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venerdì 20 settembre 2024

Echi tridentini: Perché si può capire la grandezza del Medioevo anche attraverso la sua gastronomia?

Il venerdì, come i nostri lettori sanno, è dedicata alla nostra rubrica sugli echi tridentini (in letteratura, in musica o in cucina).
Ecco allora un bel post sulla grandezza del cattolicesimo, anche nella gastronomia.
Luigi C.


Anche attraverso un uso quotidiano come il mangiare si capisce quanto sia falsa l’immagine che solitamente si dà del Medioevo cristiano. La gastronomia era piena di colore e raffinatezza a dimostrazione di un atteggiamento positivo nei confronti della vita.
Che ai Medievali piacesse mangiare è risaputo; che piacesse mangiare anche in compagnia, è ugualmente risaputo. D’altronde è Michel Rouche, storico della gastronomia, a scrivere: “Il banchetto probabilmente non ha mai rivestito un ruolo tanto importante quanto in epoca carolingia.” Ma che anche la mistica medievale si occupasse dei “bassi” interessi culinari, questo forse non tutti lo sanno. Diciamocelo: quando pensiamo ai mistici cristiani –e soprattutto a quelli del Medioevo- ci viene spontaneo pensare ad un rifiuto totale del mondo e delle sue cose. Nulla di più sbagliato.

Prima di tutto, è proprio della spiritualità cristiana –e di quella medievale in particolare che di cristianesimo se ne intendeva, eccome!- la distinzione tra due tipi di mondo. L’uno, quello negativo, costituisce, insieme al diavolo e alla carne, uno dei tre pericoli per la salvezza individuale; è il mondo come potere e come ambizione, come interesse per la salvezza terrena e non per quella eterna; è quando si crede che la salvezza del corpo valga di più della salvezza dell’anima. L’altro concetto di mondo è invece cristianamente positivo. E’ il mondo come creato. E’ il mondo come materia, voluta e santificata da Dio. E’ il mondo come libro aperto attraverso il quale si può capire l’esistenza e la grandezza di Dio.

A parlare anche di questo secondo tipo di mondo fu proprio la spiritualità medievale. E’ risaputo quanto il Cantico delle Creature di san Francesco sia una sorta di “manifesto” antignostico. Era il tempo in cui il pericolo cataro era quello che era; e il catarismo era una sorta di nuova gnosi, di demonizzazione della materia e del corpo: il dio buono, creatore dello spirito; e il dio cattivo (il demiurgo), creatore della materia. Ma non solo san Francesco. Già molto tempo prima, agli albori, quando ancora non si può parlare pienamente di Medioevo, sant’Agostino si dilunga sul valore del corpo e della materia. E poi sarà un continuo, fino ad arrivare all’austero san Bernardo, che, malgrado la sua austerità, arriverà a dire: “Poiché siamo carnali, Dio fa che il nostro desiderio e il nostro amore comincino dalla carne.”

Ma torniamo da dove siamo partiti e cioè dall’interesse del Medioevo per la cucina. La spiritualità cristiana non è stata mai indifferente alla cucina; e la spiritualità medievale ancora di più. Certo, non è solo e non è tanto un interesse dettato dal fatto che un piacere materiale come il mangiare, purché sia lecito, è pur sempre un piacere cristianamente da valorizzare; quanto un interesse che muove da motivazioni spirituali. Direte: che c’entra la cucina con lo spirito? E’ presto detto.

I Santi sono stati i primi ad esser convinti dell’antropologia cristiana, cioè di quella concezione secondo cui l’uomo non è solo spirito ma è anche materia, e che questa (la materia) può influire sul benessere e sulle attività dello spirito. Con il mal di testa non si prega bene. Per non parlare della digestione. Quando è lenta e laboriosa ci si sente più nervosi, meno disponibili, forse più vulnerabili alle tentazioni. Molti Santi protomedievali e medievali insistono nel dare prescrizioni per il mangiare. Sant’Agostino dice che si mangi bene (s’intende, salvo i giorni di penitenza), ma ci si alzi dalla tavola sempre con un po’ di appetito. Prescrizione che può dispiacere, ma provare per credere se non è quello che serve per rimanere attivi dopo il pasto. E la regola di san Benedetto? Questa non parla anche di quanto e come devono mangiare i monaci? Ci sono prescrizioni a riguardo almeno in una decina di capitoli. Un’emìna al giorno di vino, dice l’Abate; che equivale ad un quarto di litro, ma c’è chi dice che san Benedetto intendesse di più. Non è poco. Evidentemente era più leggero del nostro, allungato con acqua…e non c’erano i riscaldamenti, per cui le calorie, anche quelle alcoliche, venivano bruciate rapidamente. Per non parlare delle mistiche più mistiche. Santa Ildegarda von Bingen visse nel XII secolo e fu autrice di importanti scritti (il Liber Scivias, il Liber vitae meritorum e il Liber divinorum operum), fu anche badessa di un numerosissimo convento, cultrice di scienze naturali e mediche nonché mistica e veggente che beneficiò di numerose visioni. Una casa editrice italiana ha pubblicato una raccolta di sue ricette, che ha per titolo: Ricette per il corpo e per l’anima, curato dalla studiosa Landis Eve. E’ un vero e proprio libro di cucina. Certo, ci sono tante minestre e decotti per i giorni di penitenza, cosi come ci sono ricette a chiara valenza spirituale, tipo la zuppa del povero peccatore i cui ingredienti, secondo gli studi di fisiologia di santa Ildegarda, dovevano facilitare nel peccatore pentito una sorta di rasserenamento. Ma ci sono anche piatti da leccarsi i baffi; per esempio, una mousse di datteri con crema e panna. Non male. O un piedino di vitello con erbe aromatiche. O, addirittura, nudeln (gli antenati degli spaghetti) con sughetto di burro, salvia e mandorle. Altro che durezza della Germania teutonica! Quella è venuta dopo…non a caso con la fine del Medioevo e con l’avvento del grigio e serioso Protestantesimo.

Dunque, una santa -austera, austerissima- che non disdegna di parlarci di buona cucina. E, torno a dire, non è un caso isolato. Il famoso trattato Menagier de Paris ci dice che nel Medioevo la tavola era molto curata, addirittura raffinata. Si dà grande importanza alla presentazione delle vivande e all’organizzazione generale dei pasti. Tanto è vero che un altro famoso storico della gastronomia, Jean Louis Flandrin, scrive: “I cuochi aristocratici del Medioevo si sono certamente trovati a sacrificare il piacere del palato al piacere degli occhi; una scelta che poi, dal XVII secolo, non è stata più accettabile.”

Ma permettetemi ancora un’altra considerazione. Salvo che nei giorni di penitenza, nel Medioevo, dinanzi ai commensali, non era raro lo svolgersi di pantomime giullaresche e di vere e proprie rappresentazioni teatrali. Si sa che è piacevole degustare e nello stesso tempo osservare. Quando si vede alla Tv un’importante partita di calcio vien sempre voglia di sgranocchiare qualcosa. Ebbene, fu l’uomo medievale a legittimare questo piacere, nella convinzione che bisogna avere cura anche dei minimi particolari per non farsi sfuggire alcun piacere, purché cristianamente lecito ed onesto.

Ricordiamole queste piccole (ma importanti) cose, quando pretendono di presentarci il Medioevo come un’età triste e tenebrosa.

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