Ecco un altro caso di supponenza ed arroganza clericale (per non dire episcopale): a Torino i preti troppo "cattolici" danno fastidio.
Lo scorso anno la triste notizia sulla chiusura delle parrocchie perchè ormai disertate dai fedeli (e per penuria di preti); oggi invece la incredibile notizia sulla dispotica decisione del Card. Repole di mandare via i sacerdoti dell'Istituto del Verbo Incarnato da due parrocchie floride e partecipate (loro affidate da anni!).
Il motivo? La Curia dopo giorni di silenzio avrebbe balbettato che i due sacerdoti "non sono in sintonia con le linee pastorali della Diocesi".
La realtà è che le due parrocchie (contrariamente alla tendenza) sono rifiorite proprio grazie ai due sacerdoti (ovviamente sempre in talare) e al loro particolare carisma e alla loro pastorale di ispirazione "tradizionale".
"E quale sarebbe questa sintonia mancata? L’amore per l’Eucaristia? Il rigore nella liturgia? Il richiamo alla confessione, all’adorazione e alla dottrina cattolica? Se queste sono le colpe, allora sì: i padri del Verbo Incarnato sono colpevoli.La verità è che questo sfratto non è un incidente pastorale, ma l’esito di una precisa strategia ideologica.Un’epurazione silenziosa, dissimulata da burocratismi curiali e da parole come “discernimento” e “comunione”. In realtà, l’obiettivo era chiaro da tempo: cancellare un’esperienza ecclesiale considerata scomoda perché “troppo cattolica”, “troppo devota”, “troppo tradizionale”. "
Qui per avere qualche notizia.
Qui la notizia da La Voce (dove si può trovare anche il modulo per firmare la petizione on line avviata dai parrocchiani arrabbiati, per chiedere all'Arcivescovo di ripensarci, giacché, a dispetto della tanto invocata "sinodalità" essi non sono mai stati ricevuti dalla Curia per avviare un confronto).
Roberto
di Liborio LaMattina (la Voce, 11/6/2025)
Dal 1° settembre via i Padri da Maria Madre della Chiesa e Pier Giorgio Frassati. Nessuna colpa, nessuna spiegazione. Solo un silenzio arrogante e un popolo tradito. Fedeli in rivolta: “Vogliamo la verità”.
Dal 1° settembre via i Padri da Maria Madre della Chiesa e Pier Giorgio Frassati. Nessuna colpa, nessuna spiegazione. Solo un silenzio arrogante e un popolo tradito. Fedeli in rivolta: “Vogliamo la verità”.
“La nostra è una voce che nasce dal popolo di Dio. Una voce semplice, ma carica di amore, riconoscenza e dolore.” Così comincia la petizione indirizzata al cardinale arcivescovo di Torino, Roberto Repole, firmata dai fedeli laici delle parrocchie di Maria Madre della Chiesa e del Beato Pier Giorgio Frassati, affidate da anni ai sacerdoti e alle suore della Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato.
Un documento che trabocca dignità, composto con il linguaggio del cuore e della fede, ma che grida più forte di qualsiasi invettiva. Chiedono che non vengano mandati via i loro padri spirituali, quelli che li hanno accompagnati nella vita e nella fede, che hanno riempito di senso le liturgie, costruito relazioni, avvicinato i lontani, ascoltato i sofferenti, educato i giovani, generato vocazioni, ricostruito comunità dove regnava l’indifferenza. Ma quella voce, ancora una volta, sembra destinata a infrangersi contro un muro di gomma: il silenzio glaciale dell’Arcivescovo.
Il prossimo 1° settembre, infatti, padre Giuseppe, padre Alessandro e padre Danilo dovranno lasciare le due parrocchie torinesi, in esecuzione di un provvedimento deciso un anno fa ma tenuto accuratamente nell’ombra. Nessuna spiegazione ufficiale, nessun confronto, nessuna motivazione esplicita. Solo allusioni vaghe a una “mancanza di sintonia” con le linee diocesane. E quale sarebbe questa sintonia mancata? L’amore per l’Eucaristia? Il rigore nella liturgia? Il richiamo alla confessione, all’adorazione e alla dottrina cattolica? Se queste sono le colpe, allora sì: i padri del Verbo Incarnato sono colpevoli.
La verità è che questo sfratto non è un incidente pastorale, ma l’esito di una precisa strategia ideologica.Un’epurazione silenziosa, dissimulata da burocratismi curiali e da parole come “discernimento” e “comunione”. In realtà, l’obiettivo era chiaro da tempo: cancellare un’esperienza ecclesiale considerata scomoda perché “troppo cattolica”, “troppo devota”, “troppo tradizionale”. Già nel 2022, sotto il pontificato di monsignor Cesare Nosiglia, era comparso un pamphlet al vetriolo firmato da Francesco Antonioli e dalla “teologa” Laura Verrani, dal titolo “Lo scisma emerso”. Senza mai nominare direttamente i religiosi del Verbo Incarnato, il testo li accusava velatamente di essere “autoreferenziali”, “chiusi alla vita ecclesiale”, “in contrasto con la pastorale diocesana”. Ma il disegno era chiaro.
[...]
Ma il colpo di scena è andato in scena venerdì 7 giugno, durante l’incontro organizzato nella chiesa di Maria Madre della Chiesa. La comunità aveva chiesto a gran voce un confronto con l’Arcivescovo. Non è mai arrivato. Al suo posto è stato mandato don Mario Aversano, accompagnato da padre Ugo Pozzoli e don Alberto Savoldi. I tre hanno provato, goffamente, a indirizzare la serata verso toni spirituali, leggendo brani evangelici sull’obbedienza. Ma la platea non si è lasciata irretire. Tutti hanno preso la parola: genitori, giovani, catechisti, parrocchiani di lungo corso. Tutti hanno testimoniato il bene ricevuto dai Padri. E tutti, con calma ma con fermezza, hanno chiesto una cosa sola: la verità.
“Perché li mandate via? Che cosa hanno fatto di male? Perché il vescovo non ci riceve? Dov’è l’ascolto? Dov’è la sinodalità?” A queste domande, don Aversano non ha saputo rispondere. Ha parlato di una “distonia” non meglio precisata, e infine si è appellato a un generico “segreto”. Il disagio era palpabile. Tanto più quando, per completare l’umiliazione, è stato annunciato il nome del sostituto: don Igino Golzio, classe 1949, ordinato nel 1984. Un prete in pensione per guidare due comunità vive e fiorenti. L’ennesimo segnale di disinteresse, come dire: prendete questo e non lamentatevi. È rimasto nel barile.
La reazione della Curia? Nessuna. Nessun comunicato, nessuna replica, nessun gesto di trasparenza. Solo la volontà di minimizzare, insabbiare, trattare il tutto come un normale avvicendamento. Ma la verità è che qui non c’è nulla di normale. Cacciare tre religiosi amati dal popolo, senza un’accusa pubblica, senza un confronto, senza una parola, è un abuso di potere spirituale. È la negazione stessa della comunione. È la fine di ogni sinodalità.
E la Chiesa torinese esce da questa vicenda più divisa, più sfiduciata, più vuota. Il consiglio presbiterale è ridotto a un organo decorativo, la Curia assomiglia sempre più a una macchina amministrativa priva di anima, e le comunità – quelle vere, fatte di gente semplice, che prega e spera – vengono trattate come un fastidio. Ma davvero questa è la Chiesa che vogliamo? Una Chiesa dove chi evangelizza viene silenziato, dove chi genera vita spirituale viene rimosso, dove il popolo non conta nulla?
Forse i Padri del Verbo Incarnato non erano “in sintonia” con la linea diocesana. Ma se quella linea porta all’azzeramento di esperienze autentiche, al culto dell’omologazione, alla paura della Tradizione, allora forse è tempo di chiederci: con chi non è in sintonia la diocesi stessa?
“Confidiamo nella Sua comprensione e nella Sua sensibilità pastorale,” scrivono i fedeli a monsignor Repole, “certi che vorrà accogliere la nostra preghiera come espressione sincera dell’affetto e del bisogno spirituale di un popolo che ama i suoi pastori.” Ma la risposta, per ora, è il silenzio. Un silenzio che pesa come una pietra sull’altare.
Quando una Chiesa vive nella paura di chi crede troppo
Ci sono decisioni che non si possono accettare in silenzio. E quella presa dall’Arcidiocesi di Torino di allontanare i sacerdoti del Verbo Incarnato dalle parrocchie di Maria Madre della Chiesa e del Beato Pier Giorgio Frassati, senza motivazioni pubbliche, è una di queste. Perché non è un avvicendamento ordinario. Non è un trasferimento fisiologico. È uno strappo. Un atto che ferisce. E non solo i religiosi coinvolti, ma l’intera comunità che da anni ha camminato insieme a loro.
Non servono grandi competenze teologiche per riconoscere cosa sia avvenuto: tre sacerdoti che avevano costruito, con passione e coerenza, due parrocchie vive, partecipate, ricche di relazioni, sono stati rimossi con un tratto di penna. Senza una spiegazione. Senza un'accusa. Senza uno straccio di confronto. Nessun documento pubblico, nessuna nota ufficiale, nessuna parola pronunciata guardando negli occhi la gente.
E la gente, intanto, chiedeva solo una cosa: “Perché?”
Lo ha fatto con dignità, con compostezza, con amore. La petizione inviata a monsignor Repole è un documento raro, toccante, quasi commovente. È la voce di chi ha ricevuto, di chi ha visto la fede rinascere, di chi ha trovato nei padri dell’IVE una guida, una presenza, una cura. È il frutto di anni di impegno pastorale reale, che non ha bisogno di slogan, ma parla con i volti, con i nomi, con le storie.
La risposta? Nessuna. Solo un incontro surreale, in cui tre rappresentanti della Curia hanno provato – goffamente – a parlare di obbedienza e a leggere passi del Vangelo, nella speranza di calmare le acque. Non ci sono riusciti. Perché quando la comunità chiede la verità, non puoi cavartela con una parabola.
È mancata, hanno detto, “una certa sintonia con la diocesi”. Una frase che non spiega nulla e nasconde tutto. Perché se c’è stata una mancanza di sintonia, allora va detto in cosa. Quali comportamenti? Quali errori? Quali dissidi? È un problema dottrinale? Liturgico? Disciplinare? Oppure è solo una questione di stile, di toni, di "troppa devozione"?
In fondo, la realtà è sotto gli occhi di tutti. Questo allontanamento non è un caso isolato. È il segnale di una direzione. Una direzione che guarda con sospetto tutto ciò che è troppo identitario, troppo fervoroso, troppo “vecchio stile”. Una Chiesa che si mette paura di chi crede troppo, prega troppo, confessa troppo.
E così, mentre si moltiplicano i proclami sulla “Chiesa in uscita”, sull’ascolto, sulla sinodalità, accade che tre religiosi stimati vengano mandati via come fosse una formalità amministrativa, e che al loro posto venga annunciato – senza imbarazzo – un prete settantacinquenne, evidentemente messo lì per spegnere ciò che resta. Una specie di tappo.
Il popolo, però, non è stupido. Ha capito. Ha parlato. E la Curia, nel suo mutismo, ha scelto la via della chiusura. Ma se il prezzo della “comunione ecclesiale” è l’eliminazione di esperienze autentiche, allora qualcosa si è rotto. Profondamente.
Questa vicenda, piaccia o no, ha squarciato un velo. Ha mostrato quanto sia fragile la relazione tra i vertici e le comunità. Ha detto chiaramente che oggi, in certe diocesi, non conta quanto una parrocchia sia viva, se non è allineata.Non conta quanta gente attira, quante vocazioni genera, quante anime accompagna. Conta solo se si piega alle logiche interne, agli equilibri, agli orientamenti non detti.
Ecco perché non serve essere “dentro la Chiesa” per sentire che qui c’è qualcosa di profondamente ingiusto. Perché quando si colpisce chi costruisce, chi evangelizza, chi serve, allora non si tratta più solo di una questione ecclesiale. È una questione che riguarda tutti. Riguarda la verità. Riguarda la giustizia.
Quella verità che i fedeli, a voce alta e con amore, continuano a chiedere. Quella giustizia che, per ora, continua a mancare.
Qui per firmare la petizione (in calce all'articolo).

Che vi aspettate da un analfabeta teologico fatto arcivescovo di Torino e poi cardinale solo perché aveva oltraggiato Benedetto XVI?
RispondiEliminaAdesso non esageriamo...
EliminaDa quanto capisco sulla vicenda di Torino, il vescovo non segue il consiglio che Papa Leone ha rivolto a chiunque ha autorità nella Chiesa (omelia del 9 maggio us, Sistina): 'nascondersi e scomparire, per rendere presente solo Gesù Cristo'.
RispondiEliminaI due sacerdoti di IVE non sono in sintonia con il Vescovo? e perché quest'ultimo non riporta qualche insegnamento del Vangelo per evidenziare questa distonia? ad esempio il mandato di evangelizzare? o quello di rimettere i peccati nella confessione? e così via.
Ma evidentemente il cardinale Repoli ha un progetto politico, ideologico, e non evangelico, cristiano: de hoc satis.
Incalzate il vostro vescovo, diocesani, con tutta la carità, e con tutta la verità di cui siete capaci.
Angelo
Seguono l'esempio del tiranno defunto che, oltre agli umili conti lasciati ci troviamo coi suoi frutti.
RispondiEliminaHummmm da Torino arriva il primo dispiacere al papa? Non ha digerito l'ispirazione del suo nome (Leone XIII) e la sua lotta contro la massoneria?
RispondiEliminaPapa Leone, repristini subito la preghiera a San Michele per tutta la Chiesa!
RispondiEliminaBisognerebbe capire i reali motivi.
RispondiEliminaComunque il Piemonte vive una tale aridità spirituale e crisi di vocazioni che un vescovo per allontanare dei sacerdoti deve avere dei motivi davvero gravi.
Repole è certamente una delle scelte peggiori di Papa Francesco.
Una delle scelte peggiori........Dodici anni di eresie ,di banalità,di slogan insensati e di cattiverie gratuite....
EliminaStiano tranquilli i fedeli i loro parroci resteranno. I vertici si rimangeranno la decisione dicendo che è stato un equivoco .Ovviamente il tutto dopo essere stati consigliati.... (discretamente)da Roma. Tempi penosissimi ed amarissimi per i bergogliani nel dopo Bergoglio.....
EliminaCard. Repole.:.. 'chiesa umile'... 'pensiero umile'... 'stessa teologia di papa Francesco'
RispondiEliminaVisto e considerando l'esperienza di 'chiesa umile' come va a finire, non sarebbe male per tutelarsi da prelati di codesto pensiero, chiedere loro il versamento di una caparra messa a disposizione per affrontare future sorprese.
queste sono ingiustizie. I cattolici sono gregge, ma del Buon pastore, non devono essere pecore che sopportano tutto. Le petizioni mi sembrano atti flebili e privi di efficacia.
RispondiEliminaGli atti di forza sono controproducenti, bisognerebbe che dal giorno della partenza dei padri nessuno entrasse più nelle due parrocchie, zero fedeli ad ogni S.Messa.
RispondiEliminaMi sembra un'ottima idea, a patto che tutti, ma prio la totalità dei parrocchiani fossero disposti ad andare a Messa in una chiesa vicina: in due mesi e la cosa si risolverebbe.
EliminaNon sono in sintonia con la linea della diocesi? Ma cosa ha portato questa linea? Una sola ordinazione sacerdotale questo anno, seminario ai minimi termini, sacerdoti che sembrano pensionati che vanno a giocare alle bocce, liturgie piatte e spente, oppure che vogliono essere gioiose ma sono solo chiassose.
RispondiEliminaMa quindi il fatto che questi sacerdoti, in effetti, potessero avere dei problemi non vi sfiora minimamente? Ne sapete più del vescovo? Ogni prete vagamente tradizionale è ipso facto perfetto ed intoccabile?
RispondiEliminaQui mi pare si stia esagerando non poco.
Ma allora perché la curia non è più esplicita e espone, almeno nelle linee generali la problematica attribuita ai due parroci: non essere in sintonia con lo stile del vescovo è troppo generico per essere credibile, portate qualche fatto.
EliminaE lo dovrebbe dire a lei?
EliminaDi solito al vescovo si obbedisce.
Faccio seguito al mio commento del 13 giugno scorso, in cui incitavo i fedeli di Torino ad incalzare il loro vescovo con il massimo della carità e della verità.
RispondiEliminaIl 9 giugno u.s. il Consiglio pastorale delle due parrocchie ha scritto una lunga lettera al card. Repole, e i bambini della scuola parrocchiale ne hanno scritta un'altra, sempre al "Vescovo Roberto": quest'ultima mi è piaciuta enormemente, perché è breve, tutta intessuta di fatti, semplice.
Vi prego, fedeli di Torino, aiutate i vostri fratelli 'perseguitati' scrivendo al Vescovo Repoli: non lettere lunghe, ma di una pagina, e soprattutto numerose, anche decine e centinaia; il capo non potrà ignorare il vostro grido.
Ogni lettera evidenzi un punto soltanto, ad esempio il rifiorire della vita spirituale nelle due parrocchie, all'arrivo dei nuovi sacerdoti qualche anno fa, o anche la necessità di tenere nel giusto conto la valutazione data dai parrocchiani su questo provvedimento nei confronti dei due parroci.
Forza, datevi una mano tra voi, questa battaglia si vince, e il Papa non può ignorarla.
Angelo Di Marzo
P.S. Sai che ho pensato: qualcuno scriva a Leone XIV, in forma personale (non occorre che lo faccia ufficialmente il Consiglio pastorale, basta un piccolo gruppo). L'indirizzo è: << Sua Santità Papa Leone XIV, Palazzo Apostolico, 00120 CITTA' DEL VATICANO >>.
Uno schifo questo è tutto altro perdere la fede ...con pastori che guidano la Diocesi di Torino ......
RispondiEliminaUmanamente mi dispiace, perché conosco bene sia Padre Danilo che Padre Giuseppe e sono bravissime persone piene di entusiasmo per il loro magistero spirituale e di amore per il prossimo.
RispondiEliminaPenso che prima di decidere di mandarli via sarebbe stata opportuna una convocazione da parte dell'arcivescovo per richiamarli all'ordine e far capire dove sbagliavano.
Perché di errori ne hanno fatti tanti, dall'esorcismo praticato alla parrocchia Frassati quando gli esorcismi possono essere praticati solo da sacerdoti autorizzati dalla curia, all'adozione del catechismo di Pio X, un manuale di terrorismo psicologico ai danni dei bambini, al divieto di frequentare il catechismo e di fare la Prima Comunione imposto a una bambina disabile, alla disumana proibizione di entrare in chiesa ad un cane in occasione del funerale del suo padrone.
Non parliamo poi dei ripetuti attacchi rivolti a Papa Francesco durante le loro omelie.
E della loro ossessione per il diavolo. Come mi diceva Don Matteo Sorasio, il fondatore della parrocchia Maria Madre della Chiesa, non si può vedere il diavolo sempre e dappertutto.
Il Concilio Vaticano II ci ha insegnato che la fede fa diffusa con la gioia dell'amore e non con la minaccia delle pene dell'inferno.
Certi ordini religiosi sembrano non voler accettare i decreti del Vaticano II.
Nell'articolo si accenna ai fedeli contrariati dall'allontanamento dei Padri dell'I.V.E., su cui fra l'altro stava già indagando anche la Congregazione per la dottrina della fede, ma bisognava anche menzionare i tanti fedeli che hanno abbandonato queste due parrocchie dopo il loro arrivo.
Mi dispiace sinceramente perdere questi amici, soprattutto Padre Danilo, che è stato anche il mio confessore, ma agli amici si deve dire quando sbagliano e non lasciarli perseverare nell'errore.
Forse farebbe loro bene entrare nel clero secolare e lasciare l'Istituto del Verbo Incarnato, uno dei ricettacoli del cattolicesimo reazionario.