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A colloquio con monsignor Juan Miguel Ferrer Grenesche sottosegretario della Congregazione per il Culto Divino
Quando a tradire è il traduttore
di Nicola Gori
«Traduttore-traditore».
Certo è un difficile mestiere quello del traduttore. Ancora più delicato quando ci si occupa della Bibbia e del messale. Da un lato si richiede fedeltà al testo originale e tener conto del contesto ecclesiale in cui è stato scritto, dall'altro si deve rendere comprensibile alla gente di oggi. È uno sforzo che richiede la collaborazione di più esperti a livello non solo locale, ma mondiale e che trova nella Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il coordinamento e la supervisione. Il sottosegretario Monsignor Juan Miguel Ferrer Grenesche in questa intervista ci spiega come si lavora in questo delicato settore. «Nella Congregazione -- dice tra l'altro -- il sottosegretario ha un po' il ruolo di coordinatore del gruppo di officiali che lavorano in essa e dunque controlla anche il lavoro di traduzione. Attualmente siamo in due, oltre a me c'è padre Anthony Ward».
A volte ci si imbatte in traduzioni inesatte o non fedeli ai testi in materia liturgica e biblica. Da cosa dipende?
È certo che quando si traduce si incontra sempre una grande difficoltà. Il famoso detto «traduttore-traditore» è in gran parte vero, in quanto il traduttore, anche se involontariamente, può tradire il testo, perché non è facile trasmettere fedelmente uno scritto in un'altra lingua. Da una parte si deve essere fedeli all'originale e alle espressioni dell'autore; dall'altra, si deve anche rispettare il genio proprio della lingua nella quale viene tradotto il testo. Non è un equilibrio facile da raggiungere. Dopo il concilio Vaticano II, la tendenza riguardo ai testi liturgici è stata piuttosto quella di preparare delle versioni che risultassero belle e anche adatte alla lingua volgare, tralasciando un po' la fedeltà al testo latino; soprattutto non preoccupandosi di farlo risuonare con le sue connotazioni patristiche e teologiche. Dopo quarant'anni di traduzioni si avverte perciò la necessità di sottolineare quest'ultimo aspetto finora trascurato, anche se si perde qualcosa dell'attualità del linguaggio e della bellezza letteraria nelle lingue volgari. C'è da considerare che nella nostra società la gente non conosce più il latino e quindi lo sforzo è maggiore per avvicinarsi un po' più alla fedeltà dell'originale.
E per quanto riguarda i testi biblici?
Quello della Bibbia è un tema ancora più complesso, perché per tradurre bene le Sacre Scritture bisogna inserirle nel contesto ecclesiale. E per fare ciò, occorre conoscere bene le lingue bibliche: lingue difficili, che contano un numero ristretto di esperti e specialisti. È necessario poi conoscere il contesto culturale dell'Antico e del Nuovo Testamento. Per questo le traduzioni bibliche sono complesse e rappresentano sempre una sfida. Già si stanno facendo degli sforzi a livello mondiale per migliorare le traduzioni: posso dire, per esempio, che per l'ultima traduzione biblica della Conferenza episcopale spagnola è stato fatto un lavoro magnifico. In Francia si sta lavorando sulle traduzioni e sembra che i risultati siano buoni, sia per il messale che per la Bibbia. In inglese il messale è già stato tradotto, anche se ci sono state delle polemiche. In Italia, per quanto riguarda la traduzione biblica ci sono parecchi confronti e opinioni diverse. Intanto stiamo lavorando al messale. Tra due anni forse sarà pronto, perché il lavoro della Conferenza episcopale è praticamente finito, ma dopo l'approvazione dei vescovi deve pervenire alla Congregazione. In pratica, si sta traducendo in tutte le lingue la terza editio typica del 2002 con la sua stampa emendata del 2008. Bibbia e messale stanno impegnando tutte le commissioni liturgiche del mondo.
Lei proviene dalla diocesi di Toledo. Può spiegarci quali sono le caratteristiche del rito mozarabico?
Il rito mozarabico è molto simile ai riti che esistevano nel sud della Francia e che sono conosciuti come gallicani antichi. Ha somiglianza con il rito romano, ma il suo sviluppo è del tutto indipendente. Possiamo definirla una liturgia latina con elementi orientali. In un certo modo assomiglia anche al rito ambrosiano, perché entrambi sono nati nello stesso periodo, quando cioè il cristianesimo è arrivato in Occidente -- non solo a Roma ma anche nei punti dell'Impero più romanizzati -- e quando i contatti con la parte orientale erano più frequenti. Per quanto riguarda la Spagna, parliamo dell'evangelizzazione fatta da san Giacomo, da san Paolo o da i «varones apostólicos». Essendo la Chiesa di Spagna di radici apostoliche, c'è stato uno sviluppo proprio, parallelo agli sviluppi liturgici dell'Oriente e di Roma, che ha fatto sorgere l'antica liturgia ispanica. Essa si è sviluppata e codificata, rimanendo in vigore fino al secolo xi, nonostante i problemi dell'invasione araba dell'VIII secolo, quando i cristiani divennero minoranza e si rifugiarono nel nord del Paese, dove c'era il piccolo regno cristiano delle Asturie. Nel secolo xi, a causa della politica di unificazione religiosa dell'Europa, attraverso la riforma gregoriana, i re di Spagna hanno scelto di introdurre il rito romano. Da quel momento, nel 1080, il rito ispanico antico conosciuto come mozarabico -- che prendeva il nome dai cristiani che mantennero la fede tra gli arabi -- è rimasto solo a Toledo e, più tardi anche in qualche altra località con alcuni privilegi, come Salamanca, dove si celebrano cinquanta messe all'anno, e Valladolid, che aveva una cappella dove si officiava. Mano a mano che la riconquista cristiana avanzava, si diffondeva il rito romano e scompariva l'antico rito ispanico.
In che modo il dicastero si occupa della promozione e della regolamentazione della liturgia?
Per la regolamentazione della liturgia pubblichiamo i testi dell'editio typica in latino che regolano la vita liturgica. Cerchiamo di rispondere ai dubbi e alle interpretazioni liturgiche e interveniamo sugli abusi correggendoli con l'aiuto dei vescovi. Per quanto riguarda la promozione, cerchiamo di farlo attraverso la nostra rivista «Notitiae» e tramite documenti che aiutano allo studio e alla conoscenza della liturgia. Tra l'altro stiamo preparando un convegno in programma nel 2014 in occasione del cinquantesimo anniversario della Sacrosanctum Concilium.
Il cinquantenne monsignor Juan Miguel Ferrer Grenesche è sacerdote della diocesi di Toledo. Dopo l'ordinazione presbiterale è stato inviato a studiare al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo di Roma, dove ha conseguito la licenza e il dottorato in liturgia. Rientrato in diocesi, è stato incaricato dei corsi di liturgia del seminario e dell'ufficio liturgico. Ha poi prestato servizio in diversi uffici diocesani e ha collaborato con l'ufficio liturgico nazionale.(©L'Osservatore Romano 10 agosto 2011)
La tanto decantata "attualità del linguaggio" non è necessariamente un valore. E' sufficiente che la traduzione non contenga espressioni così antiquate da risultare ridicole.
RispondiEliminaMa un po' più di "immobilismo" nelle traduzioni della Scrittura starebbe proprio bene, perchè ne evidenzierebbe la trascendenza e risponderebbe a quel criterio-base secondo cui non è la parola di Dio che deve adattarsi a noi, ma piuttosto il viceversa!
A voler fare traduzioni troppo "attuali" (a parte la mentalità sottesa a questo genere di operazioni) si corre il rischio di fare traduzioni inevitabilmente datate, che dopo pochi anni vanno cambiate...
Si sa: chi sposa la moda resta presto vedovo!
Errata corrige: Parola di Dio con la P maiuscola! :)
RispondiEliminaScusate l'errore di battitura!
Volando molto più in basso rispetto alla tematica proposta, vorrei portare come testimonianza la mia esperienza col latino.
RispondiEliminaAl liceo "andavo bene" e prendevo anche buoni voti, ma all'università ( Cattolica ), Lettere Moderne, l'impegno richiesto per il Latino fu scarso e limitato ad autori pagani, come il pur caro Tibullo. Perciò prestai orecchio alle critiche, allora "santificate" di don Milani ( notare: parente del filologo Domenico Comparetti ), secondo cui lo studio degli antichi era tutta roba vecchia, per borghesi snob, lontana dalla fremente e bruciante e drammatica attualità, in cui i proletari soffrivano. In più mi era rimasto il ricordo di una acquisizione della lingua pedante e meccanica., su testi che mi sembravano nel ricorddo miltareschi, ampollosi, moralistici.
Solo a metà della carriera ( si fa per dire ) mi resi conto della bellezza del Latino. Quale Latino? Anzitutto quello di sant'Agostino, un Latino non più dei gladi e della tribuna senatoriale, ma DEL CUORE: "Fecisti nos ad Te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te". Ben contento dell'assaggio, passai alla Vulgata, scoprendo la bellezza del Latino ecclesiastico, che rende il "respiro dell'anima"; mi resi conto come le traduzioni italiane spesso costituissero un'operazione riduttiva, come quella di chi volesse rendere italiane le parole delle canzoni classiche napoletane. Tra le esperienze recenti c'è stata la lettura di san Colombano, che pur essendo un celta scriveva un latino meraviglioso, direi toccante.
La mia conclusione personale è che il Latino è stato troppo spesso presentato pedantescamente in tutte le sue più minute particolarità grammeticali e sintattiche, trascurando il contatto con testi magari non classici, ma tali da parlare all'anima. Un'esperienza: per Natale feci ascoltare agli alunni di prima Liceo "Adeste fidele, laeti triumphantes... ". Risultato: cantavano tutti, presi dalla sacra emozione, compresi quelli del collettivo di sinistra.
Qualche esperto mi dovrebbe chiarire se sia vero che nel Medioevo anche nelle terre di lingua non neolatina si acquisiva il Latino soprattutto parlandolo e cantandolo.
Segnalo un testo molto interessante: Remy De Gourmont "Il Latino mistico".
Spero di fare lo stesso anche col greco.
PS. Ma negli ambiti giovanili cattolici ( quello che ne rimane ) frequentati da ragazzi acculturati, qualcuno fa loro presente l'opportunità di prendere contatto con testi dei padri della Chiesa? A me non è stata raccomandato nemmeno il minimo: la lettura di san'Agostino.
Sono convinto che per accingersi ad una traduzione della Sacra Scrittura bisogna tener presente che è Parola di Dio, perciò deve essere resa in una lingua moderna, non con il linguaggio che si usa quotidianamente, ma con un timbro linguistico elevato... Il fine è la comprensione immediata, però (dati gli ultimi esempi, vedi Lezionari N.O., o le cosidette traduzioni in lingua corrente) non deve svilire il Testo Sacro abbassandolo; anche il linguaggio, prezioso letterariamente, può aiutare ad elevare, specie se in ambito liturgico. L'altro guaio delle traduzioni in lingua vernacolare, è che il parlato si evolve e se la scelta non è di una certa levatura letteraria, si rischia che la traduzione appena compiuta sia già superata. Sarebbe interessante, trovare dei moduli linguistici che possano diventare emblematici per l'uso liturgico; la traduzione CEI precedente, aveva un'attenzione (specie per i Salmi) che rispondeva abbastanza a questo questo criterio. Per il Messale, le traduzioni del '65, non avevano subito, del tutto, le devastazioni bugniniane.
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