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giovedì 17 ottobre 2024

Abusi, prima contestazione pubblica in Italia: «Il Papa dimetta il vescovo Gisana, ha insabbiato un caso»

Grazie a Franca Giansoldati per questa notizia.
QUI MiL sulla vicenda delle preseunte coperture del vescovo Rosario Gisana della Diocesi di Piazza Armerina in Sicilia.
Luigi C.


Franca Giansoldati, Il Messaggero, 15-10-24

In Italia è la prima protesta pubblica per chiedere al Vaticano le dimissioni di un vescovo che avrebbe insabbiato un brutto caso di abusi. La protesta da parte di diversi fedeli di Enna è doppiamente significativa poichè arriva a ridosso delle parole di Papa Francesco pronunciate in Belgio sul fatto che i vescovi «non devono mai coprire gli abusi, ma anzi devono condannare gli abusatori». Un principio che ha già portato alle dimissioni diversi prelati in tanti paesi europei, poichè riconosciuti responsabili di coperture e di zero trasparenza nella gestione. Cosa che non sembra essere avvenuta ancora ad Enna, nella diocesi di Piazza Armerina, dove il Tribunale (della Repubblica Italiana) ha condannato lo scorso marzo a 4 anni e 6 mesi di reclusione «ex articolo 609 bis e quater del Codice Penale, per violenza sessuale aggravata e tentata violenza su minori di 16 anni, con interdizione dai pubblici uffici e interdizione perpetua dall'insegnamento nella scuola di ogni ordine e grado» un sacerdote, don Giuseppe Rugolo.

A denunciarlo era stata la vittima, Antonio Messina, oggi un giovane trentenne al quale i magistrati hanno riconosciuto in aula di aver subito una autentica via Crucis. La sentenza di primo grado è però stata impugnata dal sacerdote Rugolo e dai legali della curia che chiedono la riapertura del dibattimento e parlano, secondo l'Ansa, di motivazione illogica ed errata che avrebbe portato il Tribunale a travisare «la documentazione emettendo una motivazione» con «conclusioni scorrette e a un giudizio di colpevolezza errato».

RISARCIMENTI

Nelle motivazioni della sentenza i magistrati spiegano bene quale sia stata la responsabilità della diocesi e del vescovo Rosario Gisana in diversi passaggi: «Appare sussistere - si legge - la corresponsabilità della curia nella persona del vescovo il quale, evidentemente aveva autorizzato padre Rugolo, in qualità di figura di riferimento della sua associazione ad operare all'interno della chiesa, consentendogli in tal modo, con la piena compiacenza della diocesi, di creare occasioni di incontro e di frequentazione con i giovani adolescenti (…) dall'istruttoria sono emersi elementi chiari e univoci a sostegno di una condotta coscientemente colposa da parte del vescovo Gisana che rendono legittima la condanna al risarcimento del danno della curia, nella sua qualità di responsabile civile, per i pregiudizi cagionati dagli abusi sessuali perpetrati da padre Rugolo».
Naturalmente veniva fatto un riferimento anche al risarcimento del danno. Papa Francesco, sempre durante il viaggio in Belgio - dove il tema degli abusi è stato sviscerato in modo approfondito offrendo linee guida per tutti gli episcopati europei - aveva parlato di un tetto di 50 mila euro di risarcimento secondo il diritto civile belga definendolo a suo parere insufficiente. («E' troppo basso»).

PROTESTA

Poiché a distanza di mesi nella diocesi di Piazza Armerina la vita diocesana prosegue come se nulla fosse, i fedeli piuttosto scandalizzati dal silenzio del vescovo hanno iniziato una pacifica protesta sollevando il caso e accusando il vescovo Gisana. «Coloro che hanno coperto queste cose sono ugualmente colpevoli, compreso alcuni vescovi» si leggeva su uno dei tanti cartelli che i erano bene in vista davanti ad una chiesa poco prima che il vescovo Gisana entrasse per celebrare una funzione.
Monsignor Rosario Gisana, vescovo di Enna, nell'occhio del ciclone, secondo i magistrati già nel 2016 «e negli anni successivi in cui don Rugolo seguitava a perpetrare abusi sessuali ai danni di Giulio e di Paolo (i nomi sono di fantasia ndr) era pienamente consapevole del fatto che l'imputato era stato segnalato a lui per avere tenuto, nel recente passato, condotte simili con ragazzi giovanissimi».
Sempre dalle motivazioni scritte dai magistrati viene aggiunto: «Questa circostanza veniva ammessa dallo stesso Gisana nel corso del suo esame, oltre ad essere emersa dalle deposizioni di diversi testimoni».
Davanti ai giudici il vescovo aveva riconosciuto di aver parlato con don Rugolo prima ancora di incontrare i genitori della vittima e la vittima stessa. Sempre dagli atti processuali si legge che in una intercettazione telefonica Gisana, nel 2016, mentre «rideva nervosamente» sui fatti, in dialetto siciliano affermava che si trattava di cose «che fanno parte del percorso». Aggiungendo che «gli omosessuali amano in maniera viscerale o odiano in maniera viscerale e che questa è una una vendetta di una persona che è stata respinta». In una altra parte ripeteva che non poteva abbandonare il suo prete, «mi dovete scusare». In una conversazione con l'imputato che chiamava “gioia mia” aggiungeva: «Ora il problema non è solo tuo, il problema è anche mio perché ho insabbiato questa storia».

SENTENZA

In questo modo per i magistrati il vescovo «ometteva con ogni evidenza qualsivoglia doverosa seria iniziativa a tutela dei minori della sua comunità e dei loro genitori, nonostante la titolarità di puntuali poteri conferiti nell'ambito della rivestita funzione di tutela dei fedeli, facilitava l'attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione. Sarebbe stato doveroso da parte della autorità religiosa alla guida della diocesi non solo segnalare alle autorità religiosa queste denunce secondo le procedure esistenti nel diritto canonico ma ancora prima di precludere anche in via cautelativa a Rugolo di coordinare e gestire numerosi gruppi di giovani in attività ricreativa a sfondo religioso». Nessun controllo sarebbe stato attivato a tutela dei ragazzi e Rugolo quindi «commetteva impunemente abusi sessuali ai danni di due giovani adolescenti, consapevole di poter contare sull'appoggio dei vertici religiosi che al contrario contribuivano a rafforzare all'esterno l'immagine di padre Rugolo quale esponente di spicco del clero locale». La conclusione della magistratura era di conseguenza lapidaria: «L'imputato e la curia vanno condannati a rifondere alle medesime parti civili le spese di costituzione e difesa».