Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1312 pubblicata da Paix Liturgique il 5 dicembre, in cui si presenta il nuovo libro di don Claude Barthe, liturgista e cappellano del Pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum: «una breve analisi critica dei nuovi rituali, riformati sulla scia del Missale Romanum di San Paolo VI» che confronta «i testi dei vecchi e dei nuovi Rituali dei Sette Sacramenti».
«Questa rapida panoramica […] immerge il lettore in un abisso di perplessità. Come si possono privare i fedeli dei tesori della tradizione della Chiesa?».
Lorenzo V.
Don Claude Barthe è ben noto ai lettori di Paix Liturgique. Da molti anni contribuisce con libertà di tono e manifesta erudizione alla difesa dell’ecosistema tradizionale. Arricchendo l’arsenale di difesa della tradizione della Chiesa con i suoi articoli, il sito da lui diretto Res Novae – Perspectives romaines, lettera di analisi e prospettive (resnovae.fr), nonché con le sue opere, don Barthe ha acquisito nel corso degli anni un’autorità che, sebbene non condivisa da tutti, porta almeno a un costante commento delle sue pubblicazioni. Si potrebbero citare la serie di Carnets proposti negli ultimi anni da L’Homme Nouveau nella sua collana Hora Decima, che sono altrettante riflessioni su temi di attualità religiosa. Tra gli altri, La Messe à l’endroit (2010), La tentation de ralliement (2022) [QUI: N.d.T.], L’Église demain (2024) [QUI: N.d.T.] e, più recentemente, nello stesso formato, la riedizione della lettera enciclica Quas primas sulla regalità di Cristo di Papa Pio XI accompagnata da una notevole introduzione. Nel 2018, sulla scia dei suoi numerosi studi liturgici, don Barthe aveva pubblicato presso Via Romana un capolavoro, La Messe de Vatican II [QUI: N.d.T.], che presenta il grande interesse di ricollocare la riforma liturgica nel suo contesto, di esporre i fatti e di mostrare quanto il modo in cui il nuovo Missale Romanum sia stato non rifuso ma composto sotto il Pontificato di San Paolo VI, non abbia precedenti.
Recentemente, la casa editrice Contretemps (casa editrice dei nostri amici dell’associazione Renaissance Catholique) ha pubblicato il suo ultimo libro, una breve analisi critica dei nuovi rituali, riformati sulla scia del Missale Romanum di San Paolo VI Les sept sacrements, d’hier à aujourd’hui [I sette sacramenti, da ieri a oggi, QUI: N.d.T.].
Uno studio benvenuto in un contesto di privazione dei Sacramenti tradizionali
Accessibile sia per il prezzo (10 euro) che per il numero di pagine (98), lo studio di don Claude Barthe va dritto al punto e si limita a confrontare i testi dei vecchi e dei nuovi Rituali dei Sette Sacramenti. Se il Sacramento della Messa ha alimentato una prolissa bibliografia dalla riforma liturgica (si pensi in particolare a La nouvelle Messe di Louis Salleron [QUI: N.d.T.] o al famoso Breve esame critico del Novus Ordo Missae del card. Alfredo Ottaviani e del card. Antonio Bacci), è la prima volta che la riforma del Rituale dei Sette Sacramenti viene analizzata in modo sintetico in un unico studio.
Va detto che il severo giro di vite liturgico dato dalla lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis custodes sull’uso dei libri liturgici anteriori al Concilio Vaticano II sotto il pontificato di papa Francesco (e non sempre veramente allentato da Papa Leone XIV, anche se una serie di deboli segnali possono far sperare in questo senso) ha notevolmente intaccato la libertà dei fedeli di poter partecipare non solo alla Santa Messa tradizionale, ma anche, purtroppo, di poter beneficiare degli altri sei Sacramenti secondo il Rituale Romanum tradizionale. In questo contesto di persecuzione e disprezzo nei confronti dei fedeli desiderosi di vivere la loro fede secondo gli antichi libri liturgici, lo studio di don Claude Barthe rende loro giustizia.
Perché è questo, senza dubbio, il messaggio principale dello studio di don Claude Barthe: l’amore prende sempre tutto, non può scegliere. In questo spirito, quando ai battezzati viene riconosciuta la possibilità di vivere la Santa Messa nella sua forma tradizionale (anche se questa possibilità è notevolmente ostacolata nel contesto attuale, come già detto), è gravemente incoerente che questa possibilità, per ricaduta, non sia concessa agli altri Sacramenti. Perché? Semplicemente perché la Santa Messa, secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa (sostenuto in questo dal contributo teologico riconosciuto e stimato di San Tommaso d’Aquino), è considerata il Sacramento santo e augusto. La Messa, che contiene Gesù Ostia, autore stesso dei Sacramenti, vede così gli altri sei Sacramenti come suoi satelliti e direttamente orientati verso di essa, verso l’Eucaristia.
In questa logica, i riformatori della Messa hanno proseguito la loro opera per quanto riguarda gli altri sei Sacramenti, facendo propri proprio i principi che avevano prevalso nella creazione della nuova Messa.
Buona fede e buon senso del Rituale Romanum tradizionale
Ma allora, per quanto riguarda i fedeli legati alla liturgia tradizionale, cosa può esserci? È ovviamente coerente voler far respirare la propria anima non solo nella Santa Messa tradizionale, ma anche nello spirito tridentino dell’antico Rituale Romanum degli altri Sacramenti. Al di là della porosità che esiste oggi, specialmente tra i giovani, tra l’universo liturgico moderno e quello tradizionale, non ci si illuda: molti di coloro che sono tornati alla pratica religiosa o si sono convertiti sono animati dall’istinto della buona fede e del buon senso. Entrambi li portano a dire, senza essere «strumentalizzati» dal clero tradizionale o dalle associazioni tradizionali, che è nei vecchi vasi che si fanno le migliori marmellate. Non hanno nulla contro l’universo di San Paolo VI, ma la loro scelta è fatta. Il loro ritrovato amore per il buon Dio li porta ad accettare tutto, non solo la Santa Messa tradizionale, ma anche gli altri Sacramenti e tutto ciò che ne consegue.
Del resto, ciò che colpisce leggendo i diversi capitoli del libro di don Claude Barthe è la differenza di spirito, latente, che sta alla base dei cambiamenti rituali (parole sacramentali, cerimonie ecc.).
Così, la modifica del Battesimo soddisfa i moderni, infastiditi dai dogmi «duri» come l’Inferno, il Purgatorio e soprattutto il peccato originale. Il risultato è un tono meno solenne e, soprattutto, una vera e propria elusione della battaglia contro il demonio. Su questo registro, il confronto tra i due Rituali non presenta alcuna contraddizione, sostenuto in particolare dalla citazione di una domanda dello stesso San Paolo VI che lascia riflettere… In seguito alla pubblicazione del nuovo Ordo baptismi parvulorum, San Paolo VI aveva affermato: «Forse abbiamo sbagliato a sopprimere gli esorcismi».
La Cresima riformata assomiglia più a una festa gioiosa che a un’investitura sobria e solenne che segna l’ingresso soprannaturale del cresimando nell’età adulta. Dal punto di vista dello stile liturgico, la cerimonia riformata della Cresima «innova formalmente dall’inizio alla fine, come per principio», spiega don Claude Barthe. Nel testo, colpisce la massima molteplicità di opzioni nella nuova Cresima.
Per il Sacramento della Penitenza, diventato quello della Riconciliazione, l’autore ricorda quanto, prima del crollo della pratica della Confessione, le permanenze al confessionale occupassero una parte considerevole del ministero dei sacerdoti. Oltre alla semplificazione delle formule, si scopre con un certo stupore che, nel nuovo Rituale Romanum, la preghiera conclusiva dell’assoluzione nel rito tradizionale è stata semplicemente soppressa in quello nuovo. Non c’è più la formula che dice al penitente: «Che la passione di nostro Signore Gesù Cristo, i meriti della beata Vergine Maria e di tutti i santi, tutto ciò che avete fatto di buono e sopportato di doloroso, vi procuri una maggiore abbondanza di grazie, il perdono dei vostri peccati e soprattutto la corona della vita eterna. Così sia».
L’Estrema Unzione, che diventa il Sacramento degli infermi, ha subito una radicale revisione. A tal punto che nel suo studio universitario incentrato sulle trasformazioni del rituale cattolico dei morenti, Guillaume Cuchet osserva: «La sdrammatizzazione della morte cristiana e il silenzio sulle ultime cose sono la versione cattolica di questo nuovo tabù, poiché la Chiesa ha rotto con il suo antico discorso sulla morte».
Per quanto riguarda il Sacramento dell’Ordine, si scopre che i riformatori hanno imposto all’antico Rituale Romanum non solo una cura dimagrante, ma anche una certa edulcorazione delle formule. Ad esempio, quella della porrezione (presentazione) al nuovo sacerdote del calice contenente vino mescolato con acqua che porta una patena con un’ostia. Le parole del Rituale Romanum tradizionale sono particolarmente esplicite: «Ricevi il potere di offrire un sacrificio a Dio e di celebrare le messe per i vivi e per i defunti», mentre nel Rituale Romanum moderno diventano «Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conferma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore».
Per il Matrimonio, lo scambio dei consensi degli sposi dà l’impressione di una redazione maldestra, che vuole dire troppo perché troppo preoccupata di adattarsi alle persone. I riformatori hanno voluto comporre uno scambio meno sobrio ma più sentimentale.
Questa rapida panoramica (che merita, come si capisce, di essere approfondita leggendo l’opera di don Claude Barthe) immerge il lettore in un abisso di perplessità. Come si possono privare i fedeli dei tesori della tradizione della Chiesa?
Un chiaro appello a un vero dibattito liturgico
Nella sua erudita prefazione, mons. Athanasius Schneider O.R.C., Vescovo ausiliare di Maria Santissima in Astana, cita abbondantemente estratti dalle memorie di dom Boniface Luykx O.Praem. (1915-2004). Questo monaco belga bi-ritualista fu un membro influente del movimento liturgico preconciliare, uno studioso di fama mondiale, collaboratore della fase preparatoria del Concilio Vaticano II, esperto durante le quattro sessioni del Concilio e membro della commissione vaticana che elaborò i nuovi riti dei sacramenti. La sua diagnosi ha il merito di essere chiara: «La nuova liturgia è spesso così ridotta allo stato di scheletro che perde non solo il suo valore rituale, ma anche il suo fascino per la fede dei ministri e dei fedeli. Una liturgia così impoverita si integra perfettamente in un contesto secolare, ma non si inserisce nella continuità della tradizione cristiana».
Naturalmente, alcuni potrebbero deplorare nel corso delle pagine l’uso ripetuto di aggettivi che considerano diffamatori: «cerimonia impoverita», «formula indigente», «rito debole», «il chiaro è sostituito dall’inafferrabile, il vero dal vago». Superata la contraddizione affettiva di coloro che utilizzano i nuovi Rituali e che potrebbero sentirsi feriti, è auspicabile che queste pagine di analisi siano soprattutto per loro l’occasione per una riflessione approfondita. Perché è di questo che si tratta. Lo scopo di questa breve analisi critica non è ovviamente quello di attaccare le persone che vivono nell’universo del nuovo Rituale Romanum, ma di aprire un interrogativo liturgico. Questo studio comparativo tra il nuovo e il vecchio rito dei Sacramenti è anche l’occasione per far valere i diritti dei poveri della Chiesa, ai quali troppo spesso viene impedito di accedere alla ricchezza del rito tradizionale, in particolare per i Battesimi, le Cresime e i Matrimoni. Una ricchezza che ha reso felice la fede di molte generazioni e che non ha alcun motivo di essere messa sotto una campana di vetro. Che sia chiaro.
