Su Fides et forma è riportata la lettera aperta del rabbino di Haifa Yashuv Cohen, pubblicata sul Jerusalem Post dell'11 maggio. Si tratta di quel rabbino che fu invitato al Sinodo dei Vescovi sulla Parola e, in quell'occasione, disse che se avesse saputo che si sarebbe lodato Pio XII, non sarebbe venuto. Ecco un estratto di quanto ha scritto:
In occasione della sua visita in Israele vorrei cogliere questa occasione per darle il benvenuto, onorevole ospite, Papa Benedetto XVI.
Prego che lei continui l'opera iniziata dal suo predecessore, Giovanni XXIII e da Giovanni Paolo II, ed esprima la sua amicizia per il popolo ebraico e lo Stato di Israele. Vedo nella sua visita in Terra Santa una dichiarazione che attesta la sua intenzione di continuare una politica ed una dottrina che si riferisce al mio popolo come ai "nostri fratelli maggiori" e al "popolo scelto da Dio", con il quale Egli è entrato in una eterna alleanza. Abbiamo molto apprezzato questa dichiarazione. Vi è una lunga, dura e dolorosa storia del rapporto tra la nostra gente, la nostra fede, e la Chiesa cattolica e la sua leadership - una storia di sangue e lacrime. È difficile parlare di questa relazione senza ricordare i secoli della persecuzione degli ebrei da parte della Chiesa. Ma una nuova era è stata inaugurata con la cancellazione della teoria della sostituzione. Nel Concilio Vaticano II e nel documento Nostra Aetate, è stato chiarito che non sarebbero stati più compiuti dalla Chiesa cattolica sforzi per convertire gli ebrei.
Piuttosto, il popolo ebraico deve continuare la fede dei suoi antenati, come espresso nella Bibbia e nella letteratura rabbinica. Il popolo ebraico resta un popolo del patto di Dio, un popolo scelto da Dio per dare al mondo la Bibbia.
In parole povere, la Chiesa cattolica ha accettato il principio teologico che gli ebrei non hanno bisogno di cambiare la loro religione per meritare la redenzione. Spero che lei avrà la possibilità, durante la sua visita in Israele per ribadire questo fatto. Nel nostro incontro a Roma il mese scorso, lei mi ha assicurato che nessun negazionista dell'Olocausto può essere un membro della Chiesa. Lei ha anche parlato di come, in istituti educativi cattolici di tutto il mondo, l'antisemitismo sarà presentato come un crimine contro Dio e contro l'uomo e che verrà denunciata la negazione della Shoah. Mi auguro ora di ottenere il suo aiuto in qualità di leader religioso - così come l'aiuto di tutto il mondo libero - al fine di proteggere, difendere e salvare Israele, l'unico Stato sovrano del "popolo del libro" dalle mani dei suoi nemici. [..]
Questa interpretazione della fede cattolica da parte ebraica lascia perplessi, in particolare circa la pretesa rinuncia alla proposta di conversione per gli ebrei ed alla teologia della sostituzione. Su quest'ultima, ecco quanto don Alfredo Morselli spiegava a chi l'aveva interpellato in merito (su Totus Tuus):
Caro fratello, Come Lei ben dice, la "teologia della sostituzione" è una categoria (non un enunciato teologico univoco o un formula di fede) e quindi dobbiamo innanzi tutto ben precisare che cosa intendiamo con questa espressione. Dobbiamo poi tener presente che, in teologia, ogni termine è sempre utilizzato in modo analogico; e quindi, quando usiamo il termine "sostituzione" parlando dei misteri della nostra salvezza, lo utilizziamo in parte nello stesso senso, in parte in senso differente, rispetto a quando usiamo questo concetto per indicare realtà meramente naturali. Detto questo, cercherò di articolare la risposta alle sue domande nel seguente modo:
1. Non si può parlare di fine della "teologia della sostituzione".
2. Non di meno, le promesse fatte da Dio a Israele sono irrevocabili ed eterne.
3. La peggior forma di antisemitismo è quella di non annunciare Cristo unico Salvatore anche ai nostri fratelli Ebrei.
1. Non si può parlare di fine della "teologia della sostituzione".
Vediamo, per prima cosa, il significato del termine "sostituzione", quando questo è usato discorrendo circa le realtà naturali: si ha "sostituzione" quando prima c'è una cosa o una certa situazione, e, in un secondo tempo, questa stessa cosa non c'è più e ve ne è un'altra al suo posto. Di per sé "sostituzione" non implica che la cosa vecchia venga buttata via o distrutta; ve ne è semplicemente un altra al suo posto: una cosa che non c'è più in quel posto e/o con quella funzione e un'altra cosa al posto della precedente. Fatta questa premessa, ascoltiamo il magistero: Giovanni Paolo II, nell'incontro con i rappresentanti della comunità ebraica a Magonza, il 17/11/1980, aveva parlato di "Vecchio Testamento, da Dio mai denunziato", (espressione più volte ribadita dallo stesso Papa e sancita anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica (§ 121), e le cui motivazioni sono state riprese da Benedetto XVI in visita alla sinagoga di Colonia il 19/8/2005 "Con l'apostolo Paolo, i cristiani sono convinti che "i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili" (Rm 11,29; cfr 9,6.11; 11,1s)."); successivamente al suddetto discorso di Giovanni Paolo II, la «Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo» ha pubblicato i "Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei e dell'Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica" (24/6/1986) Questo documento esordisce al § 1 ribadendo - e non può fare altro, citando del resto la "Nostra Aetate" n. 4 - che "La Chiesa è il nuovo popolo di Dio". Infine molto chiaramente, al § 7, afferma: «In virtù della sua missione divina, la chiesa», che è «mezzo generale di salvezza» e che è la sola nella quale si trova «tutta la pienezza dei mezzi di salvezza» (Unitatis redintegratio, n. 3), «per la sua stessa natura deve annunciare Gesù Cristo al mondo» (Orientamenti e Suggerimenti per l'applicazione della Dichiarazione Nostra Aetate, n. 1). Noi crediamo infatti che è per mezzo di Gesù Cristo che andiamo al Padre (Cf Gv 14,6) e che «questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,53). Gesù afferma (Gv 10,16) che vi sarà «un solo gregge ed un solo pastore». Chiesa ed ebraismo non possono essere presentati dunque come due vie parallele di salvezza e la chiesa deve testimoniare il Cristo redentore a tutti, «nel più rigoroso rispetto della libertà religiosa, così come essa è insegnata dal concilio Vaticano secondo (dichiarazione Dignitatis humanae)» (Orientamenti e Suggerimenti... n. 1)". Significative anche le parole pronunciate da Giovanni Paolo II il giorno della canonizzazione di Edith Stein (11/10/98): "Alla fine del lungo cammino le fu dato di giungere ad una constatazione sorprendente: solo chi si lega all'amore di Cristo diventa veramente libero." Nei testi sopra citati, è chiaramente indicato che vi è "un solo gregge e un solo pastore" (si tratta evidentemente della Chiesa Cattolica) e che non ci sono altre vie di salvezza; prima della venuta di Cristo, c'era un popolo eletto, a cui per primo fu rivolta la parola di Dio; e c'erano gli altri popoli, a cui il Signore provvedeva sempre con amore (cf. Atti 17, 26-28), ma oggettivamente su un piano diverso rispetto alle cure prodigate a Israele, "vigna" prediletta. Ora questa situazione non c'è più; perché la salvezza è offerta in Cristo Gesù a tutti i popoli, non più per una qualche forma di discendenza secondo la carne, ma per la fede, esclusivamente nella Chiesa. Se dunque "sostituzione" indica qualcosa di nuovo al posto di qualcosa che non c'è più, almeno in un certa funzione e in un certo ruolo, indubbiamente abbiamo una vera e propria sostituzione dell'Antico Israele da parte del nuovo, che è la Chiesa. Anche la Scrittura è fin troppo chiara in questo senso: vediamo per esempio le parole di San Paolo rivolte ai Galati: "Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa. (Gal 3, 26-29) Si vede chiaramente in questi versetti tutto l'essenziale compreso nel concetto di "sostituzione": qualcosa che non c'è più ("Non c'è più giudeo né greco") e qualcosa di nuovo al posto della vecchia economia "tutti voi siete uno in Cristo Gesù". Consideriamo ancora l'episodio dei Magi che vanno ad adorare Gesù (Mt 2, 1-12); per trovarlo hanno bisogno dei saggi di Gerusalemme, perché solo le profezie dell'A.T. permettono di trovare il Signore. Ma, dopo che i Magi hanno visto, entrati nella Casa, il Bambino con sua Madre (v. 11), se ne tornano "per un'altra strada" (v. 12); la funzione di Gerusalemme è ormai terminata, "sostituita" dalla nuova "casa" con la Madre e il Bambino (la casa con il Bambino e la Madre è figura della Chiesa).
2. Non di meno, le promesse fatte da Dio a Israele sono irrevocabili ed eterne.
A questo punto però dobbiamo chiarire come questa forma di indubbia "teologia della sostituzione" che ho riassunto, si concili con le affermazioni proprie del Magistero, secondo cui l'antica Alleanza non è mai stata revocata, e quindi non è finita o storicamente conclusa. Abbiamo visto che il termine "sostituzione" non implica necessariamente la fine della realtà sostituita. Il cartellino "chiuso" (per esaurimento della funzione provvisoria di ombra di realtà future) sulla porta della bottega dell'Antica Alleanza, non implica la sparizione nel nulla, anche come soggetto collettivo, degli Ebrei che non riconoscono Gesù Cristo; e ciò non implica neppure che si debba andare avanti come se gli Ebrei - in quanto tali - non ci fossero. Il motivo della permanenza di Israele come tale è "teologico", ossia si fonda sulle promesse divine, che come dice San Paolo, non possono essere revocate in quanto la parola di Dio non viene meno (cf Rom 9,6). Esaminiamo ancora alcuni versetti di Rom 9-11, il luogo della Scrittura dove vengono rivelati dati decisivi per le questioni che qui ci stanno a cuore: "Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen". (Rom 9, 1-5) Queste promesse irrevocabili (cf Rom 11,29) mantengono l'Israele "secondo la carne" in essere come soggetto. I verbi contenuti nei versetti sopra citati, sono coniugati al tempo presente, "possiedono", "hanno", non "ebbero". Queste promesse permangono come offerta di grazia da parte di Dio. Ma come possono rimanere delle realtà di grazia in chi si trova in uno stato - almeno oggettivamente parlando - di incredulità (gr. apistía: "sono stati tagliati a causa dell'infedeltà" Rom 11,20), di indurimento ("sono stati induriti" gr. epôrôthêsan Rom 11,8) e di cecità spirituale("Ma le loro menti furono accecate; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell'Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato" 2 Cor 3, 14)? San Paolo ci offre la chiave per poter cercare una risposta a questo interrogativo: "Che dunque? Se alcuni non hanno creduto, la loro incredulità può forse annullare la fedeltà di Dio?" (Rom 3, 3) La bontà di Dio è infinitamente superiore a tutto il male che l'uomo può fare; anche l'indurimento e l'incredulità non annullano la particolare offerta di grazia, che, in continuità dell'elezione di Israele prima della venuta di Cristo, permane tuttora. Per capire questo, pensiamo alla perdita e alla riviviscenza dei meriti dopo che uno è passato dalla grazia al peccato e poi nuovamente dal peccato alla grazia. Col peccato mortale - ne basta uno solo - tutti meriti sono perduti e il peccatore merita l'inferno; se muore impenitente, tutte le sue opere buone non contano nulla; ma se il peccatore fa penitenza, riacquista tutti i meriti, eventualmente accresciuti da un aumento di carità successivo al pentimento. Un altro caso analogo è la fruttuosità del carattere sacramentale: se uno riceve la Cresima in stato di peccato mortale, ha impresso il carattere, che però non gli porta alcun beneficio soprannaturale: ma se lo stesso cresimato riacquista la grazia, il carattere completa i suoi effetti salvifici. In entrambi i casi appena esaminati, il peccato dell'uomo non distrugge del tutto il dono della grazia. Gli Ebrei - l'Israele secondo la carne -, analogamente, conservano una certa attitudine alla grazia, a essere "innestati di nuovo" (Cf Rom 11, 23). Si tratta di una relazione particolare con Gesù Cristo. L'accidente "relazione", secondo la buona filosofia scolastica, è composto due parti; una parte che inerisce al soggetto, come tutti gli accidenti, e una parte che, pur radicata nel soggetto, tende ad un altro da sé. Per esempio un figlio rispetto al padre: l'essere figlio è una caratteristica del soggetto: ma radicata nello stesso soggetto c'è un certa tensione, un certo rapportarsi al padre Analogamente, l'Israele ancora infedele ha irrevocabilmente radicata in sé una particolarissima relazione con Gesù Cristo, pur non ancora perfettamente in atto. Di una certa realtà di grazia presente ora nel popolo ebraico, nonostante il rifiuto, parla San Tommaso d'Aquino, commentando Rom 11,26: "...perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!" Insegna l'Aquinate "«Dono» viene preso qui come promessa, che si attua secondo la prescienza e la predestinazione di Dio. E «vocazione» viene qui presa come elezione, in quanto a motivo della certezza di entrambe, ciò che Dio promette in qualche modo già dà, e coloro che sceglie in qualche modo già chiama" (quod Deus promittit, iam quodammodo dat: et quos elegit, iam quodammodo vocat; Super Rom., cap. 11 l. 4, 926). Notiamo bene le parole di San Tommaso: "già" (iam) e "in un certo modo" (quodammodo): applicate al mistero di Israele, "già" indica la reale presenza di un realtà graziosa negli Ebrei, "in un certo modo" indica lo stato ancora incoativo e imperfetto di questa stessa realtà graziosa. Quindi in ogni ebreo è "già" presente la tensione verso l'essere reinnestato; e Israele, un tempo chiamato ad essere il popolo eletto, è ora "già" chiamato a ricongiungersi con Gesù Cristo. San Paolo anticipa che alla fine del mondo ciò si realizzerà in ampie dimensioni: "Allora tutto Israele sarà salvato come sta scritto: Da Sion uscirà il liberatore, egli toglierà le empietà da Giacobbe" (Rom 11, 24) Il "liberatore" è Gesù Cristo (Cf. J-N. ALETTI, Comment Dieu est-il juste? Paris 1991, p. 187-189). Quanto detto comporta forse che tutti gli Ebrei si salvano già ora? Qui solo Dio può giudicare la singola persona e San Tommaso ci fornisce ancora la risposta: "lo stesso dono temporale di Dio e la vocazione temporale di Dio non vengono ad essere indisponibili per un mutamento di Dio che si pente, ma per il mutamento dell'uomo che trascura la grazia di Dio, secondo Eb 12, 15: «Guardando che nessuno venga meno alla grazia di Dio»" (ibidem) Come ogni cristiano può rendere vana per lui la grazia di Dio, anche un ebreo può perderla: d'altra parte, - sempre secondo san Tommaso, che ben riformula un adagio teologico medioevale -, "Dio non nega la grazia a chi, mosso da Dio stesso, fa tutto quello che può" (facienti quod in se est - secundum quod est motus a Deo - Deus non denegat gratiam; cf Iª-IIae q. 109 a. 6 ag 2 e ad 2). E solo Dio ha le bilance per scrutare i cuori di ciascuno, Ebrei, Cristiani e chi altro; quindi solo Dio sa se un singolo ebreo rifiuta Cristo con o senza colpa. Solo se una verità viene infatti conosciuta come credibile, può e deve essere creduta. E, benché la Verità Cattolica sia oggettivamente credibile, possono esistere condizioni soggettive (la storia personale di ognuno) per cui essa è incolpevolmente rifiutata. Scriveva Giovanni Paolo II: "è evidente che, oggi come in passato, molti uomini non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del vangelo, di entrare nella chiesa. Essi vivono in condizioni socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati in altre tradizioni religiose. Per essi la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione" (Redemptoris Missio, 10).
3. La peggior forma di antisemitismo è quella di non annunciare Cristo unico Salvatore anche ai nostri fratelli Ebrei.
Se, per noi Cristiani, Gesù Cristo è tutto il bene in se stesso e da offrire al mondo, la peggior forma di antisemitismo è non annunciare Cristo agli Ebrei di oggi: fare del male è anche non fare il bene dovuto. Le cito, ad esempio, le conversioni di Ratisbonne (ad opera della Madonna) e dell'ex-rabbino Zolli (ad opera di Gesù Cristo; vedi nota in fondo alla pagina). La Madonna, quando apparve al beato Alfonso Ratisbonne, non gli ha detto: "prosegui pure nell'ebraismo, in modo parallelo alla Chiesa..., in una delle due forme possibili di adesione alla Rivelazione..." Questo piccolo numero di ebrei che sempre si è convertito alla religione cattolica fino ad oggi, costituisce il memoriale del "resto" di Israele (cf Rom 9, 27) entrato nella Nuova Alleanza, assieme alla massa dei pagani, per grazia. A meno che non vogliamo accusare Gesù Cristo e la Madonna di "proselitismo", questa è e sarà la via da percorrere sino alla fine dei tempi, quando sembra che la conversione in massa di Israele farà si che "tutto Israele sarà Salvato". E' anche vero che con il termine "proselitismo" talvolta si indica un modo sbagliato, irruento e irrispettoso di fare apostolato. Solo la carità è senza il giusto mezzo; è vero sì che dobbiamo annunciare Cristo "opportune et importune" (2 Tim 4, 2), ma anche annunciandolo "importune", bisogna farlo "prudentemente"; con la prudenza soprannaturale e non con la "prudenza della carne" (cf Rom 8, 6). E anche se siamo in un'epoca dove il rischio è quello opposto, ovvero quello di mancanza di zelo apostolico ("Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo", J.P. II, Redemptoris Missio, 2), dobbiamo sempre evitarne anche l'eccesso. E se, per quanto riguarda una scelta prudente, non si possono dare ricette, - in quanto una scelta prudente dipende quanto mai dalle circostanze -, si può trovare il presupposto di una "prudente inopportunità" nell'insegnamento di San Tommaso d'Aquino: commentando le parole della lettera ai Romani "quanto alla elezione, sono amati" (Rom 11,28), in analogia con il fatto che nel battesimo, dove tutti i doni di Dio - compresa la vocazione con la quale il battezzato è chiamato alla grazia - vengono dati senza pentimento del battezzato, l'Aquinate afferma che le suddette parole vengono scritte perché "non si disperi della salvezza futura dei Giudei a causa del fatto che non sembrano pentirsi del loro peccato" (Super Rom., cap. 11 l. 4, 927).
Diamoci dunque da fare perché ci siano nuovi Zolli, nuovi Ratisbonne, nuove Edith Stein etc. Un atteggiamento simile potrebbe sembrare una mancanza di rispetto nei confronti degli Ebrei, i quali ci potrebbero dire: "secondo voi, serviamo solo per essere convertiti". Al che rispondo con le recentissime parole di Benedetto XVI, pronunciate nella Sinagoga di Colonia il 19/8/2005: "Questo dialogo, se vuole essere sincero, non deve passare sotto silenzio le differenze esistenti o minimizzarle: anche nelle cose che, a causa della nostra intima convinzione di fede, ci distinguono gli uni dagli altri, anzi proprio in esse, dobbiamo rispettarci a vicenda. Infine, il nostro sguardo non dovrebbe volgersi solo indietro, verso il passato, ma dovrebbe spingersi anche in avanti, verso i compiti di oggi e di domani. Il nostro ricco patrimonio comune e il nostro rapporto fraterno ispirato a crescente fiducia ci obbligano a dare insieme una testimonianza ancora più concorde, collaborando sul piano pratico per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo e della sacralità della vita umana, per i valori della famiglia, per la giustizia sociale e per la pace nel mondo". Inoltre, se riteniamo vere le parole di San Paolo circa gli Ebrei, riteniamo vere anche le parole a proposito di noi gentili convertiti, pieni di vizi ("un tempo eravate stranieri e nemici con la mente intenta alle opere cattive che facevate"; Col 1, 21) e non certo chiamati per qualche merito. E san Paolo, mediante l'allegoria dell'innesto dell'oleastro selvatico sul ceppo buono, indica il grosso miracolo, quasi "contro natura", che il buon Dio ha dovuto fare per inserirci nell'Alleanza: infatti si innesta il ramo buono sul ceppo cattivo, e non viceversa. Inoltre sappiamo che prima della fine del mondo anche i Cristiani si corromperanno in una apostasia generale, sotto certi aspetti più grave dell'uccisione di Gesù, e avremo bisogno che Israele riconosca Gesù Cristo perché sussista la Chiesa. "Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia" (Rom 9,16). Cristiani ed Ebrei, siamo tutti sotto il peccato per avere entrambi misericordia! E ancora San Tommaso ci fornisce un'altra regola di prudenza pastorale: "quando uno vede di conseguire la grazia mentre un altro cade, non deve innalzarsi contro quest'ultimo, ma piuttosto temere per se stesso, in quando la stessa superbia è causa del precipitare e il timore è la causa della vigilanza e della precauzione". (Super Rom., cap. 11 l. 3, 902). Non possiamo concludere poi un qualsiasi discorso sul dialogo ebraico cristiano, senza alzare lo sguardo verso Maria SS.ma, perfetta Figlia Di Sion. Secondo San Tommaso, "ciò che è perfetto in un certo genere, è causa di tutto ciò che è nello stesso genere" ("Primum in quolibet genere est causa eorum quae sunt post"; Contra Gentes, l. III, c. 82). La Vergine Figlia di Sion è la perfetta Israelita, che ha accolto perfettamente, in Suo Figlio, la nuova Alleanza. E poiché Gesù non ha avuto la fede (in quanto aveva la visione beatifica), la Madonna è la Figlia di Israele con la massima fede storicamente realizzata; quindi - prima nel genere - è la causa della fede di tutti gli Israeliti. E il suo ruolo, già fondamentale nell'accettazione del Vangelo da parte del "resto" d'Israele fedele e del piccolo ma ininterrotto numero di conversioni che ci sono state fino ad ora (Ratisbonne docet), sarà ancora più straordinario quando "tutto Israele sarà salvato". Pensando a Maria, vengono poi in mente anche le aspirazione del Montfort, riguardo ai santi che la Madonna formerà negli ultimi tempi; sulla scia dei grandi desideri dei San Paolo per la conversione dei suoi fratelli (cf Rom 9, 1 ssqq.), possiamo applicare i sospiri del santo francese anche alla conversione di Israele: "Ma quando e come avverrà tutto questo?... Dio solo lo sa. Compito nostro è di tacere, pregare, sospirare e attendere: «Ho sperato: ho sperato nel Signore» (Sal. 40, 2)" - (San Luigi M. Grignion de Montfort, Trattato della Vera devozione a Maria, § 69).
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Ecco come Eugenio Zolli racconta l'esperienza mistica che ha suggellato il suo cammino di perfetta adesione a Gesù Cristo: «Era il Giorno dell'Espiazione nell'autunno del 1944, e stavo presiedendo alle liturgie religiose nel Tempio. [S] La sera c'era l'ultima funzione liturgica, ed ero là con due assistenti, uno alla mia destra e l'altro alla mia sinistra. Ma mi sentii così di gran lunga allontanato dal rituale che lasciai recitare agli altri le preghiere e il canto. Non sentivo nessuna gioia o dolore; era svuotato sia di pensieri che di sensazioni. Il mio cuore giaceva come morto nel mio petto. E subito dopo vidi con l'occhio della mente un prato stendersi in alto, con erba luminosa ma senza fiori. In questo prato vidi Gesù Cristo vestito con un mantello bianco, e oltre il Suo capo il cielo blu. Provai la più grande pace interiore. Se dovessi dare un'immagine dello stato della mia anima in quel momento direi: un limpido lago cristallino tra le alte montagne. Dentro il mio cuore trovai le parole: "Tu sei qui per l'ultima volta". Le presi in considerazione con la più grande serenità di spirito e senza alcuna particolare emozione. La replica del mio cuore fu: "Cosi sia, così sarà, cosi deve essere"» (EUGENIO ZOLLI, Prima dell'alba, a c. di Alberta Latorre, San Paolo, 2004, pp. 273-274).
Il punto a cui siamo arrivati dopo i documenti conciliari che rivalutano la religione ebraica e i tanti gesti di condivisione, che appare non solo di fraternità umana, bensì di commistione di fede, risulta sempre più difficile ribadire la dottrina della sostituzione e la necessità della conversione a Gesù Cristo.
RispondiEliminaBisognerebbe poter dire che:
1. perseverando nel rifiuto di Cristo, non possono più considerarsi il popolo di Dio, ma come insegna anche il vangelo (vedi parabola dei vignaioli)sono stati sostituiti.
2. continuando consapevolmente a rifiutare il compimento delle promesse in Gesù sono passibili dell'accusa di deicidio, poiché se tutti siamo responsabili della morte di Gesù, per i nostri peccati, molto più chi ne respinge anche oggi l'origine divina e l'insegnamento.o no?
3. l'irrevocabilità delle promesse di Dio non autorizza a credere che Dio salverà Israele prescindendo dalla sua fede, ma solo in vista della conversione finale.
Mi sembra che come cattolici sia indispensabile distinguerci da un popolo che ha molteplici espressioni religiose, ma attualmente sta prevalendo quella parte che usa la bibbia come manifesto per affermare una superiorità razziale, tanto da non aver nessun rispetto per le religioni e i popoli che si rivolgono con fede ai luoghi santi controllati dagli ebrei israeliani.
Non possiamo condividere la fede nello stesso dio che li giustifica quando opprimono i poveri e pretendono per diritto divino impossessarsi di una terra che è abitata anche da altri.
Vi scrivo per la prima volta e mi ritrovo in molte delle opinioni espresse su questo sito ad esclusione di certi estremismi verbali e critiche malevoli, per
RispondiEliminale quali gli autori mancano a mio avviso al primo dovere di ogni cristiano, cioè quello della carità anche verso coloro di cui non si condividano le opinioni.
L'argomento in oggetto mi interessa moltissimo: sono convinto che la "conversione" degli Ebrei sia fra i problemi più importanti, se non il più importante, per la Chiesa.
Ho scritto "conversione" ma il termine è scorretto e viene sempre usato dagli Ebrei per criticare la Chiesa quando prega (o pregava?) perché essi riconoscano Gesù come
Messia.
Al contrario nessun ebreo "convertito" si ritiene tale, ma spiega che la sua adesione alla fede cattolica o in generale al Cristianesimo è il coronamento della sua fede ebraica, di cui spesso continua a mantenere
giustamente le tradizioni. Forse in questo anche la Chiesa dovrebbe fare un'autocritica nel senso di aver troppo frettolosamente per motivi storici eliminato tradizioni ebraiche che avrebbero potuto essere conservate.
Pensiamo ad esempio, e qui spezzo una lancia in favore del CVII, al ritorno della lettura biblica che prima del Concilio veniva fortemente scoraggiata per i laici
normali (non per il clero e gli studiosi) per timore di personali e quindi errate (ma non si dice che lo Spirito soffia dove vuole?) interpretazioni.
Vorrei segnalare a chi non conosce questo sito (ma conosce l'inglese):
http://www.salvationisfromthejews.com/
la cui lettura mi ha commosso profondamente per la fede che viene espressa con una convinzione ed un impegno totale di cui forse solo un ebreo è capace e che chi nasce cattolico non riesce a percepire allo stesso modo.
Anche questo articolo di un altro "convertito" è molto interessante:
http://www.therealpresence.org/eucharst/scrip/a6.html
e riguarda tutti i riferimenti nella Bibbia alla futura istituzione dell'Eucaristia da parte di Gesù.
La Chiesa ha necessità di recuperare questa sapienza biblica!
Ritornando al problema della necessità della "conversione" degli Ebrei, Vi segnalo il grave episodio, sfuggito penso a molti, relativo ad un documento dell'agosto 2002 della Conferenza Episcopale Americana (Reflections on Covenant and Mission) nel quale appunto si diceva che non si doveva più fare proselitismo tra gli Ebrei, in quanto già salvi per
l'antica alleanza. Per fortuna il Vaticano con Giovanni Paolo II, e soprattutto con Ratzinger per l'incarico che allora rivestiva, non avvallò tale tesi.
Un'ebrea cattolica, Rosalind Moss, reagì a questa tesi con una lettera pubblica al Cardinale Keeler, che pur nella gentilezza della forma, era molto forte nella
sostanza con argomenti analoghi a quelli espressi nel vostro articolo.
Vi consiglio anche questa per la passione della scrivente e la forza delle argomentazioni:
http://www.remnantofisrael.net/main.cfm?r1=82.00&ID=24&level=1
Con fraterna amicizia
don Gian Luigi, il termine deicidio va soggetto a due interpretazioni, una restrittiva ed una estensiva?
RispondiEliminaRestrittiva limitata al solo Sinedrio e a Plato che proposero i primi la condanna a morte di Gesù e il secondo l'avallò?
Estensiva si riferisce a tutti indistintamente,anche a me e a te perchè con i ns. peccati abbiamo concausato lamorte di Gesù? Te lo chiedo perchè pensavo che l'accusa di deicidio potesse essere rivolta solo agli esecutori materiali della condanna a morte di gesù. Alessandro
Alessandro, per il problema della responsabilità del popolo ebraico (e sottolineo popolo) leggi l'ottimo saggio di Brunero Gherardini che si tova in rete: Sugli ebrei, così serenamentre. trovi tutte le risposte che furono sempre della Chiesa sino ai contorcimenti della Nostra Aetate.
RispondiEliminaToutes les négations postconciliaires, jointes à tous les dérobades talmudiques, ne pourront jamais (jamais) annuler la doctrine traditionnelle de l’Église concernant la nécessité de la conversion des Juifs, doctrine fondée sur l’enseignement du Christ lui-même, magnifiquement repris par Pierre, devant les Onze, le jour de la Pentecôte:
RispondiEliminaAtti 2
22 Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete -, 23 dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. 24 Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere.
[…]
36 Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!». 37 All'udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». 38 E Pietro disse: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. 39 Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». 40 Con molte altre parole li scongiurava e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa». 41 Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone.
Don Gianluigi, mi riferisco al punto 5 del tuo intervento. Scindiamo l'aspetto teologico da quello politico. Il neohitlerismo dell'Iran e di molti altri musulmani (Hamas, Siria, talebani, hezbollah, sciiti libanesi) se non fermato in tempo porterà, presto o tardi, alla distruzione di Israele che è l'unico Stato di quella regione che ha un ordinamento completamente democratico. Smettiamola di raccontarci la favoletta del povero popolo palestinese. Non si è mai giunti alla pace neppure nel 1993 e neppure con Bush jr. perchè i dirigenti politici di O.L.P. (corrotti all'ennesima potenza e che affamano il prorio popolo) e Hamas non la volevano. Loro vogliono una pace tutta islamica dove non deve esistere neppure un ebreo. E una volta liquidati gli ebrei, sarà facilissimo liquidare fisicamente per sempre i cristiani. Alessandro
RispondiEliminaCaro anonimo delle 11.51, benvenuto (anche se uno pseudonimo potresti sceglierlo...) e grazie per le pertinenti osservazioni.
RispondiEliminaSiccome filosemiti, la conversione degli Ebrei e, in particolare, il movimento Jews for Jesus sta particolarmente a cuore anche a noi.
Sul piano politico (e non solo), d'accordo interamente con Alessandro. Gli Ebrei saranno pure particolarmente petulanti, eccome! (la loro critica al Papa perché ha parlato di ebrei "uccisi" anziché "sterminati" raggiunge vette da teatro dell'assurdo), ma il vero pericolo del futuro, su scala mondiale, sarà l'estremismo islamico, per non dire l'islamismo tout court, visto che in quella religione il fondamentalismo violento è connaturato e genetico.
Concordo con Alessandro e con la Redazione sul pericolo rappresentato dagl'islamici. Non "dialogo" è nel dna islamico, ma la conquista e la schiavitù e lo sterminio di coloro che non si convertono.
RispondiEliminaQuanto alla conversione degli ebrei, essa consiste nell'accettare Cristo ed entrare nella Chiesa, e quindi nel "convertire" la loro interpretazione ed esperienza
dell'Antico Testamento comprendendone la funzionalità al Nuovo. E' Cristo il punto d'arrivo dell'AT. Per questa certezza i Giusti si son salvati.
Tutto ciò che di valido ancor oggi c'è nell'AT sopravvive nel Nuovo, nella dottrina Cattolica, nel Magistero ecclesiastico.
La Chiesa è il Nuovo e vero Israele a favore del quale divennero realtà tutte le antiche promesse divine.
Ci sarebbe un altro fatto da tenere presente a proposito della sostituzione: l'ebraismo ha perduto la sua istituzione portante, ovvero il culto (e il sacrificio, il sacerdozio...). Questo avviene con la distruzione del Tempio nel 70 d. C., guarda caso in concomitanza con la nascita del culto e del sacerdozio cristiano.
RispondiEliminaNo, cari Alessandro, Dante e Redazione, non condivido la vostra opinione sullo stato d'Israele (da distinguere dagli ebrei)e la sua politica. Anch'io la pensavo come voi, ma da quando ho avuto la testimonianza di ciò che fa Israele, non dalla stampa addomesticata, ma direttamente dal parroco di Gaza, non ci sto più. Israele persegue una politica di espansionismo e di vittimismo. Di espansionismo, perché da quando è stato creato si è sempre allargato i confini e non ha mai rispettato le risoluzioni dell'ONU che lo richiamavano al rispetto del diritto internazionale. Di vittimismo, perché giustifica ogni azione violenza come legittima difesa contro popolazioni in preda alla miseria.
RispondiEliminaCiò che più mi ha spaventato è, però, leggere le dichiarazioni di rabbini molto noti in Israele che danno un fondamento teologico e biblico al razzismo sotteso a questa politica, senza che alcuno li smentisca.
Ma lascio la parola al parroco di Gaza (la traduzione è di P. Giovanni Scalese, il testo integrale lo trovate qui http://querculanus.blogspot.com/search?updated-max=2009-03-20T04%3A12%3A00%2B01%3A00&max-results=20
Charles Colton disse una volta: "L'esperienza ci insegna due cose, la prima è di correggere molto, e la seconda è di non esagerare nel farlo". Israele ci sta correggendo molto. Israele, il nostro vicino a Gaza, non è stato capace di regolare le relazioni con i suoi vicini. Esso corregge il popolo palestinese specialmente perché sostiene che i palestinesi si oppongono al suo ritorno alla "Terra Promessa". Ci sta correggendo, noi palestinesi, con la guerra, i massacri, i crimini di guerra e la deportazione. Ha distrutto le nostre case, le nostre fattorie e i nostri villaggi, e ha stabilito insediamenti su di essi. Ha sradicato centinaia di migliaia di olivi e aranci produttivi, e ci ha proibito di fare il raccolto dai nostri campi. Ha aperto circonvallazioni e ha eroso le nostre terre. Ha distrutto, frammentato e isolato le nostre città, villaggi e campagne. Ha costruito e istallato centinai di checkpoints per scombussolare le nostre vite. Ci ha impedito di raggiungere i nostri santi luoghi di culto a El Aqsa, alla Natività e al Santo Sepolcro. Ha costruito il muro dell'apartheid intorno alla Cisgiordania, Gerusalemme e Gaza. Il muro non ci separa forse dagli altri e i ponti non sono forse luoghi di incontro? Ha spezzato le nostre ossa e proibito cure e medicazioni. Ha assassinato i nostri capi in diversi modi. Abbiamo vissuto sotto le tende, e ci ha proibito i mezzi di vita e di lavoro. Ci circonda con un assedio che blocca la nostra vita quotidiana. Ci ha gettati in un ghetto senza acqua, elettricità, medicine, cibo e lavoro. Stiamo morendo di una morte lenta. Dovevamo "diventare affamati e assetati fino alla soglia della morte senza oltrepassarla...
Caro don Luigi,
RispondiEliminaio non ho espresso alcun giudizio sulla politica di Israele. Ho semplicemente detto che ero d'accordo con Redazione e Alessandro sul pericolo di conquista mondiale dell'Islam, che ormai si manifesta nelle forme e di invasione ad opera dei "migranti" e di guerra sanguinosa di predominio e sterminio come dimostrano Somalia, Sudan, ecc.ecc.
Il pericolo di sopraffazione e di volontà di estinzione degl'infedeli non fa parte della "politica" israeliana, ma di quella islamica sì.
Il mio intendimento era mettere in luce non tanto l'aspetto "politico" quanto quello della violenza conquistatrice religiosa, in nome di Allah.
Trovo le parole del Rabbino (postate dalla Redazione) insinuose e atte a mettere il Papa di fronte ad una scelta compiuta, come dirgli: "è così si o no?"
RispondiEliminaA quanto pare il Papa non sembra aver dato una risposta...ma non gli ha dato neppure neppure ragione, non ha dato ragione a questa falsa interpretazione sulla questione della Teologia della sostituzione...
La risposta di don Morselli è impeccabile...inoltre io credo che il problema sia più NOSTRO che "loro"...cioè, sono i cattolici che NON testimoniano più la Verità la quale, in mezzo agli uomini (non in sè stessa) SI E' INDEBOLITA...
gli anni in cui si è fatto un falso ecumenismo per altro riconosciuto come errore già con Ratzinger attraverso la Dominus Jesus, ci rammenta che le stesse pretese avanzate da questo Rabbino, provengono dal nostro stesso INDEBOLIMENTO....
è necessario riportare l'interpretazione del Concilio nella sua giusta opera come citato nell'ultimo thread postato dalla Redazione con il bellissimo testo di padre Tomas Tyn lincato....
Fraternamente CaterinaLD
don Gianluigi, non ti ricordi che nel 1970 i palestinesi (ovviamente sempre e solo vittime del sionismo) cercarono di far implodere la Giordania? Non ti ricordi che re Hussein li cacciò proprio per evitare l'implosione? Non ti ricordi che i palestinesi dalla Giordania andarono in Libano e lì si che riuscirono a far implodere il demecratico e pacifico Paese dei cedri? Hai la memoria corta? E che dire dei palestinesi di Gaza che a grande maggioranza hanno votato per il nuovo Hitler che si chiama Hamas? Che dire del parroco di Gaza? E' un uomo dal coraggio a senso unico perchè non racconta le malefatte della premiata ditta terroristica Hamas che da quasi tre anni tiene prigioniero un soldato israeliano senza aver mai voluto rilasciarlo, ammesso che sia ancora vivo. Sicuramente al parroco di Gaza non potrà essere attribuito il titolo di Cuor di Leone. Egli è un illuso. Hamas se la ride di lui perchè presto o tardi lo farà fuori fisicamente, in barba alle sue dichiarazioni anti israeliane. Alessandro
RispondiEliminale dichiarazioni del parroco di Gaza mi ricordano quelle dei preti cecoslovacchi che aderivano all'associazione (voluta e controllata dal Partito) Pacem in terris: servi del regime e quinta colonna del Partito all'interno della Chiesa. Quando hamas sarà definitivamente padrona di Gaza Hamas lo liquiderà (fisicamente). Dai nipotini di Hitler cosa dobbiamo aspettarci di buono?Perchè il parroco di Gaza non dichiara anche che era intenzione di Hamas applicare la sharia o fa finta di non saperlo? Alessandro
RispondiEliminaNon dimentichiamo neppure che il vescovo Hilarion Capucci contrabbandava armi a danno di Israele e giunse a far un' esaltazione dei terroristi-suicidi.
RispondiEliminaIl che non significa che Israele sia terra di santi e santi siano i suoi governanti.
Situazione caotica, difficile a districarsi dove le ragioni diventan torto ed i torti ragione.
La formazione di due stati sarebbe una via per la soluzione di un sì grave problema. E io rimango sempre dell'idea , che fu di Pio XII - anche per questo calunniato -di Gerusalemme città libera, internazionale.