Grazie a Roberto de Mattei per queste riflessioni sul grande Papa Gregorio VII.
Luigi C.
28-7-25
Il pontificato di san Gregorio VII (1073-1085), Ildebrando di Soana, costituisce uno dei punti apicali del Medioevo cristiano. Culmine del pontificato gregoriano è il Dictatus Papae, una raccolta di ventisette sentenze, che definiscono le prerogative del Papa e le sue relazioni con l’autorità temporale, proclamando la superiorità del Pontefice sull’Imperatore nel campo religioso e morale e rivendicando al Papato il ruolo di potere più elevato ed eminente sulla Terra. L’opera fu scritta probabilmente tra il 1075 e il 1078, nel momento del più duro contrasto con il sovrano tedesco Enrico IV, non ancora Imperatore di Germania, che aveva avviato la cosiddetta lotta delle investiture contro la Chiesa.
“Il Romano Pontefice – afferma san Gregorio VII – è a buon diritto chiamato universale” (n. 2); “il suo titolo è unico al mondo” (n. 11); “una sua sentenza non può essere riformata da alcuno; al contrario, egli può riformare qualsiasi sentenza emanata da altri” (n. 18); “nessuno lo può giudicare” (n. 19); “la Chiesa Romana non ha mai errato né mai errerà per l’eternità, secondo la testimonianza delle Scritture” (n. 22); inoltre, al Papa “è lecito deporre gli imperatori” (n. 12) e “egli può sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso gli iniqui” (n. 27).
Sul piano teologico, facendo appello alla sua qualità di pastore universale, Gregorio respinge l’affermazione che il Soglio pontificio non possa scomunicare i re e sciogliere i loro sudditi dal vincolo di fedeltà. La dottrina di san Gregorio VII si fonda sulle parole con cui Nostro Signore investì san Pietro del potere di legare e di sciogliere sia in terra che in Cielo, nonché su diversi passi di Gregorio Magno e di altri scrittori, chiedendosi come sia possibile sostenere che chi ha il potere di aprire e di chiudere le porte del Cielo non abbia quello di giudicare le cose di questo mondo. Pietro, secondo Gregorio, è stato costituito sovrano sui regni del mondo e a lui Dio ha assoggettato tutti i principati e tutte le potestà della terra, dandogli il potere di legare e di sciogliere in cielo e in terra. I re e gli imperatori non sono esenti da quella legge divina e naturale a cui sono soggetti tutti gli uomini e di cui la Chiesa è custode.
In coerenza con queste affermazioni, durante il sinodo del febbraio 1076, Gregorio VII destituì e scomunicò il re di Germania Enrico IV, dispensando i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà, La scomunica e la deposizione di Enrico venne rinnovata nel Sinodo Romano del 1080 in cui Gregorio confermò l’elezione imperiale di Rodolfo di Svevia.
Quando nel 1119 a Cluny, fu eletto Papa, con il nome di Callisto II (1119-1124), l’arcivescovo di Vienne, Guido di Borgogna, egli si richiamò all’insegnamento di Gregorio VII e il 29 e il 30 ottobre dello stesso anno in un grande sinodo tenuto a Reims alla presenza di più di 400 vescovi, rinnovò la condanna dell’imperatore Enrico V, figlio di Enrico IV. Mentre il Papa pronunciava le parole di scomunica, i quattrocento vescovi spezzarono i ceri che tenevano in mano. Il Concordato di Worms, che nel 1122 pose fine alla lotta delle investiture, riconobbe alla Chiesa la sua diretta supremazia universale sul piano spirituale e il suo potere indiretto sul piano temporale. Callisto II poté quindi tenere, nel marzo 1123, il IX Concilio Ecumenico in Laterano, che fu anche la prima assise di tutti i vescovi tenuta in Occidente. In essa fu solennemente confermato il nuovo accordo fra Chiesa e Impero.
Ha fatto discutere l’ottava sentenza del Dictatus Papae, secondo cui “Solo il Papa può usare le insegne imperiali”. Eppure questa affermazione racchiude tutta la teologia politica del Medioevo. La Chiesa non è solo la suprema autorità spirituale, ma è anche la fonte di quella imperiale e possiede un duplice mezzo coercitivo, quello spirituale (le censure ecclesiastiche) e quello materiale, il diritto alla vis armata, che costituirà il fondamento giuridico-canonico delle Crociate, proclamate, in nome di questa autorità, dai Romani Pontefici. Questa tesi sarà enunciata, tra gli altri, da san Bernardo di Chiaravalle, quando nel trattato De consideratione, ricorda a papa Eugenio III come entrambe le spade, tanto quella spirituale, quanto quella materiale appartengono al Papa e alla Chiesa. Nell’arte dell’epoca il Papa è sempre raffigurato al vertice: l’Imperatore sta alla sua sinistra, un gradino sotto, e ancora al di sotto dell’Imperatore stanno tutti i re e sovrani della sfera temporale, e poi, via via, tutti i membri della gerarchia cattolica che governa la sfera spirituale.
Da questa dottrina, discende il potere di scomunica e di deposizione dei sovrani, che oltrepassa il Medioevo. Nel 1535, il papa Paolo III dichiarò privato del regno il re d’Inghilterra Enrico VIII, e san Pio V, il 25 febbraio 1570, pronunciò contro la regina Elisabetta Tudor una sentenza in cui, in nome dei poteri a lui conferiti, la dichiarava rea d’eresia, incorsa nella scomunica, e perciò decaduta dal suo preteso diritto alla corona inglese: i suoi sudditi non erano legati dal giuramento di fedeltà verso di essa e sotto pena di scomunica non potevano prestarle obbedienza.
San Roberto Bellarmino nel quinto libro del De Romano Pontifice, spiega che il Papa, pur non avendo, di diritto divino, una giurisdizione temporale diretta, possiede una estesa giurisdizione indiretta, che il Dottore gesuita fonda anche sul Dictatus Papae di san Gregorio VII. Questa posizione sarà considerata quella del Magistero della Chiesa da due eminenti giuristi del Novecento, quali il padre Luigi Cappello e il cardinale Alfredo Ottaviani, nei loro manuali di Diritto pubblico ecclesiastico, su cui si è formato il clero fino ad epoche recenti. Il cardinale Alfonso Maria Stickler l’ha confermata nei suoi studi di storia del diritto canonico. Il potere di scomunicare e deporre un principe deriva dalla plenitudo potestatis della Chiesa, fondata sul suo potere di sciogliere e di legare.
Il Dictatus Papae di Gregorio VII costituisce dunque, al pari di altri celebri documenti, come la bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII e il Sillabo di Pio IX, un testo imprescindibile per comprendere il pensiero della Chiesa sui rapporti tra l’ordine spirituale e l’ordine temporale.
San Gregorio VII diede il nome alla più profonda riforma della Chiesa del Medioevo, una autentica riforma spirituale e morale, fondata anche sulla plenitudo potestatis, la pienezza di potestà del Vicario di Cristo. Gregorio VII avrebbe voluto completare la sua riforma spirituale indicendo una grande crociata contro gli infedeli, ma spettò ad uno dei suoi discepoli, il beato Urbano II, benedettino cluniacense, l’onore di proclamarla per primo. Dallo spirito di riforma gregoriana e cluniacense nacque, al grido di “Dio lo vuole”, l’epopea delle Crociate, la pagina più luminosa della Chiesa, tra l’XI e il XIII secolo.
