il carattere proprio di questa virtù, san Tommaso d'Aquino non esita a dire: «Se non ha che una sola delle due conoscenze, è preferibile che questa sia la conoscenza delle realtà particolari che riguardano più da vicino l'operare». Con la prudenza si tratta di penetrare una contingenza che è sempre misteriosa per la ragione, di modellarsi sulla realtà nel modo più esatto possibile, di assimilare la molteplicità delle circostanze, di registrare il più fedelmente possibile una situazione originale e indescrivibile. Un tale obiettivo richiede diverse operazioni e abilità che la prudenza deve attuare. 57. Tuttavia l'individuo non deve perdersi nel concreto e nell'individuale, come è stato rimproverato all'«etica della situazione». Deve scoprire la «retta regola dell'agire» e stabilire un'adeguata norma di azione. Questa retta regola deriva da princìpi preliminari. Si pensa qui ai princìpi primi della ragione pratica, ma spetta anche alle virtù morali aprire e rendere connaturali la volontà e l'affettività sensibile ai diversi beni umani, e così indicare all'uomo prudente quali fini deve perseguire nel flusso del quotidiano. A questo punto l'individuo sarà in grado di formulare la norma concreta che si impone e di conferire all'azione data un raggio di giustizia, di forza o di temperanza. Si può parlare qui dell'esercizio di una «intelligenza emozionale»: le potenze razionali, senza perdere la loro specificità, si esercitano all'interno del campo affettivo, così che la totalità della persona è impegnata nell'azione morale"[19].
Possiamo osservare che, rispetto ad Amoris laetitia, il documento della Commissione teologica cita le parole di S. Tommaso riguardo alla prudenza (pur non nel senso esattissimo del contesto originale, dove si intende soprattutto la prudenza pratico-pratica): non di meno la stessa Commissione si premura che queste parole non vengano interpretate in senso relativista: "…l'individuo non deve perdersi nel concreto e nell'individuale, come è stato rimproverato all'«etica della situazione»".


3.         Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2; De malo, q. 2, a. 2.

Leggiamo, al § 301 di Amoris laetitia, un'altra tesi che viene suffragata da testi tomisti (Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2; De malo, q. 2, a. 2):
"Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione». Già san Tommaso d'Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù, in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l'esistenza di qualcuna di esse, perché l'agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l'abito di tutte le virtù».
Riguardo all'affermazione: "qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù", distinguo:

"Qualcuno può avere la grazia e la carità senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù": concedo;
 "Qualcuno può avere la grazia e la carità commettendo un'azione intrinsecamente cattiva": nego.

A riprova di quanto detto, possiamo vedere quanto San Tommaso afferma, poco prima del primo passo della Summa citato al § 101,
"…solo in quanto sono fatte per compiere il bene in ordine al fine ultimo soprannaturale, raggiungono perfettamente e realmente la natura di virtù; e quindi non possono acquistarsi con azioni umane, ma sono infuse da Dio. E codeste virtù morali non possono esistere senza la carità […] Ecco perché la Glossa di S. Agostino, commentando quel passo di S. Paolo, "Tutto quello che non è secondo la fede è peccato", scrive: "Dove manca la conoscenza della verità, la virtù è falsa anche se corredata di ottimi costumi"[20].
Per quanto riguarda invece De malo, q. 2, a. 2, non è immediatamente evidente a quale parte dell'articolo il Papa si riferisca; possiamo pensare, visto che nel testo si parla di "fattori che limitano la capacità di decisione", alla seguente frase:
" Ma il peccato non ha ragione di colpa che per il fatto di essere volontario, perché non si imputa a nessuno un atto disordinato, se non perché è in suo potere"[21].
I fattori che limitano la capacità di decisione sono quelli che rendono l'atto umano non perfettamente libero e volontario (non in suo potere, cioè non nel potere di chi agisce), comunemente ammessi dalla teologia morale classica (timore, passioni, malattia, violenza, ignoranza invincibile etc.): si tratta non di circostanze che mutano l'oggetto dell'atto, ma di incapacità temporanea o permanente del soggetto a compiere un atto pienamente umano (qui ex libera voluntate procedit).
Tanto i testi tomistici, quanto il Magistero costante della Chiesa, escludono categoricamente che le circostanze esterne possano mutare la natura intrinsecamente cattiva di alcuni atti, quali il vivere uxorio more di due persone che non sono marito e moglie (ad es., come abbiamo riportato sopra: "quod est secundum se malum ex genere, nullo modo potest esse bonum et licitum").


Conclusione

Papa Francesco afferma, al § 304 di Amoris laetitia, che "È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari".

Alla luce dei testi tomistici citati dallo stesso Pontefice, si deve distinguere: se è vero che dai princípi della morale non si possono dedurre a priori tutte le valutazioni morali delle minime situazioni particolari, è pur vero che gli stessi princípi consentono di valutare in ogni caso come intrinsecamente cattive determinate azioni, quali l'adulterio e la fornicazione: chi compie questi atti con piena avvertenza e deliberato consenso pecca mortalmente.
Inoltre questi princípi sono facilmente e immediatamente conoscibili da chiunque.

Se confrontiamo S. Tommaso con quanto afferma il Papa al § 301 "Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale» o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa", possiamo vedere che l'Aquinate afferma l'esatto contrario; invece Pio XII, nel discorso Aux participants au congrès de la Fédération catholique mondiale de la jeunesse féminine, del 18 aprile 1952, già citato in precedenza, è perfettamente in linea con quanto insegna il Doctor communis:
"Ci si chiederà come la legge morale, che è universale, può bastare, e nello stesso tempo essere vincolante in un caso singolare, il quale nella sua situazione concreta è sempre unico e di “una volta”. Lo può e lo fa, perché giustamente a causa della sua universalità la legge morale comprende necessariamente ed “intenzionalmente” tutti i casi particolari, all'interno dei quali si verificano i suoi concetti. E in questi casi numerosissimi lo fa con una logica così concludente, che la stessa coscienza del semplice fedele vede immediatamente e con piena certezza la decisione da prendere. Ciò vale soprattutto per le obbligazioni negative della legge morale, quelle che esigono un non fare, un lasciar stare. Ma non soltanto per quelle"[22].
Inoltre, al § 305 di Amoris laetitia leggiamo:
"A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l'aiuto della Chiesa"
 Alla luce dei documenti del Magistero costante della chiesa e dei testi di S. Tommaso presi in esame, possiamo dire che, in caso di convivenza uxorio modo di due persone che non sono marito e moglie, queste possono essere non oggettivamente colpevoli o non colpevoli in modo pieno solo per una imperfezione morale dei loro atti (incapacità di compiere un atto umano), e non in base a circostanze esterne.

"…conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, «non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli»" (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 51)".
Il Concilio qui parla a proposito di sposi legittimi: applicando indebitamente queste parole a chi non è veramente sposato, potrebbe sembrare che qualche atto more uxorio tra le coppie cosiddette irregolari - che pur tuttavia vivono in continenza - favorisca la loro fedeltà reciproca.
In realtà il peccato è ciò che maggiormente divide gli uomini tra di loro, in qualunque situazione si trovino, e un'espressione di intimità peccaminosa non può fare altro che peggiorare la situazione.







[1] Nelle citazioni numerate dei testi di S. Tommaso, i grassetti sono redazionali. Tutti i testi di S. Tommaso in latino, citati in questo studio, sono ricavati dal sito http://www.corpusthomisticum.org/; le traduzioni e, ovviamente, i grassetti e i corsivi, sono redazionali.
[2] "…sicut forma naturalis est in materia ab agente, ita forma bonitatis est in volito a fine; et sicut materia improportionata ad formam adveniente debito agente nunquam consequitur formam, sicut lapis non fit caro a virtute digestiva; ita etiam volitum improportionatum ad bonitatem, quantumcumque sit bonus finis, nunquam bonitatem recipit; et talia sunt quae per se sunt mala, ut furari et hujusmodi; nisi deformitas tollatur auctoritate divina, ut supra, distin. 47, quaest. unica, art. 3, dictum est".
[3] "Non autem bonitas voluntatis intendentis sufficit ad bonitatem actus: quia actus potest esse de se malus, qui nullo modo bene fieri potest".
[4] …quod autem est malum ex genere, simpliciter est malum, nec bonum fieri potest"
[5] "…actionum humanarum multiplex est differentia. Quaedam enim sunt quae habent deformitatem inseparabiliter annexam, ut fornicatio, adulterium, et alia huiusmodi, quae nullo modo bene fieri possunt".
[6] "…quaedam tam passiones quam actiones in ipso suo nomine implicant malitiam, sicut in passionibus gaudium de malo et inverecundia et invidia. In operationibus autem adulterium, furtum, homicidium. Omnia enim ista et similia, secundum se sunt mala; et non solum superabundantia ipsorum vel defectus; unde circa haec non contingit aliquem recte se habere qualitercumque haec operetur, sed semper haec faciens peccat. Et ad hoc exponendum subdit, quod bene vel non bene non contingit in talibus ex eo quod aliquis faciat aliquod horum, puta adulterium, sicut oportet vel quando oportet, ut sic fiat bene, male autem quando secundum quod non oportet. Sed simpliciter, qualitercumque aliquod horum fiat, est peccatum. In se enim quodlibet horum importat aliquid repugnans ad id quod oportet".
[7] "…actus luxuriae est secundum se mortale peccatum, quia habet materiam indebitam caritati repugnantem…".
[8] "Et ideo dicendum est, quod cum habere concubinam non matrimonio junctam sit contra legem naturae, ut dictum est, nullo tempore secundum se licitum fuit, nec etiam ex dispensatione".
[9] "…nullo modo licet occidere innocentem".
[10] "Et ideo occisio sui ipsius semper est peccatum mortale, utpote contra naturalem legem et contra caritatem existens".
[11] "…manifestum est quod omne furtum est peccatum".
[12] "Respondeo dicendum quod falsum testimonium habet triplicem deformitatem. Uno modo, ex periurio, quia testes non admittuntur nisi iurati. Et ex hoc semper est peccatum mortale".
[13] "Respondeo dicendum quod illud quod est secundum se malum ex genere, nullo modo potest esse bonum et licitum, quia ad hoc quod aliquid sit bonum, requiritur quod omnia recte concurrant; bonum enim est ex integra causa, malum autem est ex singularibus defectibus, ut Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom. Mendacium autem est malum ex genere. Est enim actus cadens super indebitam materiam, cum enim voces sint signa naturaliter intellectuum, innaturale est et indebitum quod aliquis voce significet id quod non habet in mente. Unde philosophus dicit, in IV Ethic., quod mendacium est per se pravum et fugiendum, verum autem et bonum et laudabile. Unde omne mendacium est peccatum, sicut etiam Augustinus asserit, in libro contra mendacium".
[14] "…praecepta Decalogi sunt immediate a Deo populo tradita; unde secundum hanc formam traduntur prout sunt manifesta naturali rationi cuiuslibet hominis etiam popularis. Quilibet autem statim ratione naturali advertere potest adulterium esse peccatum; et ideo inter praecepta Decalogi prohibetur adulterium".
[15] "…in operativis sunt quaedam principia naturaliter cognita quasi indemonstrabilia principia et propinqua his, ut malum esse vitandum, nulli esse iniuste nocendum, non esse furandum et similia"
[16] "Sicut autem omne iudicium rationis speculativae procedit a naturali cognitione primorum principiorum, ita etiam omne iudicium rationis practicae procedit ex quibusdam principiis naturaliter cognitis, ut supra dictum est. Ex quibus diversimode procedi potest ad iudicandum de diversis. Quaedam enim sunt in humanis actibus adeo explicita quod statim, cum modica consideratione, possunt approbari vel reprobari per illa communia et prima principia. […] Quaedam enim sunt quae statim per se ratio naturalis cuiuslibet hominis diiudicat esse facienda vel non facienda, sicut honora patrem tuum et matrem tuam, et, non occides, non furtum facies. Et huiusmodi sunt absolute de lege naturae".
[17] S. Tommaso d'Aquino, Commento all'etica nicomachea di Aristotele, Introduzione, traduzione e glossario a c. di Lorenzo Perrotto, vol II, libri 6-10, Bologna: ESD 1998, p. 54; testo latino: "Deinde cum dicit neque enim prudentia etc., manifestat quiddam quod dixerat, assignans scilicet rationem quare prudentia sit circa operabilia. Prudentia enim non considerat solum universalia, in quibus non est actio; sed oportet quod cognoscat singularia, eo quod est activa, idest principium agendi. Actio autem est circa singularia. Et inde est, quod quidam non habentes scientiam universalium sunt magis activi circa aliqua particularia, quam illi qui habent universalem scientiam, eo quod sunt in aliis particularibus experti. Puta si aliquis medicus sciat quod carnes leves sunt bene digestibiles et sanae, ignoret autem quales carnes sint leves; non poterit facere sanitatem. Sed ille qui scit quod carnes volatilium sunt leves et sanae, magis poterit sanare. Quia igitur prudentia est ratio activa, oportet quod prudens habeat utramque notitiam, scilicet et universalium et particularium; vel, si alteram solum contingat ipsum habere, magis debet habere hanc, scilicet notitiam particularium, quae sunt propinquiora operationi" (Sententia Ethic., lib. 6 l. 6 n. 11).
[18] Commento all'etica…, p. 53; testo latino: "Dicit ergo primo quod quia prudentia est circa bona humana sapientia autem circa ea quae sunt homine meliora, inde est, quod homines dicunt Anaxagoram, et quemdam alium philosophum qui vocabatur Thales, et alios similes esse quidem sapientes, non autem prudentes, eo quod homines vident eos ignorare ea quae sunt sibi ipsis utilia, et dicunt eos scire quaedam superflua, id est inutilia, et admirabilia, quasi excedentia communem hominum notitiam, et difficilia, quia indigent diligenti inquisitione, et divina propter nobilitatem naturae. Ponit autem specialiter exemplum de Thale et Anaxagora, qui specialiter super hoc reprehensi fuerunt. Cum enim Thales exiret domum, ut astra consideraret, incidit in foveam; eoque lugente, dixit ad eum quaedam vetula: tu quidem, o Thales, quae ante pedes nequis videre et quae in caelo sunt putas cognoscere?" (Sententia Ethic., lib. 6 l. 6 n. 8-9).
[19] Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un'etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, 2009, http://tinyurl.com/37e54xf.
[20] "Secundum autem quod sunt operativae boni in ordine ad ultimum finem supernaturalem, sic perfecte et vere habent rationem virtutis; et non possunt humanis actibus acquiri, sed infunduntur a Deo. Et huiusmodi virtutes morales sine caritate esse non possunt […] Unde Rom. XIV super illud, omne quod non est ex fide, peccatum est, dicit Glossa Augustini, ubi deest agnitio veritatis, falsa est virtus etiam in bonis moribus".
[21] "…rationem culpae non habet peccatum nisi ex eo quod est voluntarium; nulli enim imputatur ad culpam aliquis inordinatus actus nisi ex eo quod est in eius potestate" De malo, q. 2 a. 2 co.
[22] La traduzione in italiano, dall'originale in francese è ripresa dal sito WEB Progetto Barruel, (dalla cui impostazione generale prendiamo le distanze) http://tinyurl.com/zub7aad. Testo originale: "On demandera comment la loi morale, qui est universelle, peut suffire, et même être contraignante dans un cas singulier, lequel en sa situation concrète est toujours unique et d'«une fois». Elle le peut et elle le fait, parce que justement à cause de son universalité la loi morale comprend nécessairement et «intentionnellement» tous les cas particuliers, dans lesquels ses concepts se vérifient. Et dans des cas très nombreux elle le fait avec une logique si concluante, que même la conscience du simple fidèle voit immédiatement et avec pleine certitude la décision à prendre. Ceci vaut spécialement des obligations négatives de la loi morale, de celles qui exigent un ne-pas-faire, un laisser-de-côté. Mais nullement de celles-là seules. (…) Quelle que soit la situation individuelle, il n'y a d'autre issue que d'obéir"; http://tinyurl.com/jeja5su.

1 commento:

  1. Subdolo e disinvolto espediente degli eretici è quello di citare i testi in modo frammentario e slegato per tentare di avere ragione. Questa volta hanno scomodato e insultato l'autorità di Tommaso, finora vituperato dai novatori modernisti, per tentare di legittimare la deriva relativistica dell'attuale pontificato.

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La Redazione