Giovedì 8 novembre scorso, il Santo Padre ha ricevuto in udienza nella
Sala del Concistoro un gruppo di membri della Famiglia Calasanziana riunita
"nel carisma educativo del Patrono universale di tutte le scuole popolari
cristiane, San Giuseppe Calasanzio". Ricordando il santo e la sua opera,
Papa Bergoglio ha detto: "Il vostro
Fondatore, di famiglia agiata, destinato probabilmente a una «carriera
ecclesiastica» – termine che mi ripugna e che andrebbe abolito –, venuto a Roma
con incarichi di un certo livello, non ha esitato a stravolgere programmi e
prospettive della sua vita per dedicarsi ai ragazzi di strada incontrati in
città". (Testo completo del discorso)
La sorpresa. Non era mai accaduto che
Papa Bergoglio si esprimesse, tantomeno altri Papi, in questo modo, al punto di
dire che l'espressione «carriera
ecclesiastica» (da lui pronunciata) è qualcosa che gli "ripugna" e augurarsi addirittura
che venga "abolita".
Perché
questo linguaggio e questa rabbia? E poi un’allocuzione normale e corretta da
abolire, ma da cosa? Dal dizionario? Dal vocabolario religioso? Dai testi della
Chiesa? Dal suo stesso linguaggio? Se per il Papa è un'espressione così
ripugnante, perché allora la pronuncia?
"Carriera
ecclesiastica" è una dicitura che - secondo i desideri del Papa - andrebbe
abolita e quindi tolta da decine di libri in cui si racconta la biografia del
Pontefice e la sua “carriera ecclesiastica”, in particolare da quando il
cardinale Antonio Quarracino lo chiamò (1992) a fare il suo Vescovo ausiliare
(Buenos Aires) fino alla sua elezione al Soglio di Pietro.
E
se così, perché frutto di una specie di miracolo semantico, venisse abolita
questa espressione, quante altre dovrebbero subire la medesima sorte, anche per
il bene della Chiesa?
Una nuova "bergogliata".
Quanto detto dal Pontefice è un suo tipico modo di esacerbare il linguaggio per mandare il solito messaggio; modalità conosciutissima da oltre undici anni e molto attraente per una buona parte della stampa. Con questo modo di parlare, Papa Francesco prova a far passare tutto il suo astio, rifiuto e acredine nei confronti della parola "carriera" quando viene associata alla vocazione sacerdotale. In altre parole, vuole sottolineare, giustamente, che il sacerdozio non è una professione o un mestiere, ma per creare il caso mediatico cerca di inflazionare come cosa cattiva il parlare di "carriera ecclesiastica". Aveva a sua disposizione una parola dirimente, ‘carrierismo’, ma non ha voluto usarla. Ancora una volta al posto di parlare con misura e precisione ha scelto il clamore quasi scandalistico nella bocca del Pontefice,
Questa espressione, "carriera ecclesiastica", ormai non ha
nessuna accezione o valenza malvagia a meno di voler darle deliberatamente
questa qualifica (per spettacolarizzare la questione). l Papa ottantenne Jorge
Mario Bergoglio è Vescovo di Roma, Papa, proprio perché la sua vocazione
sacerdotale è stata una lunga e articolata carriera ecclesiastica, un percorso
(in diversi fasi programmato sapientemente) all'interno della realtà
ecclesiastica cattolica e gesuita. Lo dicono centinaia e centinaia di
biografie.
Quando aveva 27 anni ed era in Cile (1963), Bergoglio confessò ad un
gruppo di fratelli seminaristi gesuiti, rimasti perplessi, che lui aspirava a
“diventare Maestro di novizi”, dimostrando così di avere una prospettiva, una
meta da raggiungere, un percorso da fare, una carriera all’interno della
Compagnia di Gesù. E tra l’altro diceva una cosa legittima seppure non comune.
Sul breve soggiorno del
seminarista Bergoglio in Cile (1963) abbiamo le testimonianze dirette di due
gesuiti, Jorge Delpiano e Luis Eduardo Bresciani, e di un laico ex gesuita Raúl
Vergara, morto nel 2021 a quasi 80 anni, accademico prestigioso, esperto in
economia e conosciuto in America Latina.
Vergara racconta che in
quel periodo sentirono dire a Jorge Mario Bergoglio, diverse volte, di voler
diventare Maestro di novizi. "Io - ricorda Vergara - sono rimasto
disorientato quando disse questo perché esiste una norma implicita di
Sant'Ignazio, nelle Costituzione della Compagnia, che dice che nessuno può
aspirare (deliberatamente) a cariche di direzione". (Fonte – 2018 – Universidad Católica de Chile)
Da
ricordare che anni dopo, a 34 anni, p. Bergoglio divenne Maestro di novizi e
successivamente Provinciale dell’Argentina.
Insomma,
questo passaggio del Papa sulla “carriera ecclesiastica” è un altro piccolo
esempio di un grande talento del Santo Padre: abilità per manipolare le parole,
in questo caso per parlare sul “carrierismo” associandolo alla “carriera”,
fenomeni ben diversi anche dal punto di vista etico. Paradossalmente, a
proposito di carriera e carrierismo, durante il pontificato di Francesco sono
aumentati i casi di presbiteri senza meriti e competenze, che hanno visto le
loro carriere ecclesiastiche progredire senza che tutto ciò sia sinonimo di
preparazione, adeguatezza e autorevolezza.
Vocazione,
carriera-carrierismo e cooptazione. Ovviamente nessuno nasce con una vocazione papale
ma nessuno viene nemmeno eletto Papa se alle spalle non ha una “carriera
ecclesiastica”, nata da questa specifica vocazione e dal successivo faticoso
percorso. Se fosse riconosciuto con onesta e serenità che nella gerarchia della
Santa Sede si tratta meccanismi secolari ed efficaci si dovrebbe dire, per fare
un esempio vicino, che Ratzinger, Montini e Pacelli, sono stati Vescovi di Roma
Papi discutibili perché notoriamente ecclesiastici di carriera.
Papa
Bergoglio, inoltre, è figlio di una “carriera ecclesiastica” e fa male a
demonizzarla, fa una cosa banale, demagogica e fuorviante. Avere una “carriera
ecclesiastica” non è necessariamente sinonimo automatico di ambizione smisurata
o di poca sincerità nel proprio sacerdozio. Ciò succede frequenza con in certi
ambienti che favoriscono questo modo di pensare e di essere. La Santa Sede, il
Vaticano, la Segreteria di Stato, i Dicasteri, la Curia in generale, spesso
sono percepiti con questa ottica, sotto questa luce. I principali colpevoli di
questa distorsioni sono i presbiteri interessati. Papa Bergoglio stesso lo
diceva, lo denunciava, quando era a Buenos Aires e poi, già Pontefice, lo ha
ripetuto apertamente due o tre volte.
L’evidente
senso spregiativo del suo passaggio nel discorso del 28 novembre scorso si
presta per analisi ambigui e ciò dunque è propaganda, non nuova, destinata a
rinforzare l’icona mediatica del “Papa progressista” che combatte –
nell’affabulazione mediatica - contro la “carriera ecclesiastica” poiché in
questa casta si annida qualcosa di “ripugnante” [da abolire]. Insomma: un nuovo
colpo di Bergoglio in linea con l’iconografia del Vescovo di Roma progressista
e riformatore, cosa che non succedeva da molti secoli, almeno 12, tempo
nell’arco del quale l’Europa s’impadronì della Sede di Pietro, in particolare il
clero e la gerarchia della Chiesa italiana.
Il potere
usa il carrierismo per governare. Una parte sostanziale delle professioni ha
all'origine una vocazione e il massimo di questa vocazione è possibile se la
vocazione stessa si sviluppa, cresce e si perfeziona. Queste esperienze si
vivono come una carriera, un impegno progressivo nel corso del quale si
accrescono le relazioni, le competenze e le conoscenze. Non c’è contraddizione
fra vocazione e carriera. Il problema è un altro: saper mettere la carriera al
servizio della propria vocazione evitando di cedere alle lusinghe del potere.
E’ proprio il potere il
primo amministratore del carrierismo poiché lo sa usare come metodo di governo.
E questo accade in tutta la Chiesa Cattolica, dalle parrocchie alla Sede
Apostolica. La cooptazione ("assunzione di un membro in un corpo od organo
collegiale, mediante designazione da parte dei membri già in carica") è
l'espediente che usa la Chiesa Cattolica, ovviamente il Vaticano, per formare
la sua classe dirigente, la sua nomenklatura, e anche buona pare della
gerarchia episcopale. Spesso, naturalmente non sempre, questo espediente
facilita e incoraggia il carrierismo amichettista. Il pontificato di Papa
Bergoglio è fortemente inquinato da questo costume, alla base del quale -
nonostante quanto ha detto il Pontefice - c'è il carrierismo bergoglio-friendly.
Il Santo Padre ha usato
con perseveranza e decisionismo questo meccanismo, i testi legislativi sono
stati sempre dalla sua parte. Il problema è sorto quando la maggioranza di
queste nomine nel contesto del costume carrierista si rivelarono inadeguate poiché
i nominati non erano in possesso di qualità, esperienza e competenza; appunto,
erano ecclesiastici senza carriera, solo amici fedeli. In questo passaggio il
Papa tra l’altro si è fatto a se stesso un grande danno pratico, materiale, e
d’immagine e credebilità.
E’
vero che una “carriera ecclesiastica” può essere vissuta con ambizione e sete
di potere e di fatto esistono i “teatranti del sacerdozio” (carrieristi, cosa
ben diversa da carriera) che usano il proprio status e la Chiesa stessa per
progetti e interessi personali. Esistono anche, e sono la maggioranza, quelli
che mettono la propria persona e la propria carriera al servizio del Vangelo e
della Chiesa, i sacerdoti veri, che desiderano tutto tranne che potere, fama e
ossequiosità.