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martedì 29 aprile 2025

Stati Uniti: il peso dei cattolici, fra declino dei liberal e ascesa dei tradizionalisti #sedevacante #conclave #novendiali

Proseguiamo l'analisi sul prossimo Conclave.
Luigi C.


L’influenza statunitense nelle vicende attorno all’abdicazione di Benedetto XVI è un capitolo ancora tutto da scrivere che tuttavia promette d’essere gonfio di dettagli importanti quando i dossier più scottanti saranno messi a disposizione degli storici. Allo stesso modo, è probabile che il conclave che si aprirà a maggio per eleggere il nuovo successore di Pietro risentirà della nuova amministrazione USA, paese nel quale le questioni religiose sono tutt’altro che secondarie. Un aspetto che, nell’attuale Italia laicizzata, scristianizzata e secolarizzata, spesso sfugge all’osservatore oramai abituato a una politica in cui la religione è completamente espunta se non come fenomeno di colore e per lo più sfruttato a sinistra come “pappa del cuore” anche grazie allo spazio mediatico dato agli esponenti più liberal del clero cattolico rispetto agli altri.
Negli USA invece la religione è un aspetto vivo e pulsante delle esistenze dei cittadini, e ciò appare paradossale nel paese che proprio col primo emendamento della sua costituzione ha inteso separare rigidamente Stato e Chiese. La frattura tuttavia non passa più fra le diverse confessioni cristiane, come un tempo, bensì fra le interpretazioni più o meno moderniste della dottrina, polarizzando così anche la religione fra una “destra” conservatrice se non reazionaria e una “sinistra” wokeista.

In questo panorama, il cattolicesimo rappresenta una fetta importante della popolazione statunitense. Storicamente gli USA nascono totalmente protestanti, anzi, proprio anti-papisti, ma con l’immigrazione dall’Europa mediterranea e dall’Irlanda e l’inclusione degli ex territori messicani la percentuale di cattolici si è progressivamente fatta più importante, fino all’elezione nel 1960 di un presidente cattolico, John F. Kennedy, di origini irlandesi.

Statistica dei cattolici statunitensi

Oggi la popolazione cattolica è di circa 70 milioni, pari al 20% della popolazione USA. Anche questa popolazione ha subito le conseguenze della scristianizzazione della società occidentale, tanto che solo il 28% dei cattolici americani frequenterebbe almeno una messa settimanale (il 33% secondo la Gallup), rispetto al 40% dei protestanti che assistono ai loro culti regolarmente. Per paragone, gli ultimi dati relativi all’Italia parlano di meno di un italiano su cinque che frequenta regolarmente la messa, un dato che quasi dimezza il numero di fedeli nel nostro paese dall’inizio del millennio e che con l’avvento di Bergoglio nei sacri palazzi ha visto un’accelerazione.

In generale, negli Stati Uniti il calo generalizzato della frequentazione delle chiese è stato simile a quello visto in Italia: nel nostro paese si partiva da una percentuale di frequentazione di circa il 35% a inizio millennio (pontificato di Giovanni Paolo II), un calo generalizzato di 0,5-1 punti l’anno fino all’abdicazione di Benedetto XVI e poi un calo più netto (1-2 punti) nel decennio successivo, complice anche la chiusura delle chiese durante il periodo pandemico.

Negli Stati Uniti invece il numero dei fedeli praticanti partiva all’incirca dal 45% a inizio millennio, il calo si è fermato con il pontificato di Benedetto XVI e poi ha ripreso a scendere, forse anche a causa della tempesta mediatica scatenata dagli scandali montati sulla pedofilia di alcuni sacerdoti, campagne particolarmente virulente proprio oltreoceano. Anche negli USA dopo l’abdicazione di Ratzinger il calo è accelerato, con il fondo toccato durante il covid. Eppure, e qui si vede la differenza con l’Italia, negli ultimi anni si sta registrando una ripresa. A riportare gente nelle chiese c’è senza dubbio l’afflusso di immigrati dall’America latina ma anche – e questo è il tema che ci interessa – lo spazio sempre maggiore che il tradizionalismo sta guadagnando fra i fedeli statunitensi. Tanto che il numero di cattolici che osserva all’incirca una messa a settimana è dieci punti percentuali più alto di quello italiano.

Molto interessante è il paragone coi protestanti. Senza entrare nei dettagli molto variegati delle denominazioni riformate, esse sembrano mantenere un livello di frequentazione più o meno stabile dagli anni ’50 del secolo scorso, quando circa la metà della popolazione che si dichiarava protestante seguiva regolarmente gli uffici religiosi, a petto del 75% dei cattolici statunitensi. Scristianizzazione, laicizzazione e secolarizzazione sembrano dunque aver colpito più duramente i cattolici che in 15 lustri hanno perduto oltre i due terzi dei fedeli praticanti contro un quinto dei protestanti che ha smesso d’andare in chiesa.

Peraltro gli ex cattolici (quindi non solo coloro che sono “cattolici non praticanti”, ma proprio coloro che dichiarano d’aver abbandonato la fede) rappresentano la percentuale maggiore di chi in America si definisce ateo o laico. Fra gli apostati, un’importante fetta dichiara d’aver lasciato la religione per questioni politiche (come l’atteggiamento della Chiesa verso i gay e l’aborto) e almeno un terzo per gli scandali, segno che le campagne mediatiche su queste tematiche hanno avuto un impatto pesante.

Tradizionalisti vs. modernisti

Il ritorno a pratiche antiche e a una maggiore solennità è spesso polarizzante fra conservatori e liberal. Il caso della parrocchia di St. Maria Goretti (Wisconsin), nel 2021, è stato esemplare: l’introduzione della Messa in latino da parte di un sacerdote tradizionalista, padre Scott Emerson, ha provocato proteste dai fedeli liberal, abituati a messe moderne e giocose. Il maggiore rigorismo, come per esempio la fine della pratica delle “chierichette” e l’imposizione della talare ai sacerdoti al posto degli abiti informali post-Vaticano II, ma anche le posizioni nette su aborto, temi LGBT, peccato e inferno, hanno provocato un’emorragia di fedeli verso altre parrocchie o addirittura verso il protestantesimo. Tuttavia dopo un’iniziale perdita di fedeli e di iscritti alla scuola parrocchiale (perfino fra il personale e i docenti, che si sono licenziati), la parrocchia ha ricominciato a riempirsi, richiamando nuovi fedeli, soprattutto famiglie numerose e donne che ora attendono alle funzioni con la tradizionale veletta, mentre il numero di iscritti alle associazioni parrocchiali stanno letteralmente “schizzando verso l’alto”.
In questo panorama, mentre diminuiscono le chitarre e aumentano incenso, canti gregoriani e latino, si assiste a una progressiva fuoriuscita dalla Chiesa cattolica di tiepidi e modernisti liberal, lasciando sempre più spazio ai tradizionalisti. A parte il tema dell’aborto, divisivo ma apparentemente meno determinante di tante altre tematiche (oltre il 60% dei cattolici USA si dichiara favorevole in alcuni casi all’aborto, percentuale che è evidentemente distribuita più a sinistra che a destra, ma che non è esclusiva dei cattolici liberal), in generale i cattolici si dividono più o meno a metà fra progressisti e conservatori, e fra questi ultimi si trova quasi per intero lo zoccolo duro dei tradizionalisti.

I cattolici tradizionalisti negli Stati Uniti stanno infatti giocando un ruolo significativo nel rallentare il declino della pratica religiosa tra i cattolici, in particolare la frequentazione della messa, nonostante il calo generale della fede cattolica. La loro influenza è visibile tra i giovani, nei seminari e in alcune comunità, dove il loro approccio rigoroso alla liturgia, alla dottrina e alla devozione attira una base fedele e praticante.

I tradizionalisti-conservatori (stimati al 20-30% dei cattolici) si caratterizzano per:Preferenza per la Messa Tridentina (circa il 5-10% dei fedeli) o un Novus Ordo celebrato con solennità.
Adesione alla dottrina pre-Vaticano II sulle questioni morali (es. opposizione ad aborto, contraccezione, “matrimonio” omosessuale).
Pratiche devozionali tradizionali (Rosario, adorazione eucaristica).
Sovrapposizione con il conservatorismo politico, spesso legato al movimento MAGA.

Il tradizionalismo, così, si traduce non solo in un aumento della pratica religiosa, ma anche dell’attivismo politico.

I cattolici si spostano a destra

In questo panorama nel 2020 solo il 46% dei cattolici votò Trump, complice anche il cattolicesimo dichiarato dal suo avversario Joe Biden. Ma la nuova tornata elettorale del 2024 ha visto un ribaltamento delle preferenze cattoliche, stavolta a favore del candidato MAGA, con i tradizionalisti come traino: la percentuale di cattolici a sostegno di Trump è infatti salita al 55% nelle scorse presidenziali, con picchi del 65% fra i tradizionalisti in generale e del 70% fra i tradizionalisti più giovani.
I cattolici tradizionalisti/conservatori hanno avuto un ruolo determinante nel voto pro-Trump, specialmente negli Stati chiave come la Pennsylvania e il Wisconsin. La loro alta frequentazione della messa si traduce in un impegno politico elevato, con una forte mobilitazione per questioni come l’aborto, la famiglia tradizionale e l’immigrazione, temi centrali per il MAGA. Rispetto a un’affluenza generale del 63%, i cattolici tradizionalisti\conservatori hanno dimostrato una partecipazione elettorale che ha sfiorato l’80%, mostrando così una probabile connessione diretta fra i valori cattolici tradizionali e l’impegno politico, anche per la spinta di intellettuali come padre Mike Schmitz e piattaforme come EWTN, che promuovono una fede ortodossa e conservatrice.

Non è casuale, dunque, che l’FBI dell’era Biden avrebbe messo sotto osservazione le comunità cattoliche tradizionaliste con il suo apparato di spionaggio poliziesco.
Tradizionalismo baluardo della Chiesa
Come visto, almeno il 35% dei cattolici americani sotto i 40 anni è in qualche misura tradizionalista. La crescita dei tradizionalisti tra i giovani sta rallentando il calo della pratica religiosa almeno in questa fascia demografica. Ad esempio, le diocesi tradizionaliste come Arlington (Virginia) e Lincoln (Nebraska) riportano un aumento del 5-10% nella frequentazione giovanile dal 2019, mentre le diocesi liberal (es. Chicago) vedono cali del 10-15% (fonte: Catholic Herald, 2024).

Anche sul fronte delle vocazioni, è il tradizionalismo che arresta l’emorragia: nel 2023, gli Stati Uniti contavano circa 34.092 sacerdoti (diocesani e religiosi), secondo il Vatican’s Central Office of Church Statistics (Annuarium Statisticum Ecclesiae 2023). Questo numero riflette un calo rispetto ai 36.580 del 2018 (USCCB, 2018) e ai 37.302 del 2015 (CARA), con una diminuzione costante. Di questi, quasi il 3% officia regolarmente in Vetus Ordo, pari a ben un quinto di tutti i sacerdoti tradizionalisti del mondo, cifra che non comprende chi officia saltuariamente o di nascosto a causa dei divieti da parte di diocesi particolarmente progressiste. Inoltre il 25% dei seminaristi ordinandi nel 2023 era tradizionalista, contribuendo a circa 100-150 nuovi preti tradizionalisti all’anno su 500-600 ordinazioni totali. Nel 2024, questa tendenza è continuata, con seminari come quello FSSP a Denton (Nebraska) che formano circa 100 seminaristi all’anno. Inoltre, almeno l’80% dei nuovi sacerdoti ordinati si definiscono comunque “conservatori”, tanto che The New York Times lanciava un allarme sulla possibile scomparsa dei preti progressisti nel giro di qualche decennio.

Gli Stati Uniti, insomma, costituiscono oggi l'”azionista di maggioranza” del tradizionalismo cattolico.

L’effetto sulla fede dei sacerdoti tradizionalisti è palpabile. Secondo varie fonti costoro attraggono fedeli, aumentando la frequentazione locale del 20-30% nelle parrocchie dove servono, mentre coloro che preferiscono la Messa Tridentina o pratiche pre-Vaticano II, spesso affiliati a gruppi come FSSP o SSPX hanno in tutti gli USA quasi 600 luoghi dove possono frequentare Messa in latino, un indicatore importante di questa nicchia. Per confronto, si consideri che in Italia le chiese o le cappelle in cui viene ancora officiato il rito antico sono solo fra 100 e 150, di cui una ventina collegate ai lefebriani, quindi non direttamente riferibili alla chiesa di Roma. Un numero in calo dopo la stretta ordinata da Bergoglio contro il Vetus Ordo, in particolare con il motu proprio “Traditionis custodes” del 2021.

In conclusione negli USA, i cattolici sono profondamente divisi tra progressisti, che abbracciano il Vaticano II e tendono verso il Partito Democratico, e tradizionalisti, critici delle riforme conciliari e spesso vicini al MAGA per valori pro-vita e familiari. La polarizzazione è evidente: i liberal dominano tra i laici (50-60%), i tradizionalisti (20-30%) crescono tra i giovani e i sacerdoti (2-3% del clero, 25% dei seminaristi). Esiste una zona grigia intermedia che non è attratta da una religiosità tradizionalista eppure sembra più propensa a schierarsi a destra. Fra i progressisti tuttavia si assiste a una emorragia di fedeli, con una forte propensione ad abbandonare la fede per l’ateismo, l’agnosticismo o le altre confessioni, per lo più per motivi politici (lato sensu).
Il conclave e la presenza dei cardinali statunitensi
Veniamo ora ad analizzare l’impatto che potrebbero avere i cardinali elettori statunitensi nel prossimo Conclave. Gli Stati Uniti invieranno nove cardinali elettori al Conclave. Di questi cinque (Cupich, McElroy, Tobin, Prevost, Gregory) sono chiaramente progressisti e modernisti, allineati con le riforme di Bergoglio. Altri tre (Dolan, Burke, Harvey) sono conservatori, con Burke che rappresenta l’estremo tradizionalista. L’ultimo, Farrell è un moderato con tendenza progressista.

I cardinali progressisti dominano dunque numericamente, riflettendo l’influenza bergogliana, che ha nominato 108 dei 135 elettori totali. Tuttavia, i conservatori, pur in minoranza, sono attivi nel costruire alleanze, specialmente Burke, che potrebbe influenzare il dibattito su temi etici e liturgici.
La tensione tra tradizionalismo e modernismo è evidente. Burke è il principale esponente tradizionalista, opposto alle riforme post-Concilio Vaticano II, mentre cardinali come Cupich e McElroy incarnano un cattolicesimo modernista, sinodale e “inclusivo”. Dolan e Harvey rappresentano una via di mezzo, accettando il Concilio ma con attenzione alla tradizione.
Andiamo ora ad analizzarli nel dettaglio:

Blase J. Cupich (75 anni, Arcivescovo di Chicago)

Progressista, vicino all’ala sinodale e “inclusiva” della Chiesa. È noto per sostenere le riforme di Bergoglio, come la sinodalità e un approccio pastorale aperto su temi come immigrazione e giustizia sociale. È critico verso posizioni conservatrici, specialmente su questioni come l’aborto e i diritti LGBT. Modernista, promuove un’interpretazione progressista del Concilio Vaticano II, con enfasi su dialogo interreligioso e “inclusività”. È associato alla “radicalità inclusiva” e alla continuità con le riforme di Francesco. Contrario a figure come Donald Trump, in linea con una visione progressista globale.

Timothy M. Dolan (75 anni, Arcivescovo di New York)

Conservatore moderato. È considerato un “conservatore illuminato”, con un approccio pragmatico e carismatico. Ha espresso posizioni favorevoli a leader politici conservatori come Trump su temi etici (es. aborto), ma mantiene un tono dialogante.
Si pone come tradizionalista moderato. Pur accettando il Concilio Vaticano II, è attento alla tradizione liturgica e dottrinale, senza estremismi. Potrebbe sostenere candidati come Pierbattista Pizzaballa per bilanciare tradizione e diplomazia. Più vicino a posizioni repubblicane, ma non radicale.

Robert W. McElroy (71 anni, Arcivescovo di Washington, D.C.)

McElroy è un progressista convinto. Critico aperto di Donald Trump, è noto per il suo impegno su temi come i “diritti degli immigrati”, la “giustizia sociale” e l’ambiente. È una figura di spicco nel cattolicesimo progressista statunitense. Sostiene fortemente le riforme di Bergoglio, in particolare sulla sinodalità e l’apertura a questioni sociali contemporanee. È vicino a cardinali come Mario Grech e Jean-Claude Hollerich.

Joseph W. Tobin (72 anni, Arcivescovo di Newark)

Progressista, ha mostrato apertura su temi come l'”inclusione” delle persone LGBT e l’accoglienza degli immigrati, in linea con l’agenda pastorale bergogliana. Liturgicamente modernista, promuove un approccio inclusivo e dialogante, con enfasi sulla “misericordia” e sull’adattamento della Chiesa ai tempi moderni. Ostile ai conservatori, si pone vicino a una visione democratica e progressista.

Kevin J. Farrell (77 anni, Camerlengo di Santa Romana Chiesa)

Farrell è un moderato, con un profilo diplomatico. Come Camerlengo, ha un ruolo amministrativo chiave durante la sede vacante, ma non si è espresso apertamente su questioni politiche divisive. Modernista moderato. È stato nominato da Bergoglio e sostiene le sue riforme, ma il suo ruolo è più amministrativo che ideologico. Ha un atteggiamento politico neutrale o non chiaramente definito, ma incline a una linea progressista per via della sua vicinanza a Bergoglio.

Raymond L. Burke (76 anni, Patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta)

Ultraconservatore. Leader dell’ala tradizionalista, è stato critico verso Jorge Bergoglio su temi come l’omosessualità, il divorzio e la liturgia. Ha chiesto di negare la comunione a politici pro-aborto come Joe Biden e John Kerry. È vicino a posizioni politiche conservatrici negli USA, con simpatie per il movimento MAGA. Tradizionalista intransigente sostiene la Messa tridentina e si oppone alle riforme modernizzatrici del Concilio Vaticano II. È considerato l'”anti-Francesco” per eccellenza ed è favorevole a Trump e a politiche conservatrici.

James M. Harvey (75 anni, Arciprete emerito della Basilica di San Paolo fuori le Mura)

Posizione politica: Conservatore. Non è una figura di primo piano nel dibattito politico, ma le sue posizioni tendono verso il tradizionalismo, con un approccio meno conflittuale rispetto a Burke. Tradizionalista moderato. È fedele alla tradizione cattolica, ma non si oppone apertamente alle riforme di Bergoglio. Non ha esplicitato una posizione politica dichiarata,.

Robert F. Prevost (69 anni, Prefetto del Dicastero per i Vescovi)

Progressista moderato. Nominato da Bergoglio, è coinvolto nella selezione dei vescovi, un ruolo che riflette una visione aperta e riformista. È in linea con l’approccio modernista, promuovendo una Chiesa più “inclusiva” e meno eurocentrica.

Wilton D. Gregory (77 anni, Arcivescovo emerito di Washington, D.C.)

Progressista. È noto per il suo impegno su questioni di giustizia razziale e sociale, con un approccio pastorale “inclusivo”. Ha avuto tensioni con ambienti conservatori su temi come l’accesso alla comunione per politici pro-aborto. Sostiene le riforme di Bergoglio e un approccio aperto alle questioni wokeiste.

Washington chiama, Roma risponde?

L’influenza dell’amministrazione Obama nella caduta del papato di Benedetto XVI è tutt’ora oggetto di speculazioni. Si sa che fra i documenti rivelati da Wikileaks vi sono email in cui John Podesta (consigliere di Hillary Clinton) e Sandy Newman (Voices for Progress) discutono dell’organizzazione di una “primavera cattolica” per riformare la Chiesa, descritta come una “dittatura medievale”. L’obbiettivo sarebbe stato influenzare la Chiesa USA spingendola verso temi wokeisti, emarginando i vescovi conservatori. Su questi punti era stata anche avanzata una richiesta di indagine ufficiale durante il primo anno di presidenza Trump, richiesta caduta nel vuoto.
Fra i motivi che si sospettano dietro il gesto di Benedetto XVI vi potrebbe essere il blocco delle transazioni dello IOR (la banca vaticana) tramite il sistema Swift nel dicembre 2012, deciso dopo che il Dipartimento di Stato USA aveva inserito il Vaticano tra i paesi a rischio riciclaggio nel marzo 2012. Il blocco avrebbe “strangolato” finanziariamente il Vaticano, impendendo per esempio il sostegno economico alle parrocchie e ai sacerdoti. Le transazioni furono sbloccate il 12 febbraio 2013, esattamente il giorno dopo l’annuncio dell’abdicazione di Benedetto XVI.
Di fatto, la sostituzione di Benedetto XVI con Jorge Bergoglio ha messo sul Soglio di Pietro una dirigenza politica largamente aperta verso la gran parte dei punti dell’agenda dell’internazionale dem, in particolare l’ambientalismo e l’immigrazionismo, ma anche con significative sterzate verso il pride e il femminismo di quarta ondata. Non secondarie sarebbero state le ricadute in ambito geopolitico, con la fine dell’avvicinamento con la chiesa di Mosca e le aperture al luteranesimo e all’islam.
Alcuni gesti simbolici, come la sostituzione del latino con l’inglese nei libretti del messale domenicale in San Pietro sono apparsi come un segnale di un allineamento del Vaticano a un’agenda globalista.
La nuova era Trump
L’amministrazione Trump del 2025 si distingue per una presenza significativa di cattolici in ruoli chiave, con almeno una dozzina di nomine di cattolici praticanti in posizioni di vertice, inclusi membri del Gabinetto e consiglieri senior. A seconda delle interpretazioni di cosa siano i “ruoli chiave” comunque si può calcolare una percentuale oscillante fra il 48 e il 60% dei ruoli di vertice nel Gabinetto. I cattolici (20% della popolazione USA) esprimono da metà a tre quinti dei ruoli chiave nel governo Trump.
Questo inoltre rispetto alla prima amministrazione Trump (2017-2021), dominata da protestanti, si differenzia dall’amministrazione Biden, che includeva cattolici (a partire dal presidente) ma con un orientamento più liberal. Dunque, considerando che la proporzione dei conservatori e tradizionalisti fra i cattolici e di circa il 30% del totale, si può ben dire che il 6-7% della popolazione statunitense è riuscita a piazzare un suo uomo in almeno metà degli scranni più significativi dell’attuale Casa Bianca.

L’esponente cattolico più in vista è ovviamente J.D. Vance, il vicepresidente. Convertito al cattolicesimo nel 2019, Vance è una figura centrale, descritto come uno dei politici cattolici più influenti. La sua fede, ispirata da Sant’Agostino e dalla tradizione intellettuale cattolica, guida il suo approccio politico, che si allinea alla dottrina sociale cattolica su temi come famiglia, lavoro e solidarietà, ma si riserva anche autonomia di giudizio su questioni come la fecondazione in vitro, che sostiene nonostante l’opposizione della Chiesa.
Vance promuove politiche pro-famiglia, come l’espansione del credito d’imposta per i figli (fino a $5.000 per bambino), e si è espresso a favore dei sindacati nel segno della Dottrina Sociale della Chiesa, citando l’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII.

Diversi membri del gabinetto Trump, poi, sono di fede cattolica:Marco Rubio (Segretario di Stato): Cattolico praticante, Rubio è stato confermato dal Senato. La sua fede lo porta a sostenere politiche pro-vita e pro-famiglia, pur mantenendo un approccio pragmatico.
Sean Duffy (Segretario ai Trasporti): Cattolico, padre di nove figli, ha una storia di impegno pro-vita e conservatore.
John Ratcliffe (Direttore della CIA): Cattolico formatosi all’Università di Notre Dame, è noto per il suo conservatorismo.
Elise Stefanik (Ambasciatrice ONU): Cattolica, è una figura di spicco tra i repubblicani, anche se ha offerto un sostegno indiretto al “matrimonio” omosessuale con alcuni voti, in passato, che hanno finito per sostenere le unioni fra individui dello stesso stesso nel nome della libertà degli Stati a legiferare e dell’uniformità legislativa.
Linda McMahon (Segretaria all’Istruzione): Cattolica, nominata per riformare il sistema educativo con un approccio conservatore.
Lori Chavez-DeRemer (Segretaria al Lavoro): Cattolica, rappresenta un’ala più moderata del GOP.
Kelly Loeffler (Amministratrice SBA): Cattolica, nota per il suo conservatorismo economico.
Robert F. Kennedy Jr. (Segretario alla Salute e Servizi Umani): Nato cattolico, non è praticante, ma la sua nomina riflette l’influenza della tradizione cattolica della famiglia Kennedy.
Altri ruoli chiave nell’apparato dell’attuale Casa Bianca sono stati affidati a personalità di fede cattolica:
Tom Homan (“Border Czar“): Cattolico, ex direttore dell’ICE, è responsabile dell’immigrazione, incluse le politiche di remigrazione mirate.
Karoline Leavitt (Portavoce della Casa Bianca): Cattolica, la più giovane portavoce nella storia, attribuisce i suoi valori pro-vita alla sua educazione cattolica.
Brian Burch (Ambasciatore presso la Santa Sede): Co-fondatore di CatholicVote, rappresenta un cattolicesimo di destra, critico verso Bergoglio su temi come immigrazione e diritti LGBT.
Callista Gingrich (Ambasciatrice in Svizzera): Cattolica, ex ambasciatrice presso la Santa Sede sotto Trump.

La maggior parte dei cattolici nominati da Trump appartiene a un’ala conservatrice, spesso allineata con il movimento MAGA. Promuovono politiche pro-vita, pro-famiglia e pro-libertà religiosa, in netto contrasto con l’agenda progressista di Biden. Questo riflette un crescente interesse nel GOP per la dottrina sociale cattolica, che va oltre l’aborto per includere il sostegno a matrimonio, genitorialità e istituzioni non governative come le chiese. Ciò riflette anche uno spostamento del GOP da posizioni liberiste a posizioni di “destra sociale”, relativamente inedite nel panorama politico americano.
Ad esempio, le politiche pro-famiglia propugnate da Vance e Rubio spingono per misure come l’espansione del credito d’imposta per i figli, ispirate da modelli europei come quello dell’Ungheria.
Vance inoltre ha citato esplicitamente l’enciclica Rerum Novarum in un’intervista del 2023 con First Things, sottolineando che il cattolicesimo lo ha spinto a vedere i sindacati come un baluardo contro lo sfruttamento capitalistico, per una “giusta remunerazione” e la dignità del lavoro, in contrasto con il “capitalismo woke”.

Il peso del Cattolicesimo conservatore nell’attuale amministrazione USA è dunque rilevantissimo. Questo avrà senza dubbio una sua influenza nella fumata del Conclave, quale che ne sarà, effettivamente, il “colore”.