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giovedì 15 gennaio 2009

Parole chiare sulla crisi del sacramento della confessione


Dall'agenzia Zenit, traiamo questo estratto dell'intervista al Vescovo reggente del Tribunale della Penitenzieria Apostolica, Mons. Girotti.


Intervistatore: A partire dagli anni Settanta il sacramento della confessione è stato meno praticato. In alcune parti del mondo è stato quasi cancellato. Qual è la situazione oggi?


Mons. Girotti: Credo doveroso tener presente che la pastorale della confessione, attraverso gli anni successivi al Concilio di Trento è stata sempre molto accurata e sono state sempre operate scelte ben precise dentro l’alveo determinato da questo Concilio.
E’ bene ricordare anche che questo Concilio è stato il Concilio che ha esposto con chiarezza e in forma organica la dottrina e il pensiero della Chiesa Cattolica sul sacramento della penitenza. La riforma di “mentalità” sul sacramento della penitenza e sull’atteggiamento penitenziale in genere è avvenuta grazie ad alcuni documenti emanati dalla Santa Sede in seguito al Concilio Ecumenico Vaticano II.
Ne accenno solo alcuni: ad esempio la Costituzione Apostolica “Paenitemini” del 17 febbraio 1966, la Costituzione Apostolica “Reconciliatio et paenitentia”, emanata da Giovanni Paolo II nel 1984, che costituisce la sintesi delle riflessioni effettuate dal Sinodo dei Vescovi proprio sul sacramento della riconciliazione.
Tutti questi documenti segnano indubbiamente un’epoca decisiva per gli orientamenti nuovi dati in seguito al Concilio, e sono contemporaneamente al limite di un’epoca di profondi mutamenti non solo ecclesiali, ma di mentalità, mutamenti che hanno profondamente inciso sulla pratica del sacramento della riconciliazione.
E’ del tutto indubitabile che nella Chiesa d’oggi la posizione del sacramento della penitenza non è delle migliori né sul piano della pratica, né sul piano della comprensione.
La riforma preconizzata dal Vaticano II e attuata negli ultimi anni, si riferisce prevalentemente al rito, e parrebbe che non sia riuscita a ridar vita né alla comprensione teologica né alla fede di questo sacramento. Anche se non sono mancati tentativi e sforzi da parte di più Conferenze episcopali che hanno tentato soluzioni, raccomandando soprattutto una moltiplicazione delle forme della penitenza. In più parti si è tentato e si tenta di promuovere l’interesse per la confessione.
Alcune diocesi hanno promosso campagne per incoraggiare il ricorso a questo sacramento. Purtroppo, è pur vero, ai nostri giorni questo sacramento, così fondamentale per la salute e la santificazione delle anime, pare investito da una preoccupante crisi. Si tratta di un fenomeno che non riguarda semplicemente la generalità dei fedeli poco istruiti in religione. Volendo fare una rapida diagnosi di disistima e disamore verso questo sacramento, mi limiterei a segnalare:
a) Un certo calo della comprensione sacramentale del pensiero sacramentario preso in complesso, cioè il calo di ciò che è sacramentale. E’ stato scritto di recente che molte persone non conoscono i fondamenti teologici che potrebbero far maggiormente comprendere e apprezzare la confessione. Da sempre la confessione è un sacramento notevolmente impegnativo e faticoso, è un sacramento che nel suo sviluppo esteriore e nella sua formazione ha subito maggiori mutazioni.
b) Un aspetto fondamentale, che genera novità nell’amministrazione del sacramento della penitenza è certamente il modo nuovo di concepire il peccato, l’affievolirsi del senso del peccato. Vi è una perdita del senso del “peccato morale”. Già Pio XII aveva affermato: “Forse il più grande peccato nel mondo di oggi è proprio quello di aver perso il senso del peccato”.
c) Il senso del peccato viene innanzitutto perché manca il senso dell’offesa a Dio; in un mondo secolarizzato la sua presenza non è ritenuta rilevante;
d) In base ad alcune affermazioni della psicologia, emerge la preoccupazione di non colpevolizzare e di non porre freni alla libertà.

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