Post in evidenza

In Vaticano il carnevale è finito: ora davanti al Sommo Pontefice si torna a togliersi il cappello!

Al termine dell’udienza generale svoltasi ieri mattina, mercoledì 11 giugno, in piazza San Pietro, come di consuetudine il Santo Padre Leone...

martedì 10 giugno 2025

Padre Spataro. "IL RITUS ROMANUS ANTIQUIOR SPERANZA PER LE ANIME, SPERANZA PER LA CHIESA"

"Innanzi a Dio l'uomo non ha vera libertà di coscienza, libertà di culto e libertà di pensiero, come oggi s'intende, cioè facoltà di scegliersi una religione ed un culto come gli talenta; ma solo la libertà dei figliuoli di Dio, come dice S. Paolo, cioè di lasciare l'errore e le seduzioni del secolo per correre liberamente al Cielo. L'affermare, perciò, che l'uomo ha il diritto innanzi a Dio di pensare e di credere in religione come gli piace, è un errore". 

Riceviamo e pubblichiamo questa bella riflessione di Padre Roberto Spataro.
Luigi C.

IL RITUS ROMANUS ANTIQUIOR

SPERANZA PER LE ANIME, SPERANZA PER LA CHIESA

RRA: Ritus Romanus Antiquior

MT:   Messa Tridentina

Carissimi Amici, Laudetur Iesus Christus! Sono molto grato agli organizzatori del pellegrinaggio. Impiegano tempo, energie e risorse per tenere sempre vivo il fuoco ardente della Messa in RRA. Come il sacro fuoco custodito dalle Vestali nell’antica Roma, esso garantisce la prosperità spirituale della Chiesa e mai potrà essere spento. Sono pure molto grato a voi che avete aderito all’iniziativa: siete anime scelte da Dio non solo per arricchirvi personalmente delle ricchezze di questa forma liturgica veramente straordinaria, ma anche per rendervi apostoli di un autentico opus divinum, per esprimerci con il linguaggio benedettino che ci diventa più familiare in questa millenaria Abbazia, diffondendolo all’interno della Chiesa. Siamo stati tutti sorpresi dalla maestosa bellezza del tempio che ci ha accolti: esso – è bene ricordarlo – come tutte le cattedrali paleocristiane romaniche, gotiche, barocche, neoclassiche che costituiscono gran parte del patrimonio universale della cultura, è bello in aeternum perché costruito per celebrare un culto, quello della Santa Messa in RRA, destinato ad attraversare i secoli e a sfociare in quella liturgia che viene cantata in aeternum in Cielo. A partire dunque dal titolo della riflessione propongo alla vostra benevola considerazione alcuni pensieri.

La speranza è una virtù teologale che ci porta indubbiamente a dare un doveroso apprezzamento del RRA. Di questa qualità essenziale della vita teologale il Papa Benedetto XVI ha scritto sublimemente nella sua Enciclica, la seconda, intitolata Spe salvi. In essa traccia una ricostruzione filosofica del processo rivoluzionario che ha smantellato la civiltà cristiana sostituendo alla prospettiva della vita eterna, attesa e desiderata, tradotta in opere e in azioni da tante generazioni di credenti, quella di un secolarismo concluso nei limiti della storia e a essa ridotto. La carica di perfezione della speranza cristiana è stata così conservata nella sua potenzialità ma è stata deprivata della sua destinazione nell’eternità divina. Si è così preteso che la beatitudine potesse essere trasferita sulla terra. Sono nate così le ideologie, quelle di ieri e quelle di oggi che hanno prometeicamente e assurdamente imposto il paradiso in terra. Queste ideologie ci sono note, il liberalismo, il positivismo scientista, il marxismo e il comunismo, l’omosessualismo, l’ecologismo,

il transumanesimo. Il risultato è stato ed è pertanto tragico: ora in nome dei diritti dell’individuo, ora in nome dell’inarrestabile sviluppo della scienza e della prometeica applicazione nella tecnologia, ora in nome della lotta di classe e dell’abolizione della proprietà privata, ora in nome della teoria del gender o del ritorno all’adorazione pagana della terra, definita ambientalismo, si vuole rendere eterno ciò che non lo è perché è temporale, si vuole rendere assoluto ciò che non lo è perché è contingente, si vuole rendere vero ciò che non lo è perché è falso in quanto irreale, si vuole rendere buono ciò che non lo è perché è cattivo in quanto impedisce, come ci hanno insegnato Aristotele e San Tommaso e tutta la filosofia cristiana, la realizzazione delle finalità intrinseche a ogni creatura. L’imposizione è stata condotta prima con i totalitarismi – insegna Benedetto XVI – e poi con la non meno tragica dittatura del relativismo, che è quella che respiriamo asfitticamente nella società e, purtroppo, anche in vaste zone della Chiesa. Che cosa fare? Il suggerimento ci è venuto discretamente proprio dal Papa Benedetto XVI che ha proposto di ricentrare la vita della Chiesa attorno a una liturgia teocentrica. E da questa prospettiva, che è poi quella che effettivamente pensa e spinge all’azione sub specie aeternitatis, attraverso il MP Summorum Pontificum, ha ampiamente valorizzato il RRA, suscitando un movimento liturgico e spirituale di vasta portata e crescente diffusione, inarrestabile come un fiume che travolge e travolgerà ogni ostacolo, del quale abbiamo la grazia di essere parte.

Il RRA è infatti l’antidoto alla secolarizzazione o, per dirlo in termini teologici, alla de-escatologizzazione, della speranza cristiana. Questo rito infatti rimette le cose a posto: Dio è Dio, l’uomo è uomo, il Creatore è distinto dalla creatura e dalle creature, la Chiesa rende culto di adorazione a Dio e non alle idee del momento, attraverso la maestosa semplicità della celebrazione del Mistero della Passione e Morte del Signore, l’evento in cui il Cielo ha rinnovato la terra e le luci dell’eternità sono penetrate nelle tenebre della storia, i credenti sono elevati dalle res humanae per avvicinarsi e, in un certo senso anticipare, alle res divinae. È questa l’esperienza che assaporano tutti quelli che amano il RRA e che, in numero crescente, ne vengono a contatto. Come dice l’atto di speranza, l’antica preghiera cristiana che abbiamo imparato o da bambini o quando abbiamo ricominciato a pregare con la Tradizione cristiana, dichiara che la speranza ha come oggetto la vita eterna. Questa ci mostra, di questa ci infonde il desiderio, questa ci dona come un pegno il RRA. A partire da questa speranza soprannaturale noi possiamo così apprezzare e operare per le speranze più naturali, la salute, il benessere della famiglia, le realizzazioni professionali, la partecipazione alla societas hominum e così via, sapendo che esse sono buone ma non sono tutto ciò che possiamo desiderare e, soprattutto, vogliamo ottenere, inquieti fino a quando il cuore non riposerà in Dio. La spes teologale che solo la Messa tridentina sa infondere abbondantemente nelle anime non è evasione dalla ruvidezza del presente ma è ricollocazione di ciò che passa nella posizione che gli spetta rispetto alla stabilità beatificante dell’eternità cui siamo stati chiamati dal primo istante della nostra esistenza. E siccome il presente, spesso preceduto da un passato penoso, ci riserva consistenti porzioni di preoccupazioni e amarezze, esso non basta: per questo Dio ci dona acconti ancora più consistenti di gioia eterna nella Messa antica. Perché permettere di esserne privati in nome di preconcetti e abusi, fossero pure in forma di MP, che sostituiscono la legge ecclesiastica, o una sua caricatura, alla legge di Dio? In francese c’è una bella distinzione lessicale: espoirs sono le speranze terrene, espèrance è la speranza che ci dona Dio. Allora per gli espoirs c’è la vita quotidiana con la sua lingua nazionale, per l’espèrance c’è la Messa di sempre con la sua lingua sacra, il latino che prega così pro spe salutis et incolumitatis nostrae. Amici, non possiamo vivere senza speranza, senza espèrance. Senza di essa, la vita diventa o titanismo o depressione. Alimentiamo le anime nostre alle sorgenti della speranza, e, dunque, non ai piani bassi di una Messa dove tutto può banalmente cambiare per l’arbitrio di un sacerdote narcisista o l’ignoranza e l’agitazione di un’animatrice liturgica, ma a una Messa che con la sua sacralità intrinseca e la sua immutabilità ci porti ai piani alti della contemplazione della Santissima Trinità.

E veniamo alla seconda parte della nostra riflesisone. La Messa RRA speranza non solo per le singole anime ma per la Chiesa nel suo insieme. Il nostro amato Catechismo di san Pio X diceva che nella Chiesa cattolica l’appartenenza è data dalla condivisione della stessa fede, dalla stessa celebrazione dei sacramenti, dall’obbedienza all’autorità del Sommo Pontefice e dei Vescovi in comunione con lui. Oggi – e non sveliamo nessun mistero – la Chiesa soffre una penosa crisi dottrinale perché la fede non è più la stessa. Sotto lo stesso ombrello, si riparano fedeli e pastori che, pur dichiarandosi sinceramente appartenenti alla stessa Chiesa cattolica, professsano una fede diversa, quando pure c’è la fede. Un perito al Sinodo sui vescovi della famiglia, che, alla luce di quanto è accaduto dopo, soprattutto negli ultimi tre anni, sembra un evento tutto sommato buono, mi riferì: “Sai, il problema non era dialogare con Vescovi che hanno posizioni teologiche diverse o sensibilità pastorali differenti. Il problema è che alcuni Vescovi non credono più a nulla”. Il Superiore generale di un glorioso ordine religioso parlando ad un suo collega, pochi anni fa, disse: “C’è un’intera provincia religiosa, dove i miei confratelli, di fatto, professano una sorta di ateismo pratico”. Nelle Università pontificie, dove si preparano i futuri professori delle facoltà teologiche e dei seminari, da cui escono i preti che formano i catechisti che a loro volta istruiscono i fedeli, si insegna una congerie di errori, nel migliore dei casi, vere e proprie eresie, in altri casi, senza che sia ammissibile che un’autorità, se pure ha conservato la fede del Catechismo, intervenga per censurare. Anzi, a partire dal 2013 direi, se qualcuno coraggiosamente difende la fede del Catechismo della Chiesa cattolica rischia di essere inquisito e sanzionato, dal momento che subisce un’incriminazione terribile: custodisce la dottrina, che è sempre cattiva, e non ama la pastorale di turno, un contenitore di ogni stranezza e di ogni errore, che è invece è sempre buona, e ignora la panacea di ogni male, la sinodalità. Non mi attardo su questo punto perché è davvero desolante e non mi piace – per temperamento – aprire il cahier de doleances.

Pensiamo ai rimedi. I rimedi immediati sono due: anzitutto, diffondere e insegnare il Catechismo mostrando come la fede cristiana, nella sua essenzialità, risponda alle ragioni della ragione e alle aspirazioni più autentiche del cuore umano. Ed insieme al Catechismo un antidoto potente all’anarchia dottrinale che rattrista il Cuore di Cristo Maestro e Pastore, anzi Pastore perché Maestro e Maestro perché Pastore, è proprio la nostra MT. Lì c’è tutto quello che bisogna sapere per salvarsi l’anima, conoscere Dio, amarlo, servirlo e goderlo su questa terra e poi con felicità piena ed eterna nella beatitudine del Cielo. Un fedele che frequenta regolarmente la MT, sostenuto da una buona catechesi e formato da omelie degne di questo nome, scamperà alla pioggia di stupidaggini e di errori che cadono senza tregua come missili contro la fede dei nostri padri da giornali, anche se patrocinati dai Vescovi, televisione, siti internet, cattedre di esegesi e cortili dei gentili, teologia, morale e liturgia, pulpiti, convegni pastorali, aule di de-formazione catechistica e chi più ne ha più ne metta. Nella sua candida semplicità, la MT, con il suo Messale autentico breviarium fidei, ci fa fare un ripasso del Credo e della Storia sacra, ci comunica i Misteri della storia della salvezza, ci propone una selezione di passi della Scrittura e di insegnamenti dei Padri, che ispirano una parte considerevole dell’eucologia, ritroviamo le categorie portanti della fede pensata lungo i secoli in cui è stato formulato il dogma: creazione, peccato, redenzione, santificazione, vita eterna, in un’atmosfera orante che unisce spontaneamente la lex credendi alla lex orandi, che illumina e sostiene una buona lex vivendi, accompagnati dalla potente intercessione di Maria Santissima, Regina del Messale Romano del 1962, in comunione con quella Chiesa celeste che spesso ricordiamo nella MT, i cui abitanti ci fanno sentire meno soli e indifesi in questa valle di lacrime.

Sì, cari amici, più che le persecuzioni esterne e interne, più che l’apostasia dei popoli un tempo cristiani, più che l’emarginazione del Cristianesimo dalla vita sociale o la sua trasformazione in salsa buonista, la vera crisi della Chiesa è dottrinale. E la risposta alla crisi dottrinale è liturgica. Iniezioni salutari del RRA saranno più efficaci di un bombordamento chemioterapico per estirpare il tumore del modernismo le cui metastasi hanno aggredito anche la gerarchia. E il Medico divino, attraverso l’iniziativa coraggiosa e, a volte, il martirio di fedeli laici e sacerdoti, sta già operando con questa terapia. Per questo la nostra speranza nella salus Ecclesiae è, com’è per l’appunto la speranza cristiana, irrevocabilmente certa. Christus vincit!

Gratias ago vobis. Dixi