Grazie a Campari & de Maistre per queste riflessioni del settembre scorso, ma utili anche oggi.
Luigi C.
Di Paolo Maria Filipazzi, 18-9-24
Il 13 settembre scorso, di ritorno dal suo viaggio apostolico in Asia, papa Francesco ha risposto ad un giornalista che gli chiedeva un giudizio sui due candidati alla presidenza degli Stati Uniti d’America, Donald Trump e Kamala Harris. La risposta è stata la seguente: “Ambedue sono contro la vita, sia quello che butta via i migranti sia quello che uccide i bambini. Io non sono statunitense, non andrò a votare lì. In genere, si dice che non votare è brutto, non è buono. Si deve votare. E si deve scegliere il male minore. Chi è il male minore, quella signora o quel signore? Non so, ognuno in coscienza pensi e faccia questo.”.
La prima reazione spontanea, per noi, è stata di guardare il bicchiere mezzo pieno: almeno ha espresso una condanna netta dell’aborto, tema su cui, peraltro, gli va riconosciuto di essersi sempre espresso con dure condanne. Al tempo stesso, ha spiegato benissimo perché Kamala Harris è invotabile per un elettore cattolico.
La seconda reazione è chiedersi se davvero politiche restrittive sull’ immigrazione siano un peccato, addirittura grave come l’aborto.
A tal punto, iniziamo con il cedere la parola a persona ben più autorevole di noi, San Tommaso d’ Aquino, Dottore della Chiesa: “Con gli stranieri vi possono essere due tipi di rapporti: l’uno di pace, l’altro di guerra.
E rispetto all’uno e all’altro la legge (ebraica) conteneva giusti precetti. Infatti gli ebrei avevano tre occasioni per comunicare in modo pacifico con gli stranieri.
Primo, quando gli stranieri passavano per il loro territorio come viandanti.
Secondo, quando venivano ad abitare nella loro terra come forestieri. E sia nell’un caso come nell’altro la legge impose precetti di misericordia; Infatti nell’Esodo si dice: “Non molesterai lo straniero” (Es 22,20); e ancora: “Non opprimerai il forestiero” (Es 23,9).
Terzo, quando gli stranieri volevano passare totalmente nella loro collettività e nel loro rito. In tal caso si procedeva con un certo ordine. Infatti non si ricevevano subito come compatrioti: del resto anche presso alcuni gentili era stabilito, come riferisce il Filosofo, che non venissero considerati cittadini, se non quelli che lo fossero stati a cominciare dal nonno, o dal bisnonno (Politic. 3,1). E questo perché, ammettendo degli stranieri a trattare i negozi della nazione, potevano sorgere molti pericoli; poiché gli stranieri, non avendo ancora un amore ben consolidato al bene pubblico, avrebbero potuto attentare contro la Nazione.
Ecco perché la legge stabiliva che si potessero ricevere nella convivenza della popolo alla terza generazione alcuni dei gentili che avevano una certa affinità con gli ebrei: cioè gli egiziani, presso i quali gli ebrei erano nati e cresciuti, e gli idumei, figli di Esaù, fratello di Giacobbe.
Invece alcuni, come gli ammoniti e i moabiti, non potevano essere mai accolti, perché li avevano trattati in maniera ostile. Gli amaleciti, poi, che più li avevano avversati, e con i quali non avevano nessun contatto di parentela, erano considerati come nemici porpetui; infatti nell’Esodo si legge: “Vi sarà guerra del Signore contro Amalek, di generazione in generazione” (Es 17,11)” ( Summa teologica, I-II, 105, 3).
Poco oltre, il Dottore Angelico prosegue: “La legge non escludeva gli uomini di nessuna nazione dal culto di Dio e da ciò che serve alla salvezza dell’anima; infatti nella Scrittura si dice: “Se qualche forestiero vorrà associarsi a voi, e fare la Pasqua del Signora, sia prima circonciso ogni suo maschio, e allora si accosterà per celebrarla, e sarà come un nativo del paese” (Es 12, 48).
Invece nelle cose temporali, rispetto a ciò che formava la convivenza civile del popolo, non veniva subito ammesso chiunque, per il motivo sopra indicato: ma alcuni vi erano ammessi alla terza generazione, come gli egiziani e gli idumei; altri erano esclusi in perpetuo, a riprovazione di una colpa passata, come i moabiti, gli ammoniti e gli amaleciti.
Infatti, come una persona singola è punita per il peccato da lei commesso perché gli altri si astengano dal peccare, così per qualche speciale peccato può essere punita una nazione o una città perché altri popoli si astengano da una simile colpa.
Tuttavia, qualcuno poteva essere ammesso nella civile convivenza del popolo con una dispensa, per qualche atto particolare di virtù: si legge infatti nel libro di Giuditta che Achior, comandante degli Ammoniti, “fu aggregato al popolo d’Israele, egli e tutta la discendenza della sua stirpe”(Gdt 4,10).
Così avvenne per la Moabita Rut, che era “una donna virtuosa” (Rt 3,11)” (Somma teologica, I-II, 105,3).
Nel perfetto solco di quanto insegnato dall’ Aquinate, il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 2241, afferma: “Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio paese di origine. I pubblici poteri avranno cura che venga rispettato il diritto naturale, che pone l’ospite sotto la protezione di coloro che lo accolgono. Le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l’esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, in particolare al rispetto dei doveri dei migranti nei confronti del paese che li accoglie. L’immigrato è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri”.
Il Compendio di dottrina sociale della Chiesa, al n. 298, afferma: “La regolamentazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio è una delle condizioni indispensabili per ottenere che gli inserimenti avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana.”.
Alla luce di questi pochi cenni, è abbastanza chiaro come sia surreale la situazione delle Chiesa cattolica in Italia, Europa e Occidente, caratterizzate da un deragliamento ideologico generale verso un immigrazionismo che rasenta il fanatismo, con tutte le conseguenze imbarazzanti che sono sotto gli occhi di tutti: dalle battaglie militanti per lo ius solis (povero Aquinate…) alla collaborazione aperta con le ONG del mare… Una situazione ancora più surreale quanto più, ormai, l’immigrazionismo è passato, nell’autorappresentazione del mondo cattolico e nelle pubblica percezione, come l’elemento caratterizzante l’identità cattolica, in un equivoco storico senza precedenti.
Ulteriore elemento paradossale: fiumi di inchiostro si sono spesi per lamentare come la “posizione” della Chiesa su tematiche come la famiglia, la sessualità e l’aborto (a proposito…) abbia valso a farle “perdere consensi”, scatenando una febbrile attività degli uomini di Chiesa intenti ad adoperarsi per “far cambiare posizione alla Chiesa”; d’altro canto, nessun prete sembra accorgersi dell’estrema impopolarità che la Chiesa si sta guadagnando con le campagne immigrazioniste…
E sicuramente non aiuta il fatto di avere un Papa che sembra convinto di potersi avvalere della propria posizione per imporre alla Chiesa universale quella che, ad essere generosi, è più che altro una sua personale fissazione…
Quanto al “male minore”, quindi, per parte nostra, non abbiamo dubbi: vai Donald, sei tutti noi!