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sabato 2 agosto 2025

“La Parola sminuita: protestantizzare Genesi 18 è un errore.Commento alla Prima Lettura di Domenica 20 Luglio 2025”

Grazie ad Investigatore Biblico per questo commento alle letture NOM della CEI.
Luigi C.


19/07/2025

Abramo sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno, quando alzando gli occhi vide tre uomini che stavano dinanzi a lui. Così comincia la prima lettura della Messa di domenica 20 luglio 2025, tratta dal capitolo diciottesimo del libro della Genesi. Il contesto è uno di quelli che più affascina e interpella il lettore biblico: l’incontro misterioso tra Abramo e questi tre personaggi, che appaiono come uomini ma parlano con autorità divina. La tradizione cristiana, fin dai primi secoli, ha visto in questo episodio un’apparizione del Signore stesso, un’epifania velata ma reale di Dio.
Subito dopo l’apparizione, Abramo esclama: “Signore" – in ebraico אֲדֹנָי (Adonài) – rivolgendosi non a uno dei tre, ma a Dio stesso. Questa parola, nel testo ebraico, è scritta con quella particolare forma che si utilizza solo per riferirsi al Signore Dio. Non è un generico "signore", né un’espressione di cortesia orientale. È il nome con cui Israele ha imparato a rivolgersi a Dio in sostituzione del Tetragramma sacro. E così l’hanno inteso anche i traduttori della Settanta, che hanno tradotto "Κύριε" (Kýrie), con l’iniziale maiuscola, segno del riconoscimento della divinità del personaggio cui si rivolge Abramo. E così anche san Girolamo, nella Vulgata, ha scritto: Domine, con la D maiuscola.
Eppure, tanto la Bibbia CEI 1974 quanto quella del 2008 riportano in italiano: "Mio signore", con la "s" minuscola. È un dettaglio, potremmo dire. Ma nella Scrittura i dettagli non sono mai casuali. Anzi, spesso è nei dettagli che si gioca la verità della fede. Scrivere "signore" minuscolo in questo versetto – e farlo proclamare così nella liturgia della Chiesa – lascia intendere, volente o nolente, che Abramo si stia rivolgendo a un uomo, o a tre uomini, e non a Dio stesso. È un modo, neanche troppo implicito, di allontanare la possibilità che Abramo abbia visto e parlato con il Signore.

Questo approccio non è nuovo. Da tempo si nota, anche nei testi liturgici e nei commenti esegetici, una tendenza a "raffreddare" la densità teologica del testo, in favore di una lettura più "sobria", più "plausibile", più vicina al gusto moderno. È l’influsso di una certa ermeneutica protestante, che – partendo dal metodo storico-critico – mira a separare con rigore ciò che è umano da ciò che è divino, a distinguere dove la tradizione ha invece visto l’unione. Così Gerhard von Rad, uno dei maggiori esegeti protestanti del Novecento, nella sua Theologie des Alten Testaments, afferma che Abramo ha visto "dei visitatori angelici", non Dio stesso, e che la forma letteraria dell’episodio è una "teofania narrativa" – cioè, una costruzione letteraria, non un incontro reale. È un tentativo sistematico, e profondamente moderno, di separare l’esperienza viva di Dio dalle forme concrete della rivelazione biblica.

Ma la tradizione patristica non è stata così timida. Sant’Agostino, nel De Trinitate, ha affermato che in quell’incontro Abramo ha accolto il mistero della Trinità, e san Basilio il Grande, nel suo commento sull’Esamerone, ha ribadito che "non fu un sogno, né una visione simbolica, ma un’apparizione reale del Signore". E come non ricordare l'icona della Trinità di Rublev, che riprende proprio questa scena di Genesi 18 e la trasfigura in una contemplazione della comunione trinitaria? L’arte, quando è fedele, sa vedere più a fondo dei commenti accademici.

È quindi grave che la Bibbia liturgica riduca il nome di Dio a una minuscola. Perché in quel "Adonài" (אֲדֹנָי), Abramo non sta parlando con un semplice viandante, ma con il Signore dell’universo. È un incontro che segna la sua fede, la sua missione, e che si riflette sulla nostra preghiera. Scrivere "signore" minuscolo è come suggerire – sottilmente – che forse non era Dio, forse era un’apparizione, forse un’allegoria. È il "forse" che corrode la fede, che trasforma la rivelazione in letteratura religiosa.

Ma noi non possiamo dimenticare che Dio ha visitato Abramo. Che Abramo ha visto Dio. Che ha chiamato il Suo nome, non genericamente, ma con la venerazione dovuta al Signore. Che lo ha riconosciuto, adorato, accolto. E allora, nel cuore della nostra liturgia, non possiamo permetterci di abbassare il Nome che è sopra ogni altro nome. In quel “Signore” maiuscolo si gioca la verità dell’incontro. E nell’incontro, si gioca tutta la fede.