
Continuiamo le analisi sul nuovo pontificato di Leone XIV.
Per il Papa, contro la "papolatria".
Luigi C.
Simon de Cyrène, Croce-Via, 31-5-25
I. Il Petrinauta: marinaio della Chiesa
Il Petrinauta non è colui che si stringe al timone accecato dall’incenso delle corti ecclesiastiche, né colui che con lo zelo della purezza cerca un’arca alternativa che galleggi sopra il naufragio apparente della Chiesa; egli è, piuttosto, il marinaio che, avvezzo al sale amaro delle onde ecclesiali, ha scelto una volta per tutte di non lasciare la barca, non perché essa sia stabile, né perché il suo comandante sia sempre saldo, ma perché è stata costruita su mandato divino e destinata a non affondare. È uomo di Tradizione, non nel senso di colui che si rifugia nel passato per timore del presente, ma nel senso forte e ontologico del termine: come chi abita nella continuità del tempo senza diventarne schiavo, come chi sa che la fedeltà non è adesione a un gusto spirituale, bensì un vincolo che lega il cielo alla terra.
II. Quando Pietro lascia la barca
Nelle Scritture vi è un passaggio inquietante, spesso trascurato, eppure rivelatore: non sono solo i discepoli a tremare nella tempesta, ma è lo stesso Pietro a scendere dalla barca, illudendosi che il Signore cammini al di fuori di essa — gesto audace, ma tragico, perché motivato non dalla carità né dalla prudenza, ma da un entusiasmo presuntuoso che lo separa dal luogo della comunione. E così oggi, quando Pietro — o chi lo rappresenta — sembra preferire la riva del mondo al centro della nave, dimenticando che la sua prima vocazione è custodire ciò che ha ricevuto, non inventare ciò che non ha mai avuto, il Petrinauta non lo segue. Soffre, certo, e prega con maggiore insistenza; ma non abbandona. Egli sa che la barca, per quanto sballottata, per quanto sbilanciata dal timoniere stesso, resta il solo luogo in cui si compie la salvezza sacramentale.
Il Petrinauta non vive nella frenesia dell’attesa messianica del prossimo Papa, né nella malinconia di un passato idealizzato: egli sa che nessun pontefice, per quanto brillante o carismatico, rifonda la Chiesa; essa è stata fondata una volta per sempre, e ciò che occorre è custodirla, non reinventarla. Né si illude che un nome, per il solo fatto di essere nuovo, porti con sé un tempo migliore. Conosce la storia, e sa che ogni secolo ha avuto i suoi disastri e le sue grazie, i suoi errori e le sue glorie. Per questo, il Petrinauta non si agita, non calcola, non si fa profeta: rimane, come rimane la pietra nella corrente. E mentre i commentatori ecclesiastici analizzano il prossimo candidato come si trattasse di una campagna elettorale, egli ripete nel cuore il solo nome che conta: Gesù Cristo, Signore della barca, silenzioso ma presente.
IV. L’unità con il Papa: reale, non sentimentale
L’unità ecclesiale non è un’emozione da coltivare, né una cieca adesione ad ogni parola del pontefice: è, piuttosto, la volontà teologale di rimanere ancorati a ciò che ci è stato dato, anche quando la superficie appare incerta. Il Petrinauta distingue tra l’uomo e il munus, tra il gesto pastorale e il deposito della fede: egli obbedisce, sì, ma nella luce della Tradizione; prega per il Papa, ma non dimentica che la verità non è generata dal magistero contingente, bensì riconosciuta nella fedeltà alla Rivelazione. La sua comunione è salda non perché emotiva, ma perché oggettiva: nasce dal Battesimo, si nutre dell’Eucaristia, si ordina alla carità ecclesiale. Non segue personalità, ma l’unità stessa della Chiesa, come realtà soprannaturale fondata dal Signore.
V. Cristo dorme? Allora è tempo di fede
Vi sono stagioni nella storia della Chiesa in cui il Signore sembra dormire a poppa, e il mare infuria. È in quei momenti che la fede si mostra nella sua nudità: non come esperienza confortante, ma come atto di fedeltà silenziosa. Il Petrinauta non grida al naufragio, né si getta in acqua cercando salvezze parallele. Egli stringe i remi, continua a pregare, e guarda al tabernacolo: lì il Signore dorme, ma non abbandona. Nessuna crisi, per quanto dolorosa, è segno del fallimento della promessa. Al contrario: più la barca è scossa, più si mostra necessario rimanerle fedeli. Non vi è santità senza pazienza, né perseveranza senza notte. E il Petrinauta è, per definizione, uomo della notte: non perché non veda, ma perché ha imparato a credere quando non si vede più.
Conclusione: La fedeltà non è cieca, ma incrollabile
Il Petrinauta non è un idealista né un rassegnato: è un uomo che ha scelto, una volta per tutte, di non separarsi dalla barca che Cristo ha scelto. Non pretende chiarezza assoluta, né esige coerenza perfetta dai pastori: gli basta sapere che il Signore è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. E finché la barca avanza, tra le onde e i tradimenti, tra i silenzi e le confusione, egli non smette di remare. Perché sa che solo quella barca, e nessun’altra, è stata promessa come via di salvezza.
In Pace