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venerdì 9 agosto 2024

La Santa Messa tradizionale come problema del conclave, un ostacolo per il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1079 pubblicata da Paix Liturgique il 6 agosto, in cui si riportano le riflessioni basate sull’articolo di Nico Spuntoni pubblicato sul quotidiano Il giornale del 14 luglio (che si riporta in calce).
Il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato, è il favorito per la futura successione di papa Francesco: convince il suo profilo moderato, ma il divieto del rito antico può diventare un boomerang.

L.V.


Data la natura del Concilio Vaticano II come una sorta di nuovo inizio per la Chiesa, l’opposizione al Concilio, soprattutto alla nuova liturgia, ha un grande peso psicologico nei conclavi successivi. Indiscrezioni cardinalizie hanno rivelato che, durante il conclave del 2013, il card. Jorge Mario Begoglio S.I., Arcivescovo metropolita di Buenos Aires, ha lasciato intendere ai Cardinali conservatori che avrebbe fatto gesti a favore della Fraternità sacerdotale San Pio X. L’interesse mostrato oggi da cardinali come Jean-Marc Noël Aveline, Arcivescovo metropolita di Marsiglia, e Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna, per gli spazi di libertà che questa liturgia può offrire va nella stessa direzione. Per l’insieme dei Cardinali conservatori, la benevolenza verso l’usus antiquior sarà un criterio – uno dei criteri, ma particolarmente significativo – dello stato d’animo della persona per cui voteranno.

E non solo per i Cardinali conservatori. È quanto emerge da un articolo del giornalista Nico Spuntoni, sul quotidiano Il giornale del 14 luglio, che riportiamo di seguito, il quale nota che i Cardinali che non hanno mai celebrato nella Santa Messa tradizionale considerano insensata la guerra che le viene fatta. Nico Spuntoni nota l’accresciuta importanza che la questione della libertà della Santa Messa tradizionale ha assunto dopo la persecuzione lanciata dalla lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 e dai documenti successivi, e il ruolo attribuito al card. Pietro Parolin, Segretario di Stato, in questa persecuzione da parte dei sostenitori di questa liturgia.

Nico Spuntoni sta cercando di far passare un messaggio, come sono soliti fare gli esperti vaticani: il card. Pietro Parolin è un diplomatico troppo bravo per non insabbiare il nuovo documento restrittivo di cui si parla da diversi mesi.

Va precisato che questa accusa al card. Pietro Parolin si basa su diversi fattori, e in particolare su due: il comprovato ruolo del Segretario di Stato a favore di una drastica limitazione delle celebrazioni antiche, durante le riunioni tenutesi presso la Congregazione per la Dottrina della fede per la stesura della lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes; e l’astio manifestato in un Paese particolarmente sensibile, la Francia, da mons. Celestino Migliore, importante Nunzio apostolico in Francia, ormai totalmente devoto al card. Pietro Parolin.

In ogni caso, è perfettamente normale che la lex credendi preconciliare sia una spina nella carne di una Chiesa post-conciliare costruita interamente sul Concilio Vaticano II. È quindi perfettamente normale che, in un modo o nell’altro, in ognuno dei conclavi che si sono succeduti dalla fine del Concilio – quelli del 1978, che hanno visto l’elezione del beato Papa Giovanni Paolo I e san Giovanni Paolo II, quello del 2005 per l’elezione di Papa Benedetto XVI, quello del 2013 per l’elezione di papa Francesco e quello che si aprirà per dare un successore a papa Francesco – si riproponga sempre la questione della messa in discussione dei fondamenti della Chiesa conciliare, simboleggiata dalla celebrazione della liturgia pre-Concilio Vaticano II.

***


Se dopo il prossimo conclave ad affacciarsi vestito di bianco dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro in Vaticano dovesse essere il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato, nessuno si stupirebbe. Sebbene la salute di papa Francesco non dia particolari preoccupazioni come lo scorso anno, in Vaticano è impossibile fermare il totonomi per chi, un giorno, verrà dopo di lui. E il Segretario di Stato è il grande favorito, forte del profilo moderato che ha cercato in tutti i modi di darsi in questi undici anni a Palazzo Apostolico.

La rivincita della diplomazia

L’approdo del card. Pietro Parolin alla guida della Segreteria di Stato nel 2013 era stato salutato positivamente dalle feluche della Santa Sede, ansiose di una «rivincita» dopo il Pontificato di Papa Benedetto XVI che, rompendo una tradizione consolidata, aveva nominato in quel ruolo il card. Tarcisio Pietro Bertone S.D.B. Il presule di Schiavon, peraltro, era stato una delle «vittime» – insieme a mons. Gabriele Giordano Caccia – di quel cambio di guardia a Palazzo Apostolico, allontanato dalla Curia nel 2009 con il più classico dei promoveatur ut amoveatur: consacrato Vescovo e mandato in Venezuela come Nunzio apostolico. Il Pontificato ratzingeriano, per l’ostilità del card. Tarcisio Pietro Bertone, non era stato un periodo fortunato per il card. Pietro Parolin, fino ad allora enfant prodige della diplomazia vaticana e giovane Sottosegretario ai Rapporti con gli Stati. In questa veste, l’attuale Segretario di Stato fu incaricato di ruoli delicati come l’interlocuzione sulla guerra in Iraq con Aleksej Meshkov, Sottosegretario agli Esteri russo, la guida della delegazione della Santa Sede nella ripresa della commissione bilaterale con Israele, una missione in Cina. Compiti e relazioni tornate molto utili in questi ultimi undici anni. Nella conferenza stampa del sofferto passaggio di consegne tra il card. Angelo Sodano ed il card. Tarcisio Pietro Bertone S.D.B. nel 2006, fu proprio il card. Pietro Parolin a dare voce, con linguaggio curiale, all’insofferenza della diplomazia vaticana per la mancata nomina di un diplomatico alla guida della Terza Loggia. «Benché si registri la novità che sia il Santo Padre sia il nuovo Segretario di Stato card. Bertone non siano di diretta provenienza diplomatica, ciò non dovrebbe comportare cambiamenti», osservò il giovane presule che si era fatto conoscere in Curia nella stagione del card. Angelo Sodano. Il suo ritorno a Roma, proprio al posto del card. Tarcisio Pietro Bertone, è stato un segnale di attenzione da parte di papa Francesco nei confronti della scuola diplomatica della Santa Sede. Pur essendo caratterialmente poco diplomatico, il papa argentino ha dimostrato di avere in considerazione questa componente importante della Chiesa ed ha premiato diversi Nunzi apostolici con il Cardinalato. Scelte che potrebbero tornare utili al. card. Pietro Parolin in un prossimo conclave.

Moderato ma non troppo

Non sono molti quelli che possono vantare di essere «sopravvissuti» in posizioni di vertice durante tutti gli undici anni di pontificato bergogliano. Il card. Pietro Parolin è però l'eccezione che conferma la regola. Pur non essendo considerato parte del cerchio magico di Santa Marta, il presule veneto è rimasto saldo al suo posto. Da trait d’union di due Pontificati diversi come l’attuale e quello di San Giovanni Paolo II, il Segretario di Stato è diventato spesso destinatario degli sfoghi del vecchio mondo curiale sempre più incompreso negli anni di papa Francesco. In questo il Cardinale veneto è stato bravo da un lato a dispensare comprensione agli interlocutori delusi, dall’altra a non lasciarsi sfuggire mezza parola equivocabile contro un papa notoriamente fumantino. Il rapporto con papà Francesco è stato caratterizzato da alti e bassi: prima della pandemia, ad esempio, circolavano voci in Vaticano secondo cui papa Francesco si sarebbe lamentato in privato del fatto che il suo Segretario di Stato avrebbe preferito essere mandato a guidare un’Arcidiocesi molto importante vicino casa per aggiungere quell’esperienza pastorale che manca nel suo curriculum di papabile. Tuttavia, negli anni successivi papa Francesco non ha mancato di esprimere pubblicamente il suo apprezzamento per il lavoro del suo numero due. Inoltre, un pontefice così attento ai discorsi sulla sua successione al punto da scherzare e pronosticare l’elezione di un Giovanni XXIV, non ignora certamente che il nome del card. Pietro Parolin è senz’altro uno dei più ricorrenti. Nonostante il profilo moderato e più rassicurante rispetto ai tanti strappi di questo pontificato, la candidatura del Cardinale italiano non è affatto gradita da tutti. Non pesa soltanto il suo ruolo centrale nell’accordo con Pechino per la nomina dei Vescovi che gli è valso il duro attacco del novantaduenne card. Joseph Zen Ze-kiun S.D.B., Vescovo emerito di Hong Kong, un simbolo vivente della lotta per la libertà. Da tempo, infatti, il card. Pietro Parolin viene indicato come un oppositore della cosiddetta Santa Messa tradizionale.

La Santa Messa tradizionale e il conclave

In questo ultimo periodo le comunità di fedeli affezionate alla forma straordinario del rito romano che Papa Benedetto XVI liberalizzò nel 2007 sono «sul chi va là» perché si sono moltiplicati i rumors sull’imminente uscita di un nuovo documento che vieterebbe del tutto le celebrazioni della Santa Messa tradizionale. Il Dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti ha vietato la celebrazione nel cosiddetto rito tridentino alla 4ª Peregrinación Nuestra Señora de la Cristiandad - España a Covadonga e nella Cathedral Church and Minor Basilica of Saint Patrick di Melbourne. I segnali di una stretta ulteriore dopo la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 e gli altri documenti seguiti ci sono ed hanno portato ad una mobilitazione guidata dal mondo anglosassone e che ha coinvolto anche non cattolici. Lo si è visto nella lettera pubblicata sul quotidiano The Times per chiedere a papa Francesco di non cancellare la Santa Messa tradizionale e firmata da personalità come Michael Gove, ex Ministro, Bianca Jagger, ex modella ed ex moglie del leader dei Rolling Stones, la pianista Mitsuko Uchida, Rocco Forte, imprenditore, vari Lord e Principesse ed altri ancora. Da poche ore, sempre dall’Inghilterra, è partita un’altra iniziativa promossa dal compositore James MacMillan che ha lanciato una petizione per chiedere a papa Francesco di non vietare la Santa Messa tradizionale. In breve tempo la petizione, che si trova sul sito Change.org e può essere sottoscritta in tutto il mondo, ha superato le 5.000 firme. Il caldo dossier sulla Santa Messa tradizionale rischia di scottare la candidatura del card. Pietro Parolin: il Segretario di Stato, infatti, viene indicato da più ricostruzioni circolate come il principale sostenitore in Curia romana di questa nuova stretta. Damian Thompson, editorialista inglese del settimanale The Spectator, si è chiesto in un tweet se i Cardinali elettori stiano riflettendo sulle «ferite che si approfondiranno eleggendo un altro ideologo anti-MTL [Santa Messa tradizionale, N.d.R.]». Nel Collegio cardinalizio non c’è una maggioranza di simpatizzanti nei confronti della celebrazione in vetus ordo, anzi. Tuttavia, anche diversi Cardinali che mai hanno celebrato in rito antico ritengono insensata la guerra che Roma sta intraprendendo contro i sacerdoti ed i fedeli di sensibilità tradizionale. Per la prima volta, però, la responsabilità non viene attribuita a papa Francesco e alla sua «allergia» verso quelli che chiama «indietristi»: oltre al poco amato card. Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, a finire nel mirino è proprio il Segretario di Stato. Se veramente dovesse passare il divieto assoluto di celebrare secondo il Missale Romanum del 1962 di San Giovanni XXIII, non è escluso che le scorie di una probabile ulteriore polarizzazione nella Chiesa possano finire nel prossimo conclave e complicare la strada del favoritissimo a diventare Giovanni XXIV.

Un parere diffuso è che serviranno buon senso e diplomazia, caratteristiche che non mancano al card. Pietro Parolin, per disinnescare un incidente ritenuto evitabilissimo da molti, facendo di tutto affinché il documento divisivo resti nel cassetto.

3 commenti:

  1. Non mi preoccuperei di chi sarà il prossimo Papa, semmai se sarà un Papa cattolico. Perché se essere cattolico significa relativizzare la propria fede, riconoscere la libertà religiosa e ammettere la possibilità di salvezza anche fuori della fede in Cristo, presiedere ad una incipiente religione universale cripto massonica, aprire ad eutanasia e aborto, svalutare la figura del sacerdozio, omaggiare gli idoli.....e mi fermo qua, beh allora VADE RETRO....

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    1. Vedremo ,intanto un Papa c'è e non ha alcunissima intenzione di farsi da parte.Anzi spera di indirizzare l'elezione del suo successore ,quando verrà il momento.Poi vale sempre il detto: l'uomo propone e Dio dispone......

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  2. Sine Petro Nulla Ecclesia

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