Dello scrittore scozzese Bruce Marshall (1899-1987), convertito al cattolicesimo nel 1917, ho letto diversi anni fa – e riletto in questi giorni, in anzianotte edizioni Longanesi – tre bei romanzi, peraltro riediti di recente da Jaca Book e facilmente rintracciabili in libreria.
Il più intenso è forse “A ogni uomo un soldo”, il più frizzante e di facile lettura “Il miracolo di padre Malachia”; ma per questa ricerca di echi tridentini in letteratura il più ricco mi sembra “Il mondo la carne e padre Smith”, tenerissima e affettuosa narrazione in forma biografica pubblicata nel 1944.
Al centro della vicenda, che procede dal 1909 al 1940, è un prete cattolico, parroco di periferia in una Scozia pervicacemente protestante, ostile e spesso persecutoria e aggressiva. La parrocchia di padre Smith non può permettersi una chiesa vera e propria: la Messa della domenica viene celebrata al mercato della frutta, concesso in affitto dal municipio della città. Col passar degli anni, risparmiando monetina su monetina, riuscirà a costruire una chiesa parrocchiale, consacrandola al SS. Nome, ma l’inaugurazione ufficiale non ci sarà mai: due giorni prima della data stabilita le bombe tedesche la spazzeranno via, e il buon prete – con la sua fede eroica e la sua bella semplicità – farà appena in tempo, a costo della vita, a mettere in salvo la pisside con le ostie consacrate.
Accanto a padre Smith, tanti comprimari: il vescovo, diversi sacerdoti, un gran numero di fedeli un po’ santi un po’ peccatori: spiccano un gruppo di suore francesi, costrette all’esilio oltre Manica da un governo “democratico”, tanto illuminato e tanto tanto laico; il giovane Angus McNab, chierichetto nel 1909, che padre Smith, cappellano militare, ritrova e conforta in Francia durante la Grande Guerra, accompagnandolo poi al patibolo dopo un difficile dopoguerra e una condanna per uxoricidio; e poi, e soprattutto, Elvira e Giuseppe, che padre Smith battezza in fasce al mercato della frutta nel capitolo I e che lo assisteranno, nel capitolo XXXV, nel momento del ritorno alla Casa del Padre: lei dignitosa e salda nella fede anche nel travaglio di scelte di vita controverse (Hollywood!), lui acuto e coraggioso sacerdote, poi giovanissimo vescovo.
Lo stile è costantemente ispirato a una leggerezza di tocco frutto di humour di buona razza. La dimensione tragica dell’esistenza, la presenza inquietante del male ci sono e come; ma fra le pagine scorre una vena di serenità semplice e pulita, figlia di una fede vivace, naturale e allegra come un bicchiere di vino buono.
Echi della liturgia tridentina sono presenti in tutto il romanzo, venendo a costituire, nel richiamo costante alla liturgia, quasi una griglia d’interpretazione; a me fanno venire spesso un groppo alla gola, e nelle narici un profumo lieve lieve di paradiso perduto. Dovendo scegliere, riporto qui di seguito quattro brani (dai capitoli I, II, XXII e XXV), che si riferiscono, nell’ordine: alla Messa celebrata da padre Smith al mercato della frutta; alla Benedizione eucaristica officiata dal vescovo all’arrivo delle suore francesi; alla prima Messa del novello sacerdote Giuseppe Scott; alla Messa funebre e alle esequie di una delle suore.
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«Quando il padre Smith uscì dal confessionale, la signorina O’Hara era ancora alle prese col coro, ma al vedere il prete che s’avvicinava interruppe la prova. “Mi pare che adesso ci siamo, padre; l’Introito zoppica ancora un po’ ma insomma...”. “Son sicuro che andranno benone”, rispose il prete, sorridendo alla signorina O’Hara e ai cantori stanchi e pieni d’impegno, coi loro cappelli a cencio e le loro gole da piccioni pavoncelli. E anche loro sorrisero, perché avevano simpatia per il padre Smith e perché provavano tanto gusto a cantar le lodi del Signore in quel bel latino sonoro. (...) I fedeli si alzarono quando il padre Smith fece il suo ingresso solenne. (...) “Asperges me”, intonò con la sua voce gutturale (per il canto, così aveva detto il vescovo, non sarebbe mai stato un asso), su di che la signorina O’Hara e il suo coro rimbombante e stridulo di biscazzieri, di agenti d’assicurazione e di vergini incontaminate proseguirono: “Domine, hyssopo et mundabor”. Il padre Smith percorse le file dei fedeli (...) e spruzzò di gocce d’argento i facchini ferroviari, gli scaricatori del porto, i marinai, le maestre di scuola, le commesse e le servette, che si segnarono. Sui capelli, sugli scialli, sulle zucche pelate, il prete spargeva l’acqua santa, lavando tutti, simbolicamente, dai pensieri e dalle ambizioni dei giorni feriali. (...) Alle tre girls del varietà, coi capelli che parevano trucioli, il padre Smith diede una spruzzatina speciale, perché quei loro visi gialli gli fecero un effetto così tremendo; e lo stesso fece per il prof. Brodie Ferguson, in terza fila, perché pensava che questo metafisico soffrisse di orgoglio intellettuale.»
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«Quando tolse l’Ostia dal tabernacolo, cominciava a farsi buio; nella cappella, le sole luci erano le candele dell’altare, che splendevano come stelle. Nell’ombra sfumata e tenera, le suore, in ginocchio, cantavano parole bellissime, e perfino la grossa fetta di viso di mons. O’Duffy aveva un che di sacro, lì sospesa sopra la tastiera, come una luna rossa e cruda. Le suore cantarono “O Salutaris Hostia” e le litanie della Madonna: al padre Smith parve di non aver mai udito un suono più squisito delle sillabe “Speculum Justitiae” modulate chiare e dolci da quelle invisibili labbra francesi. Poi cantarono la “Salve Regina” e il “Tantum ergo”, e il vescovo, alzando l’ostensorio, tracciò il segno della Croce, lassù, sopra le suore inginocchiate, stendendo le braccia come a benedire anche tutti i peccatori che si trovavano nel mondo. Poi, mentre il padre Smith riponeva il Santissimo nel tabernacolo, le suore cantarono, come un piccolo galoppo pio, “Laudate Dominum”, e dopo ricantarono tutti insieme, in mezzo alle volute d’incenso, “Adoremus in aeternum”; quindi il vescovo, il padre Smith e il padre Bonnyboat, coi loro ricchi paramenti bianchi, uscirono di cappella.»
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«... si riunirono in sacrestia ed aiutarono il padre Scott a indossare la vecchia pianeta rossa pesante che era stata portata dal Curato d’Ars, ora S. Giovanni Vianney, e che le suore avevano tirato fuori per l’occasione. Appena fecero il loro ingresso in cappella, madre Leclerc si mise a suonare “Ecce sacerdos magnus”. Fortuna che lo sapeva a memoria: piangeva così forte (...) che non riusciva a leggere le note. Le bambine invece non erano troppo sicure delle parole, avendole imparate soltanto la settimana prima, e quando arrivarono a “non est inventus similis illi, qui conservarem legem Excelsi”, s’incagliarono e non furono più capaci di andare avanti; ma madre Leclerc non se la prese troppo: tanto, sapeva che Dio sentiva lo stesso. (...) Dopo aver letto il Vangelo col suo opportuno avvertimento: “Ecce, ego mitto vos sicut oves in medio luporum. Estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae”, il padre Scott si ritirò dall’altare e il vescovo prese a parlare (...) Disse che tanto il sacerdote novello quanto i bambini che si accingevano a ricevere dalle sue mani la prima comunione dovevano sempre ricordare che assai più grande dei prodigi del treno, dell’aeroplano e del telegrafo senza fili era il miracolo del SS. Sacramento, nel quale Gesù tornava sempre a discendere sull’altare in un vento bianco e mondo. Il sacramento dell’Ordine, col quale vescovi, sacerdoti e diaconi venivano consacrati ed ordinati per compiere il lavoro di Dio, garantiva la continuità di questo miracolo attraverso i secoli. Il Signore, prima di ascendere al cielo, aveva dato facoltà ai suoi apostoli non solo di rimettere i peccati e di trasformare il pane e il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue come aveva fatto Egli stesso nell’ultima cena, ma anche di trasmettere ad altri questo potere sacro, onde i sacramenti potessero durare per sempre, attraversando continenti e foreste vergini, sopravvivendo a re, regine e papi, scivolando giù giù, lungo le finestre d’imperi, regni e repubbliche, in una meravigliosa fune d’oro e d’argento. Questa fune era nota ai teologi col nome di successione apostolica, ed ogni volta che un vescovo ordinava un sacerdote scendeva dal paradiso un gran soffio di Spirito Santo che gonfiava l’anima dell’ordinando degli stessi poteri che il Signore aveva soffiato sugli apostoli quando aveva loro comandato di andare a insegnare a tutte le nazioni le cose che avevano imparato da Lui. A queste parole le suore si misero a piangere, ma non piangevano di tristezza: piangevano di gioia perché era stato dato a Dio un nuovo sacerdote. I primi a ricevere la comunione dalle mani del sacerdote novello furono i suoi genitori: ed era giusto, visto che erano stati loro a darlo a Dio. Il signor Scott era in divisa di tranviere perché dopo doveva andare subito in servizio, ma sua moglie si era comprata un cappellino nuovo, un cappellino giallo, verde, blu e rosso.»
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«Le voci attutite delle alunne cantarono l’Offertorio. Non avevano che dieci anni di età, quelle bambine, e un giorno non si sarebbero più ricordate affatto di madre Leclerc; sarebbero andate a spasso lungo qualche fiume con l’innamorato, avrebbero avuto dei bambini, sarebbero invecchiate in un letto sconosciuto; ma ora cantavano con dolore: “Domine Jesu Christe, Rex gloriae, libera animas omnium fidelium defunctorum de poenis inferni et de profundo lacu”. Mentre cantavano, il can. Smith pregava per la pace dell’anima di madre Leclerc; (...) poi pregò per gli abissini che gli italiani stavano ammazzando, perché Dio cullasse il loro trapasso selvaggio e li facesse presto felici in Paradiso; e pregò anche per gli italiani, giacché anche per loro era doloroso morire col viso spaccato e gli occhi scucchiaiati, e anche loro erano stati ragazzini fra mura di casa. Quando ebbe finito di pregare, le bambine erano già al “Fac eas, Domine, de morte transire ad vitam”, e benché avessero voluto tanto bene a madre Leclerc la loro voce non aveva mai tremato. Terminata la Messa e l’assoluzione della salma, portarono fuori la cassa di legno e la deposero in giardino, nella buca scavata sotto gli alberi spogli; e ciascuno portava una candela accesa, per significare che l’anima di madre Leclerc non s’era spenta ma in qualche posto continuava a risplendere. Ammantato dei paramenti neri e argento, il vecchio vescovo fragile pregò Dio che le concedesse il riposo eterno, che le risplendesse la luce perpetua e che riposasse in pace.»
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- [“Ecce sacerdos magnus” è una magnifica pagina di gregoriano: veniva cantato, fra l’altro, come Graduale nella Messa “De Confessore Pontifice”: Ecce sacerdos magnus, qui in diebus suis plàcuit Deo. Non est inventus sìmilis illi qui conservaret legem Excelsi. Alleluia. Tu es sacerdos in aeternum secundum òrdinem Melchìsedech. (Ecco un sacerdote grande, che durante la sua vita piacque a Dio. Non si trovò alcuno simile a lui nell’osservare la legge dell’Altissimo. Alleluia. Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech).]
- [Ecce, ego mitto vos sicut oves in medio luporum. Estòte ergo prudentes sicut serpentes et sìmplices sicut columbae; è una citazione dal Vangelo (Matteo: 10, 16): Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.]
- [“Domine Jesu Christe” è lo splendido offertorio della Messa dei defunti: Domine Jesu Christe, Rex gloriae, libera animas omnium fidelium defunctorum de poenis inferni et de profundo lacu: libera eas de ore leonis, ne absòrbeat eas tàrtarus, ne cadant in obscurum: sed sìgnifer sanctus Mìchael repraesèntet eas in lucem sanctam quam olim Abrahae promisisti et sèmini eius. Hostias et preces tibi, Domine, laudis offèrimus: tu sùscipe pro animabus illis, quarum hodie memoriam fàcimus: fac eas, Domine, de morte transìre ad vitam quam olim Abrahae promisisti et sèmini eius. (Signore Gesù Cristo, Re di gloria, libera le anime di tutti i fedeli defunti dalle pene dell’inferno e dalla fossa profonda; liberale dalle fauci del leone, né le inghiotta il tartaro, né cadano nelle tenebre: ma il vessillifero San Michele le conduca alla luce santa, che già promettesti ad Abramo e alla sua discendenza. Noi ti offriamo, Signore, preghiere e sacrifici di lode; tu ricevili a suffragio di quelle anime che oggi commemoriamo; fa’ o Signore che passino dalla morte alla vita che già promettesti ad Abramo e alla sua discendenza).]
Giuseppe
Bellissimo post.
RispondiEliminaConsiglio a tutti la lettura dei romanzi di Marshall, soprattutto l'ultimo citato su Padre Smith (il romanzo ha titoli diversi nelle edizioni italiane).
Complimenti ancora.
AMDG
Luigi C