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sabato 28 dicembre 2024

Bibbie CEI 74 e 2008: Una fede senza Cristo? Giovanni 6,47 e l’Omissione di ‘in Me’

Grazie a Investigatore Biblico per questa ennesima analisi sulle nuove tradizioni bibliche.
"“In ME” era Parola di Dio prima del ‘74 e dopo non lo è più?"
Luigi C.

20-12-24. Investigatore Biblico

Ecco un’altra omissione delle Bibbie CEI 74 e 2008. Questa volta nel Vangelo di Giovanni. La questione solleva interrogativi importanti: fino a che punto una traduzione dovrebbe rendere fedelmente il Testo originale, anche a costo di apparire meno fluida? Qual è il confine tra fedeltà al Testo e adattamento per la comprensione contemporanea?
Approfondire questi temi può aiutare a leggere le Scritture con maggiore consapevolezza e a discernere come lo Spirito guida la comprensione di ciò che Dio ha rivelato nei Testi originali. Ed è proprio questa la mia battaglia. La fedeltà ai Testi originali. La fedeltà alla “completezza” della Parola di Dio.

Ma andiamo ad analizzare l’omissione di oggi.

CEI 74 e 2008: “In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna” (Gv 6,47)

Vulgata: “Amen, amen dico vobis : qui credit in me, habet vitam æternam” (Gv 6,47)

Martini: “In verità, in verità vi dico: chi crede in me, ha la vita eterna” (Gv 6,47)

Ricciotti: “In verità, in verità vi dico: Chi crede in me ha la vita eterna” (Gv 6,47)

Come avrete notato, mentre nelle Bibbie CEI 74 e 2008 si dice semplicemente “chi crede ha la vita eterna”, le altre versioni specificano “chi crede in me ha la vita eterna”.

Prima di esporre la breve riflessione teologico/biblica, è necessario esporre i codici neotestamentari dove quel “in me” in greco “eis eme” “εἰς ἐμέ” è presente:

Codice Alessandrino (A 02), codice di Efrem (C 04), codice di Cambridge (D 05) e diversi papiri e codici minuscoli.

Mentre “in me” non è presente nel codice Vaticano (B 03), nel codice di Roma (S 28) e nel codice di Parigi (L 19).

Come ho detto altre volte , San Girolamo ha raggruppato tutti i codici neotestamentari a sua disposizione per compiere una traduzione che fosse “completa”. E infatti Gv 6,47 mi sembra più completo e più specifico tradotto così:

“Chi crede in me ha la vita eterna”! Gesù non ha detto “chi crede” in modo generico. Ma ha detto specificatamente “chi crede in me” ha la vita eterna! Quel “εἰς ἐμέ” non è un optional! Non può essere facoltativo. Altrimenti “chi crede” potrebbe essere generico e fuorviante. Chi crede in chi? In cosa? In Dio? In Buddha? Allah? In se stesso? Nel terrapiattismo? Nel nulla?

E torniamo sempre a bomba. Quel “in me”, come mai è stato levato? Già dalla Bibbia Cei 74 per poi arrivare alla conferma della 2008? Per essere più politicamente corretti? Per arrivare alla moda di oggi che tanto basta che uno creda in qualcosa che va bene comunque? E dov’è la Verità? L’Unica Verità?

“In ME” era Parola di Dio prima del ‘74 e dopo non lo è più?

L’omissione di “in me” non è solo una questione stilistica, ma teologica. Rimuovendo il riferimento esplicito a Cristo, si rischia di aprire la porta a un’interpretazione relativista, in cui la fede potrebbe essere intesa come una generica adesione a una qualsiasi convinzione spirituale. Questo distorce il messaggio evangelico, che pone Gesù come unico oggetto di fede salvifica:

“Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” (Giovanni 14,6)

Questa omissione evidenzia un problema cruciale: la traduzione delle Scritture non è mai neutrale. Ogni parola scelta (o lasciata fuori) può influenzare il significato percepito dai lettori. Quando elementi essenziali come “in me” vengono omessi, il rischio è di impoverire la potenza del messaggio cristocentrico e di aprire la strada a interpretazioni che sminuiscono la centralità di Cristo nella fede.

È quindi fondamentale, per chi studia la Scrittura, approfondire i testi originali o confrontare diverse traduzioni, per cogliere appieno il significato voluto dagli autori ispirati. Solo così possiamo preservare l’integrità del messaggio e la sua forza salvifica.