Mons. Marc Aillet (nella foto), l'eccellente nuovo vescovo di Bayonne (e prima vicario generale della diocesi di Tolone, la più ortodossa e filotradizionale di Francia), ha tenuto questa allocuzione nel corso di un recente convegno teologico all'Università Lateranense, lo scorso 11 marzo. E' un piacere già leggere un titolo esplicito, diretto all'obbiettivo (La liturgia ferita), in luogo delle vaghezze devozionalistiche nullasignificanti che solitamente abbondano nei convegni ecclesiali (tipo: "la liturgia come dono e cammino", o simili). Leggete con attenzione le parole del vescovo francese, poi chiudete gli occhi e rispondete a questa domanda: sarebbe mai stato possibile, solo cinque anni fa, immaginare che un vescovo diocesano potesse esprimere concetti del genere, per giunta in una pontificia università romana?
All’origine del Movimento liturgico, vi era la volontà del Papa san Pio X, in particolare nel motu proprio Tra le sollecitudini (1903), di restaurare la liturgia e renderne maggiormente accessibili i tesori affinché ridiventasse la fonte di una vita autenticamente cristiana, proprio per rilevare la sfida di una crescente secolarizzazione e incoraggiare i fedeli a consacrare il mondo a Dio. Da qui, la definizione conciliare della liturgia come “culmine e fonte della vita e della missione della Chiesa”. Contro ogni aspettativa, come hanno spesso rilevato Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, l’attuazione della Riforma liturgica, a volte, ha portato ad una sorta di desacralizzazione sistematica, mentre la liturgia si è lasciata progressivamente pervadere dalla cultura secolarizzata del mondo circostante perdendo così la sua natura e la sua identità: “Questo Mistero di Cristo la Chiesa annunzia e celebra nella sua Liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo”: (CCC n. 1068).
Senza negare i frutti autentici della riforma liturgica, si può dire tuttavia che la liturgia è stata ferita da ciò che Giovanni Paolo II ha definito “pratiche non accettabili” (Ecclesia de Eucharistia, n. 10) e Benedetto XVI ha denunciato come “deformazioni al limite del sopportabile” (Lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum). Così è stata ferita anche l’identità della Chiesa e del sacerdote.
Negli anni postconciliari si assisteva ad una sorta di opposizione dialettica fra i difensori del culto liturgico e i promotori dell’apertura al mondo. Siccome questi ultimi arrivavano a ridurre la vita cristiana al solo impegno sociale, in base a un’interpretazione secolare della fede, i primi, per reazione, si rifugiavano nella pura liturgia fino al “rubricismo”, col rischio di incoraggiare i fedeli a proteggersi eccessivamente dal mondo. Nell’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis, Benedetto XVI pone fine a questa polemica e ricompone questa opposizione. L’azione liturgica deve riconciliare la fede e la vita. Proprio in quanto celebrazione del Mistero pasquale di Cristo, reso realmente presente in mezzo al suo popolo, la liturgia dà una forma eucaristica a tutta la vita cristiana per farne un “culto spirituale gradito a Dio”. Così, l’impegno del cristiano nel mondo e il mondo stesso, grazie alla liturgia, sono chiamati ad essere consacrati a Dio. L’impegno del cristiano nella missione della Chiesa e nella società trova, infatti, la sua sorgente e il suo impulso nella liturgia, fino ad essere attirato nel dinamismo dell’offerta d’amore di Cristo che vi è attualizzata.
Il primato che Benedetto XVI intende dare alla liturgia nella vita della Chiesa – “Il culto liturgico è l’espressione più alta della vita sacerdotale ed episcopale”, ha detto ai vescovi di Francia riuniti a Lourdes il 14 settembre 2008 in assemblea plenaria straordinaria – vuole mettere di nuovo l’adorazione al centro della vita del sacerdote e dei fedeli. Invece e al posto del “cristianesimo secolare” che ha spesso accompagnato l’attuazione della riforma liturgica, Papa Benedetto XVI intende promuovere un “cristianesimo teologale”, il solo in grado di servire quella che ha definito la priorità che predomina in questa fase della storia, ossia “rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Dio” (Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica, 10 marzo 2009). Dove, infatti, meglio che nella liturgia, il sacerdote approfondisce la propria identità, così ben definita dall’autore della Lettera agli Ebrei: “Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati” (Eb 5, 1)?
L’apertura al mondo auspicata dal Concilio Vaticano II è stata spesso interpretata, negli anni postconciliari, come una sorta di “conversione alla secolarizzazione”: questo atteggiamento non mancava di generosità, ma portava a trascurare l’importanza della liturgia e a minimizzare la necessità di osservare i riti, ritenuti troppo lontani dalla vita del mondo che bisognava amare e con il quale bisognava essere pienamente solidali, fino a lasciarsi affascinare da esso. Ne è risultata una grave crisi di identità del sacerdote che non riusciva più a percepire l’importanza della salvezza delle anime e la necessità di annunciare al mondo la novità del Vangelo della Salvezza. La liturgia è, senza dubbio, il luogo privilegiato dell’approfondimento dell’identità del sacerdote, chiamato a “combattere la secolarizzazione”; poiché, come dice Gesù, nella sua preghiera sacerdotale: “Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità” (Gv 17, 15-17).
Questo certamente sarà possibile attraverso una più rigorosa osservazione delle prescrizioni liturgiche che preservano il sacerdote dalla pretesa, pur inconsapevole, di attirare l’attenzione dei fedeli sulla sua persona: il rituale liturgico che il celebrante è chiamato a ricevere filialmente dalla Chiesa permette, infatti, ai fedeli di giungere più facilmente alla presenza di Cristo Signore del quale la celebrazione liturgica deve essere il segno eloquente e che deve avere sempre il primo posto. La liturgia è ferita quando i fedeli sono lasciati all’arbitrio del celebrante, alle sue manie, alle sue idee o opinioni personali, alle sue stesse ferite. Ne consegue anche l’importanza di non banalizzare dei riti che, strappandoci al mondo profano e dunque alla tentazione dell’immanentismo, hanno il dono di immergerci di colpo nel Mistero e di aprirci alla Trascendenza. In questo senso, non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza del silenzio che precede la celebrazione liturgica, nartece interiore dove ci si libera delle preoccupazioni, pur legittime, del mondo profano, per entrare nel tempo e nello spazio sacri, dove Dio rivelerà il suo Mistero; del silenzio nella liturgia per aprirsi più sicuramente all’azione di Dio; e la pertinenza di un tempo di azione di grazia, integrato o non nella celebrazione, per prendere la misura interiore della missione che ci attende, una volta ritornati nel mondo. L’obbedienza del sacerdote alle rubriche è anch’essa segno silenzioso ed eloquente del suo amore per la Chiesa di cui non è che il ministro, cioè il servitore.
Ne deriva l’importanza anche della formazione dei futuri sacerdoti alla liturgia e specialmente alla partecipazione interiore, senza la quale la partecipazione esteriore preconizzata dalla riforma sarebbe senz’anima e favorirebbe una concezione parziale della liturgia che si esprimerebbe in termini di teatralizzazione eccessiva dei ruoli, cerebralizzazione riduttiva dei riti e autocelebrazione abusiva dell’assemblea. Se la partecipazione attiva, che è il principio operativo della riforma liturgica, non è l’esercizio del “senso soprannaturale della fede”, la liturgia non è più opera di Cristo, ma degli uomini. Insistendo sull’importanza della formazione liturgica dei sacerdoti, il Concilio Vaticano II fa della liturgia una delle discipline principali degli studi ecclesiastici, evitando di ridurla ad una formazione puramente intellettuale: infatti, prima di essere un oggetto di studio, la liturgia è una vita, o meglio, è “passare la propria vita a passare nella vita di Cristo”. È l’immergersi per eccellenza di ogni vita cristiana: immersione nel senso della fede e nel senso della Chiesa, nella lode e nell’adorazione, come nella missione.
Siamo dunque chiamati ad un autentico “sursum corda”. La frase del prefazio “in alto i nostri cuori” introduce i fedeli al cuore del cuore della liturgia: la Pasqua di Cristo, cioè il suo passaggio da questo mondo al Padre. L’incontro di Gesù Risorto con Maria Maddalena, la mattina della Risurrezione, è in questo senso molto significativo: con il suo “noli me tangere” Gesù invita Maria Mad-dalena a “guardare alle realtà dell’alto”, facendole notare di non essere ancora salito al Padre nel suo cuore e invitandola appunto ad andare a dire ai discepoli che egli deve salire al suo Dio e nostro Dio, a suo Padre e nostro Padre. La liturgia è esattamente il luogo di questa elevazione, di questa tensione verso Dio che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con questo, il suo orientamento decisivo. A patto di non considerarla come materiale disponibile alle nostre manipolazioni troppo umane, ma di osservare, con un’obbedienza filiale, le prescrizioni della Santa Chiesa.
Come affermava Papa Benedetto XVI nella conclusione della sua omelia nella solennità dei Santi Pietro e Paolo del 2008: “Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo”.
All’origine del Movimento liturgico, vi era la volontà del Papa san Pio X, in particolare nel motu proprio Tra le sollecitudini (1903), di restaurare la liturgia e renderne maggiormente accessibili i tesori affinché ridiventasse la fonte di una vita autenticamente cristiana, proprio per rilevare la sfida di una crescente secolarizzazione e incoraggiare i fedeli a consacrare il mondo a Dio. Da qui, la definizione conciliare della liturgia come “culmine e fonte della vita e della missione della Chiesa”. Contro ogni aspettativa, come hanno spesso rilevato Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, l’attuazione della Riforma liturgica, a volte, ha portato ad una sorta di desacralizzazione sistematica, mentre la liturgia si è lasciata progressivamente pervadere dalla cultura secolarizzata del mondo circostante perdendo così la sua natura e la sua identità: “Questo Mistero di Cristo la Chiesa annunzia e celebra nella sua Liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo”: (CCC n. 1068).
Senza negare i frutti autentici della riforma liturgica, si può dire tuttavia che la liturgia è stata ferita da ciò che Giovanni Paolo II ha definito “pratiche non accettabili” (Ecclesia de Eucharistia, n. 10) e Benedetto XVI ha denunciato come “deformazioni al limite del sopportabile” (Lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum). Così è stata ferita anche l’identità della Chiesa e del sacerdote.
Negli anni postconciliari si assisteva ad una sorta di opposizione dialettica fra i difensori del culto liturgico e i promotori dell’apertura al mondo. Siccome questi ultimi arrivavano a ridurre la vita cristiana al solo impegno sociale, in base a un’interpretazione secolare della fede, i primi, per reazione, si rifugiavano nella pura liturgia fino al “rubricismo”, col rischio di incoraggiare i fedeli a proteggersi eccessivamente dal mondo. Nell’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis, Benedetto XVI pone fine a questa polemica e ricompone questa opposizione. L’azione liturgica deve riconciliare la fede e la vita. Proprio in quanto celebrazione del Mistero pasquale di Cristo, reso realmente presente in mezzo al suo popolo, la liturgia dà una forma eucaristica a tutta la vita cristiana per farne un “culto spirituale gradito a Dio”. Così, l’impegno del cristiano nel mondo e il mondo stesso, grazie alla liturgia, sono chiamati ad essere consacrati a Dio. L’impegno del cristiano nella missione della Chiesa e nella società trova, infatti, la sua sorgente e il suo impulso nella liturgia, fino ad essere attirato nel dinamismo dell’offerta d’amore di Cristo che vi è attualizzata.
Il primato che Benedetto XVI intende dare alla liturgia nella vita della Chiesa – “Il culto liturgico è l’espressione più alta della vita sacerdotale ed episcopale”, ha detto ai vescovi di Francia riuniti a Lourdes il 14 settembre 2008 in assemblea plenaria straordinaria – vuole mettere di nuovo l’adorazione al centro della vita del sacerdote e dei fedeli. Invece e al posto del “cristianesimo secolare” che ha spesso accompagnato l’attuazione della riforma liturgica, Papa Benedetto XVI intende promuovere un “cristianesimo teologale”, il solo in grado di servire quella che ha definito la priorità che predomina in questa fase della storia, ossia “rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Dio” (Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica, 10 marzo 2009). Dove, infatti, meglio che nella liturgia, il sacerdote approfondisce la propria identità, così ben definita dall’autore della Lettera agli Ebrei: “Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati” (Eb 5, 1)?
L’apertura al mondo auspicata dal Concilio Vaticano II è stata spesso interpretata, negli anni postconciliari, come una sorta di “conversione alla secolarizzazione”: questo atteggiamento non mancava di generosità, ma portava a trascurare l’importanza della liturgia e a minimizzare la necessità di osservare i riti, ritenuti troppo lontani dalla vita del mondo che bisognava amare e con il quale bisognava essere pienamente solidali, fino a lasciarsi affascinare da esso. Ne è risultata una grave crisi di identità del sacerdote che non riusciva più a percepire l’importanza della salvezza delle anime e la necessità di annunciare al mondo la novità del Vangelo della Salvezza. La liturgia è, senza dubbio, il luogo privilegiato dell’approfondimento dell’identità del sacerdote, chiamato a “combattere la secolarizzazione”; poiché, come dice Gesù, nella sua preghiera sacerdotale: “Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità” (Gv 17, 15-17).
Questo certamente sarà possibile attraverso una più rigorosa osservazione delle prescrizioni liturgiche che preservano il sacerdote dalla pretesa, pur inconsapevole, di attirare l’attenzione dei fedeli sulla sua persona: il rituale liturgico che il celebrante è chiamato a ricevere filialmente dalla Chiesa permette, infatti, ai fedeli di giungere più facilmente alla presenza di Cristo Signore del quale la celebrazione liturgica deve essere il segno eloquente e che deve avere sempre il primo posto. La liturgia è ferita quando i fedeli sono lasciati all’arbitrio del celebrante, alle sue manie, alle sue idee o opinioni personali, alle sue stesse ferite. Ne consegue anche l’importanza di non banalizzare dei riti che, strappandoci al mondo profano e dunque alla tentazione dell’immanentismo, hanno il dono di immergerci di colpo nel Mistero e di aprirci alla Trascendenza. In questo senso, non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza del silenzio che precede la celebrazione liturgica, nartece interiore dove ci si libera delle preoccupazioni, pur legittime, del mondo profano, per entrare nel tempo e nello spazio sacri, dove Dio rivelerà il suo Mistero; del silenzio nella liturgia per aprirsi più sicuramente all’azione di Dio; e la pertinenza di un tempo di azione di grazia, integrato o non nella celebrazione, per prendere la misura interiore della missione che ci attende, una volta ritornati nel mondo. L’obbedienza del sacerdote alle rubriche è anch’essa segno silenzioso ed eloquente del suo amore per la Chiesa di cui non è che il ministro, cioè il servitore.
Ne deriva l’importanza anche della formazione dei futuri sacerdoti alla liturgia e specialmente alla partecipazione interiore, senza la quale la partecipazione esteriore preconizzata dalla riforma sarebbe senz’anima e favorirebbe una concezione parziale della liturgia che si esprimerebbe in termini di teatralizzazione eccessiva dei ruoli, cerebralizzazione riduttiva dei riti e autocelebrazione abusiva dell’assemblea. Se la partecipazione attiva, che è il principio operativo della riforma liturgica, non è l’esercizio del “senso soprannaturale della fede”, la liturgia non è più opera di Cristo, ma degli uomini. Insistendo sull’importanza della formazione liturgica dei sacerdoti, il Concilio Vaticano II fa della liturgia una delle discipline principali degli studi ecclesiastici, evitando di ridurla ad una formazione puramente intellettuale: infatti, prima di essere un oggetto di studio, la liturgia è una vita, o meglio, è “passare la propria vita a passare nella vita di Cristo”. È l’immergersi per eccellenza di ogni vita cristiana: immersione nel senso della fede e nel senso della Chiesa, nella lode e nell’adorazione, come nella missione.
Siamo dunque chiamati ad un autentico “sursum corda”. La frase del prefazio “in alto i nostri cuori” introduce i fedeli al cuore del cuore della liturgia: la Pasqua di Cristo, cioè il suo passaggio da questo mondo al Padre. L’incontro di Gesù Risorto con Maria Maddalena, la mattina della Risurrezione, è in questo senso molto significativo: con il suo “noli me tangere” Gesù invita Maria Mad-dalena a “guardare alle realtà dell’alto”, facendole notare di non essere ancora salito al Padre nel suo cuore e invitandola appunto ad andare a dire ai discepoli che egli deve salire al suo Dio e nostro Dio, a suo Padre e nostro Padre. La liturgia è esattamente il luogo di questa elevazione, di questa tensione verso Dio che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con questo, il suo orientamento decisivo. A patto di non considerarla come materiale disponibile alle nostre manipolazioni troppo umane, ma di osservare, con un’obbedienza filiale, le prescrizioni della Santa Chiesa.
Come affermava Papa Benedetto XVI nella conclusione della sua omelia nella solennità dei Santi Pietro e Paolo del 2008: “Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo”.
Mgr Aillet proviene dall'eccellentissima Communauté Saint Martin, associazione clericale pubblica di presbiteri.
RispondiEliminaPiù informazioni qui: http://www.communautesaintmartin.org/
<p><span>Un frutto innegabile del Concilio Vat. II è che ha dato la possibilità di parola a tutti, ordinati e fedeli. Oggi infatti ci si può esprimere liberamente e si può parlare pro o contro persino dei dogmi (sic!) e della gerarchia. Prima dell’ultimo Concilio era solo impensabile; chi si azzardava ad esprimere la propria opinione rischiava di essere scomunicato e messo al bando. Non si poteva neppure pubblicare un libro senza l’imprimatur; c’era ancora l’indice dei test proibiti (persino la S. Scrittura era proibita…) Oggi Grazie a Dio siamo più liberi, abbiamo fatto qualche passo avanti. Anche nel web, come in questo caso, possiamo esprimerci liberamente… L’importante è dire sempre la verità e saper ascoltare anche chi la pensa diversamente da noi. Ossia, come dice </span><span>Papa Benedetto XVI promuovere un “cristianesimo teologale” e “rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Dio” (Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica, 10 marzo 2009).</span>
RispondiElimina</p><p><span>Giovanni</span></p>
...e ha pure dato a tutti i preti la libertà di interpretare la liturgia secondo le proprie vedute, i propri vezzi e, magari, i propri vizi, imponendoli ai fedeli.
RispondiEliminaGià che ci siamo, anche se è fuori tema ma non fuori dalla triste realtà di questi giorni, che ne dite delle seguenti parole su un articolo di oggi (vds.Papa Ratzinger blog) a proposito dello scandalo pedofilia?
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<p><span>“C’è in atto una campagna giornalistica specialmente nei paesi protestanti e sui giornali controllati da editori di origine ebraica….. Poi c’è la massoneria che ha tutto l’interesse a colpire la “Chiesa papata”... Alberto Giannino, Presidente Associazione culturale docenti cattolici (Adc)</span>
</p></span></span>
C'è un errore se è possibile. Non ha dato la possibilità di espriimere opinioni! Ha detto che anche il laico ha la possibilità di testimoniare il Cristo pur non essendo consacrato! Ha reso non esclusiva la catechesi ad esempio o lo studio della teologia e l'insegnamento della medesima.
RispondiEliminaLe opinioni sono vere i se descrivono la realtà anche in forma diversa ( è l'uomo che da forma alla materia ci insegna San Tommaso) senza negarne la natura ( che nonn appartiene all'uomo).
Matteo Dellanoce
<span>Prima dell’ultimo Concilio […] chi si azzardava ad esprimere la propria opinione rischiava di essere scomunicato e messo al bando…</span>
RispondiEliminaAh oui? Et après? Et la Lettre aux catholiques perplexes, de Mgr Lefebvre, comment a-t-elle été accueillie? Et ses Dubia sur la liberté religieuse, si pondérés, si solidement argumentés? Et Iota Unum, de Romano Amerio, un chef d'œuvre d'intelligence et de courage?
La réponse? Silence, silence, silence.
Mépris et ostracisme.
Alors, ne me faites pas rire avec votre liberté religieuse!
<p>
RispondiElimina<span><span>
<p><span>Forza, forza!</span>
</p><p><span>Dài che piano piano si va'.</span>
</p><p><span>Impensabile: un vescovo diocesano e per di più: francese!</span>
</p><p><span>Molto bello il richiamo al <span>noli me tangere</span>.</span>
</p><p><span>Nolo </span><span>è il contrario di <span>volo</span>; quindi la traduzione letterale dovrebbe essere: non "non mi toccare"; ma: "non pensare nemmeno di toccarmi".Quindi...</span>
</p><p><span>Bene. L'impegno deve continuare con più forza: <span>semper fluctibus agitata sed semper victrix!</span></span>
<span>
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</p></span></p></span>
<p>
</p></span><span><span>Affidiamoci a S. Giuseppe.</span></span>
</p><p><span><span>Il Beato papa Giovanni XXIII nella Lettera apostolica “Le voci” del 19 marzo 1961, affidò il Concilio alla protezione di S. Giuseppe, Protector universalis Ecclesiae, proclamato tale dal Beato papa Pio IX l’8 dicembre 1870 su richiesta dei Padri del Concilio Ecumenico Vaticano I.</span></span>
</p><p><span><span>In quella Lettera il Papa per la prima volta definì il Concilio correttamente: “Concilio Ecumenico XXI e Vaticano II”.</span></span>
</p><p><span><span>L’ermeneutica della continuità era naturaliter definita fin dall’origine.</span></span>
</p><p><span><span>Quindi, domani non dimentichiamo di pregare ancora una volta: A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio...</span></span>
<span>A proposito, già fin d’ora: auguri di buon onomastico S. Padre!</span></p>
Scusatemi. Non so come mai è uscito con tutti questi spazi bianchi.
RispondiEliminaEt puisqu'il s'agit, dans ce post, de liturgie, je pourrais aussi ajouter les ouvrages de Mgr Klaus Gamber, éblouissants de science et de piété… Eh bien, quel accueil leur a-t-on fait? On est allé jusqu'à accuser Gamber de sédévacantisme!
RispondiElimina<span><span>dall'anno 1965:
RispondiEliminacongiura del silenzio --->
damnatio memoriae di Studiosi come Romano Amerio, parallelamente alla damnatio memoriae della Liturgia antica e perenne, del Messale VO, di tutti i suoi sostenitori, di opere-espressioni di gravi perplessità come il Breve esame critico del NOM --->
imposizione del NOM (con l'inganno circa la sua abrogazione= fatto compiuto)--->
semina dell'ignoranza --->
indottrinamento dei fedeli con catechesi confusionarie, lacunose, fuorvianti o ambivalenti rispetto alla Dottrina bimillenaria -->
tutto il clima del post-concilio viene riempito col grido di "nuova Pentecoste! Libertà dai vecchi schemi! Vento dello Spirito che soffia dove vuole !..."...e la Barca va....liberamente va --->
LIBERI TUTTI di modificare, arricchire, inventare nuove Liturgie e pseudo-dottrine cristiane ri-fondatrici -->
LIBERTA' DI RELIGIONE.....?!?!?!...--->
LIBERTA' PER TUTTI E TUTTO.....
MA.....
OBBLIGO DI SILENZIO SULLA MESSA ANTICA
OBBLIGO DI SILENZIO SU CIO' CHE OGGI VUOLE dire e fare il Papa per ridonarla alla Chiesa </span>
<span>OBBLIGO DI SILENZIO PER I FEDELI che la vogliono celebrare e onorare di nuovo per sempre;
1968: VIETATO VIETARE....=
TUTTO PERMESSO, tranne una cosa sola:
TASSATIVAMENTE VIETATA LA MESSA ANTICA E TUTTE LE INIZIATIVE TESE A CELEBRARLA, anche se vengono dal Santo Padre!
La chiamavano<span> Libertà, </span>mentre alcuni stavano rendendo TUTTI SCHIAVI, e tutti credevano di essere liberi, entrando nella <span>perfetta schiavitù,</span> poichè:
<span>Ignoranza e censura forgiano lo SCHIAVO PERFETTO : </span></span></span>
<span><span><span>quello che non sa di esserlo !</span></span></span>
<span>
RispondiElimina<span>Et toujours, bien entendu, au nom de l'obéissance!</span>
<span>A ce propos, l’écrivain et ancien officier allemand August von Kageneck faisait remarquer que la conquête du pouvoir par Hitler fut grandement facilitée par l’esprit d’obéissance existant dans la Wehrmacht, une obéissance aveugle faite pour étouffer d’éventuels sursauts de conscience.</span>
<span>Loin de moi de comparer les officiers nazis et le clergé catholique, ce serait absurde et ridicule, mais il faut bien reconnaître qu’on rencontre chez de nombreux ecclésiastiques une conception de l’obéissance qui se rapproche parfois de celle desdits officiers.</span>
<span>Il y a une conception de l’obéissance qui est un véritable narcotique: «Obéissez! Surtout ne pensez pas!»</span>
<span>Face à des évêques ou à des supérieurs souvent tentés par le despotisme, beaucoup de prêtres, beaucoup de professeurs de théologie notamment, achètent de leur silence leur tranquillité morale et matérielle: il n’est jamais agréable, en effet, d’être chassé de son poste par un supérieur irascible, ou d’être exilé dans une paroisse perdue, loin de tout…</span>
<span>Et puis, reconnaissons-le, il y a dans l’Eglise comme partout des âmes serviles qui ne peuvent vivre qu’à genoux et même à plat-ventre… A celles-là l’obéissance dont je parle leur convient parfaitement.</span>
<span>La crise de l’Église — liturgique et autres — n’est-elle pas aussi une crise des caractères?</span>
</span>
Siete d'accordo con l'analisi di Mons. Aillet? Qual'è il vostro posto? Tra coloro che "si rifugiavano nella pura liturgia fino al 'rubricismo', col rischio di incoraggiare i fedeli a proteggersi eccessivamente dal mondo"?
RispondiEliminain risposta al Sig. Giovanni,
RispondiEliminama dai? il mitico concilio dell'autodistruzione della Chiesa avrebbe introdotto questa grande ventata di libertà all'interno della Chiesa? ma che capolavoro di ipocrisia signor Giovanni! Libertà a patto di rinnegare tutto ciò che è stata la Chiesa dalla sua nascita al mitico concilio dell'autodistriuzione. Anzi se è in buona fede le suggerisco questa prova del nove della libertà da lei tanto osannata, vada dal suo vescovo e gli chieda una bella santa messa tridentina, vediamo che risposta ne riceverà. Ma per favore....che ipocrisia....
Se questo vescovo francese si potesse clonare, che bello sarebbe "distribuirlo" un po' dappertutto!!!! :)
RispondiEliminaLibertà d'inventarsi un nuovo cattolicesimo, una nuova Chiesa, un nuovo Dio?
RispondiEliminaimmagino come sarà stato contento il Prof. Grillo, della Lateranense, a sentire questa conferenza.....chi la fa l'aspetti! ;)
RispondiEliminaSe per te questi sono passi avanti, spero di fare come il gambero...
RispondiEliminaIn ogni caso, per quanto riguarda l'articolo mi sono fermato a i "frutti innegabili della riforma liturgica"...
à regime
RispondiEliminabeata te
che nun ce lo sai!
Proibita la Bibbia? Nel 1960, a undici anni, acquistai la mia prima copia del Vangelo, su richiesta dall'insegnante di religione. Ricordo che le enciclopedie per ragazzi, di cui allora mi abbeveravo, presentavano numerosissimi articoli sulle storie bibliche. Non parliamo dei film d'argomento biblico, allora numerossissimi e ben fatti, come "Ben Hur", che trovai esaltante. La lettuta del Vangelo ( e successivamente dell'Antico Testamento ) fu per me edificante, ma rappresentò l'apertura del "vaso di Pandora": per un ragazzo che studiava, si poneva il problema critico sull'autenticità storica dei fatti narrati dalla Sacra Scrittura. Allora non sapevo che per costruirmi un mio "sistema apologetico" avrei impiegato decine di anni. Io ero un tipetto intellettuale, quindi riuscii a trovare pian piano i libri necessari per parare ogni singolo colpo; ma che sarebbe stato se non avessi disposto degli stessi strumenti culturali? Ora capisco il motivo per cui la Chiesa invitava il popolo a tenersi lontano dalle speculazioni religiose e manteneva l'Indice dei libri proibiti: o si è tenuti all'oscuro dei dubbi, oppure occorre esaminarli uno per uno con immensa fatica e dispendio di tempo ( il che di fatto è possibile a pochissimi ). Al contrario oggi ci sono teologi che propongono sfacciatamente teorie gravemente eretiche, dando a vedere di scandalizzarsi se qualcuno osa criticarli e dichiararli "non cattolici".Purtroppo dalla libertà senza controlli all'anarchia il passo è breve.
RispondiEliminaMAGISTRALE !!!!!!!!!!!!! .......
RispondiElimina............. E PER FORTUNA CHE LEGGO TUTTO CIO CON IL SORRISO SULLE LABBRA