Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1192 pubblicata da Paix Liturgique il 28 aprile, in cui si riflette sulla necessità che il prossimo Sommo Pontefice ristabilisca e ricostruisca la pace liturgica nella Chiesa cattolica, lasciando «piena libertà di sviluppo alle forze vive che ancora si manifestano all’interno di un Cattolicesimo agonizzante, che ancora riempiono le chiese, generano vocazioni, sviluppano la missione».
Basterebbe veramente poco, «sarebbe sufficiente, senza cambiare nulla, un “lasciar fare” nella carità».
L.V.
Dopo il tempo della demolizione, preghiamo affinché venga il tempo della costruzione
Si possono esprimere molti giudizi sul pontificato che si è appena concluso. Una cosa negativa è certa: non ha affatto favorito la pace all’interno del Cattolicesimo. Le sue prese di posizione morali hanno profondamente diviso. E la sua lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 ha riacceso una guerra liturgica che la lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum aveva contribuito ad appianare.
Ma, dice l’Ecclesiaste (3, 1, 3), «per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. […] Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire». Ebbene, oggi è il tempo per guarire, ora è il tempo per costruire.
Per la pace della Chiesa
Sebbene l’analogia storica sia molto imperfetta, innanzitutto perché i sostenitori della liturgia tradizionale sono quanto mai lontani dalle tesi gianseniste, vorremmo ricordare un esempio storico interessante, quello della «Pax Clementina» del 1669, una pace della Chiesa istituita per placare la grande crisi che sconvolse la Chiesa francese nel XVII e XVIII secolo. La Pax Clementina o «Pace della Chiesa» voluta da Papa Clemente IX per la Francia, dove il vescovado, le università, il clero e i parlamenti erano lacerati dalle infinite polemiche dell’affare giansenista.
Nello stato di abbandono in cui si trova oggi la Chiesa in Occidente, che vede i suoi fedeli allontanarsi da ogni pratica religiosa, i seminari chiudere i battenti, la missione spegnersi, le finanze ecclesiastiche esaurirsi, ha senso perseguitare le celebrazioni tradizionali?
È vero che le assemblee parrocchiali attorno alla Santa Messa tradizionale sono sempre più numerose, con un’età media molto più bassa rispetto alle Parrocchie ordinarie. Sono composte da famiglie per lo più giovani. Le vocazioni attratte da questa forma di culto fanno sì che i seminari tradizionali siano pieni. Le conversioni, specialmente di giovani, sono numerose. C’è ancora motivo di gelosie sterili? È chiaro che la politica di emarginare, vessare, perseguitare questa parte del mondo cattolico, lungi dall’essere maggioritaria ma estremamente vivace, è alla lunga insostenibile.
Il giovane clero diocesano conta tra l’altro un numero notevole di seminaristi e giovani sacerdoti molto favorevoli alle forme antiche. L’insieme di questi ecclesiastici, molto più classici dei loro predecessori delle generazioni precedenti, non capisce la guerra che le autorità stanno facendo a una parte dei sacerdoti e dei fedeli.
Per non parlare dello spreco di personale ecclesiastico in un momento in cui siamo diventati così poveri. I sacerdoti «specializzati» formati nei seminari tradizionali non chiederebbero di meglio che prestare servizio nella pastorale «trasversale», al servizio dei malati nelle Parrocchie o negli ospedali, assicurando un certo numero di cappellanie ecc. E per il bene di tutti, in primo luogo per il bene della pace e l’immensa soddisfazione dei loro parrocchiani, i Parroci, se ne avessero la libertà, assicurerebbero volentieri entrambe le forme di culto.
Per la libertà della liturgia tradizionale
È diventato evidente che, in virtù della libertà della Chiesa, dovrebbe essere lasciata piena libertà di sviluppo alle forze vive che ancora si manifestano all’interno di un Cattolicesimo agonizzante, che ancora riempiono le chiese, generano vocazioni, sviluppano la missione. Tra queste vi è la parte dei Cattolici che si raggruppano attorno alla vita cultuale tradizionale. Se nel mondo occidentale il Cattolicesimo sta scomparendo dalla sfera pubblica, la celebrazione dignitosa e santa della liturgia offerta dalla liturgia tradizionale è sicuramente uno degli elementi di una possibile rinascita e di un nuovo slancio missionario.
Tuttavia, contro ogni giustizia e soprattutto contro ogni buon senso, a questa liturgia vengono concessi solo pochi spazi di vita, misurati, nella migliore delle ipotesi tollerati. Ciò è tanto più privo di senso in quanto tutti i tentativi di ridimensionare questa liturgia si sono rivelati inutili: nessuna delle misure con cui si è voluto soffocarla ha impedito che si diffondesse (in Europa, in America, ma oggi in più di cento Paesi dove la liturgia tradizionale è viva) e che consolidasse la fede e la pietà di coloro che la praticano.
Abbiamo accennato ai frutti di crescita delle vocazioni e delle conversioni che essa procura. Attorno ad essa fioriscono opere giovanili, opere scolastiche, un solido insegnamento catechistico. E poi, è un fatto massiccio, rappresentato in modo emblematico dal Pèlerinage de Pentecôte (da Parigi a Chartres) e dagli altri pellegrinaggi che si organizzano oggi in Francia e nel mondo: la liturgia tradizionale attira i giovani. In un contesto di emorragia di fede, essa è un mezzo comprovato di trasmissione della fede, in particolare nelle famiglie, e di conservazione della pratica religiosa.
Jean-Pierre Maugendre, direttore generale dell’associazione Renaissance catholique, nell’appello lanciato in sette lingue a favore della libertà della liturgia tradizionale il 21 aprile 2024, e ripreso in tutto il mondo su riviste, siti e social network come espressione evidente di un sentimento universalmente condiviso, diceva: «chiediamo semplicemente, in nome della vera libertà dei figli di Dio nella Chiesa, che venga riconosciuta la piena e completa libertà della liturgia tradizionale, con il libero uso di tutti i suoi libri, in modo che, senza ostacoli, nel rito latino, tutti i fedeli possano beneficiarne e tutti i chierici possano celebrarla» [QUI; QUI su MiL: N.d.T.].
«Lasciare fare», «lasciare vivere»
Questa misura benefica, precisava Jean-Pierre Maugendre, e noi lo ribadiamo, non richiede alcuna legislazione supplementare, ad esempio la pubblicazione di un nuovo motu proprio che contraddirebbe quello di papa Francesco.
È sufficiente che le autorità ecclesiastiche decidano semplicemente di cessare le misure coercitive contro la liturgia antica. È sufficiente, senza cambiare nulla, un «lasciar fare» nella carità. In fondo, non si tratta di altro che dell’applicazione del consiglio che Gamaliele dava agli Ebrei riguardo ai primi Cristiani: «ecco ciò che vi dico: Non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio!» (Atti 5, 38-39).
Questo atteggiamento pacificatore è quindi il più semplice da realizzare, lasciando la libertà concreta sotto forma di un «lasciar vivere» ovunque e senza ostacoli la liturgia immemorabile della Chiesa latina.
“Lasciateci fare”.
RispondiEliminaAllucinante! E questi sarebbero cattolici e fedeli figli della Chiesa?
Sì, al pari di tante altre realtà della Chiesa (e delle parrocchie): AC vuole cantare l'Alleluia delle lampadine e se il parroco osa storcere il naso, sono piagnistei e alzate di scudi; i neocatecumenali vogliono celebrare il sabato sera e secondo il loro "rito" con le loro schitarrate e guai a dire di no; il Rinnovamento dello Spirito impongono i loro canti anche in Messe solenni; ecc ecc.
EliminaPerò se a dire "lasceteci fare" sono questi, va tutto bene. Perchè se lo dicono i tradizionalisti (vessati e con molte limitazioni) si grida allo scandalo???
Ma il cosiddetto “Alleluia delle lampadine” (ormai dalle mie parti caduto nel dimenticatoio) che problema avrebbe? Quello di far cantare i bambini?
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