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mercoledì 7 maggio 2025

Il Vescovo Assente di Lugano: la crisi della virilità ecclesiale tra rainbow marketing e infantilismo liturgico #sedevacante #conclave

Ebbene no, non si tratta di intelligenza artificiale. Di fronte alle immagini della locandina della “veglia di preghiera per una Chiesa inclusiva” nella basilica del Sacro Cuore a Lugano – promossa dalla diocesi guidata da monsignor Alain de Reamy – e ancor più al video virale che lo mostra danzante in sottana (qui) durante la Giornata della Gioventù, si resta interdetti. Non per fare del moralismo sterile, ma per la deriva simbolica e comunicativa di una Chiesa che sembra smarrire sé stessa, proprio quando dovrebbe custodire e trasmettere una verità antica e necessaria.

QUI gli altri nostri post sulla Sede Vacante e sul Conclave 2025.

QUI gli altri nostri post sulla morte del Santo Padre Francesco e sui commenti al suo pontificato.

Che un amministratore apostolico presti il volto e l’autorità alla promozione di una veglia pro-LGBT, trasformando una basilica in palcoscenico per un “dialogo” il cui lessico proviene direttamente dagli attivismi del mondo, è già di per sé problematico. Che lo stesso vescovo si esibisca pubblicamente in coreografie danzanti, evocando più TikTok che il Timor di Dio, è simbolo di una degenerazione più profonda. Il parallelo con il cardinale Assente della serie The Young Pope, che risponde con candida disinvoltura “Sì, Santo Padre” alla domanda sulla propria omosessualità, non è solo cinematografico. È lo specchio di un’istituzione che sembra avere perso la grammatica della virilità spirituale, della sobrietà sacrale, del decoro che parla al cuore anche dei lontani.
La comunicazione ecclesiale degli ultimi anni, anziché custodire la propria autorevolezza, ha inseguito le tecniche del marketing esperienziale e dell’inclusività a ogni costo. Il logo del Giubileo 2025 – con l’inequivocabile richiamo all’arcobaleno (qui) – e la mascotte “Luce”, uscita dalla penna di un designer noto per le sue collaborazioni con brand di sex toys e Gay Pride (qui), rientrano in questa strategia pseudo-pop. Una strategia che si illude di “avvicinare” e “dialogare” ma che, in realtà, coi suoi falsi profeti produce solo disorientamento, ironia e talvolta scandalo.

Il problema non è solo estetico. È ontologico. Una Chiesa che adotta simboli di fluidità, effeminatezza e infantilismo, non trasmette più né mistero né autorevolezza. In un’epoca confusa, che chiede punti fermi, la scelta della spettacolarizzazione emotiva produce l’effetto contrario: de-legittima l’istituzione, la ridicolizza, la rende “cringe”, direbbero i giovani. E lo dicono davvero: perché molti adolescenti, interrogati sugli eventi di Lugano, confessano di vergognarsi a mettere piede in parrocchia. Non per ostilità alla fede, ma per imbarazzo verso una rappresentazione clericale che sembra ignorare il senso del limite, del pudore e della virilità spirituale.

La sociologia ci insegna che le istituzioni vivono non solo di norme, ma di riti, di simboli, di corpi. Quando un vescovo danza come una mascotte, quando il linguaggio si piega alla neolingua ideologica, quando i simboli si confondono con quelli dei carnevali di massa, ciò che decade non è la forma ma il fondamento. La Chiesa – madre e maestra – diventa amica imbarazzante, figura materna che vuole piacere a tutti e non educa più nessuno. Non è più guida, ma follower.

In un tempo di sede vacante e di conclave in essere, simili derive non sono solo errori pastorali. Sono fallimenti culturali e strategici, che rischiano di segnare una frattura generazionale irreversibile. Serve una riflessione seria, profonda, coraggiosa. Che riporti il sacro al centro. Che faccia silenzio laddove oggi si urla. Che dica, senza paura e senza danza: “Sì, siamo diversi dal mondo. Ma proprio per questo possiamo salvarlo.”



R. M. M.

5 commenti:

  1. Beh, attendendo le donne-prete godiamoci questi succedanei.

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  2. ne risponderà davanti al Tribunale Supremo di Cristo questo vescovo.

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    1. Chissà il Tribunale Supremo di Cristo si comporterà con quei vescovi che si sono creati un magistero proprio, arrivando fino agli estremi di chiamare il Santo Padre un “anticristo”?
      A naso, faranno una fine ben peggiore del vescovo di Lugano (pastore legittimo in comunione col Papa).

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  3. Verrà qualcuno a fare pulizia!

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  4. Si resta interdetti, sì, ma dalla vostra cattiveria e grettezza. Ah già, a voi piacciono solo i vescovi in odore di scomunica tipo Viganò e Strickland.

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