Luigi C.
Cristina Siccardi, 4 Aprile 2023, Schola Palatina
Nel maestoso e imponente, ma poco conosciuto, santuario-basilica Regina Montis Regalis di Vicoforte, a 9 chilometri da Mondovì (Cuneo), papa Pio VII (1742-1823), ostaggio di Napoleone, si recò in visita il 16 agosto del 1809. Il Papa era infatti stato fatto prigioniero in Vaticano il giorno 5 del mese precedente e fu condotto a Savona, percorrendo le strade interne del monregalese, anziché quelle lungo la costa, perché ritenute più sicure contro le rivolte locali, in appoggio del Pontefice, ai danni delle truppe francesi. Grande fu la commozione e la devozione dimostrate dalla popolazione a Pio VII, il quale lasciò in dono ai vicesi la sua portantina come segno d’affetto. Tuttora si può ammirare, nella cappella di San Bernardo dello stesso santuario, il monumento che venne eretto in suo onore.
Vicoforte sorge sulla sommità di una collina e si snoda lungo un dolce pendio, dove si raccordano da un lato l’arco delle Alpi Marittime e dall’altro le prime propaggini della pianura. In questo Comune di 3000 anime si trova il grandioso santuario mariano Regina Montis Regalis con quattro campanili, venuto alla ribalta ultimamente, poiché qui sono ritornate in patria le salme della Regina Elena (1871-1952) prima, il 15 dicembre 2017 e di Vittorio Emanuele III (1869-1947) due giorni dopo, rimaste in esilio rispettivamente dal novembre 1952 a Montpellier (Francia) e dal dicembre 1947 ad Alessandria d’Egitto.
La tradizione narra che un fornaciaio, al quale non riuscivano bene i mattoni commissionatigli per la costruzione di un forte, abbia fatto voto di erigere un pilone alla Madonna, se la sua opera avesse avuto un esito migliore. Così avvenne. Sul pilone, nel 1489 circa, fu affrescata (probabilmente dal pittore Segurano Cigna) la Madonna con il Bambino.
La devozione si riaccese nel 1592, quando il cacciatore Giulio Sargiano colpì inavvertitamente l’immagine, provocando l’abrasione dell’intonaco (ancora visibile) e l’effigie mariana sanguinò. Il cacciatore, pentito, appese l’archibugio al pilone e iniziò una raccolta di fondi, per riparare il danno ed espiare così il suo peccato.
Il diacono Cesare Trombetta guidò il fervore religioso, che venne a crearsi sulla vicenda prodigiosa e nel 1594 i vicesi chiesero al vescovo Castrucci di poter erigere una cappella intorno al pilone. Ottenuta l’autorizzazione, si iniziarono i lavori su progetto di Pietro Goano, capomastro luganese.
Il luogo divenne meta di pellegrinaggi sempre più frequenti, tanto da spingere Carlo Emanuele I (1562-1630) a gestire lui stesso una monumentale opera. Prima si orientò sul progetto di Ercole Negro di Sanfront, poi su quello dell’orvietano Ascanio Vittozzi (1539-1615), poiché il suo disegno si prestava a divenire Pantheon di Casa Savoia.
Una teologia per immagini
Il Seicento subalpino fu un secolo politicamente e militarmente assai difficile, perciò non stupisce che la fabbrica del santuario si arrestò per diverso tempo, riprendendo la sua attività solo nel 1729 sotto la direzione dell’architetto monregalese Francesco Gallo (1672-1750). Sugli otto pilastri degli arconi in arenania innalzò un grande tamburo in cotto a due ordini di finestroni con otto snelli contrafforti. Su di esso impostò la cupola a forma semiellissoidale (“ovata”), chiusa da una lanterna, la cui croce giunge a 84 metri dal suolo.
La poderosa cupola ellittica (alta 74 metri, lunga 37,15 metri sull’asse maggiore e 24,80 metri sull’asse minore) è la più grande del mondo, sulla quale, all’interno, si ammirano le decorazioni ad affresco, anch’esse un unicum per dimensioni (oltre 6.032 metri quadrati di superficie), raffiguranti la Gloria di Maria Assunta di fronte alla Santissima Trinità tra Santi e Dottori della Chiesa, opera realizzata da Mattia Bortoloni (figure), Giuseppe Galli da Bibbiena (decorazioni), Felice Biella (vedute prospettiche e ornati).
Si tratta di una teologia per immagini di valore inestimabile, che prese inizio nel 1745 per essere ultimata nel 1748. La consacrazione ufficiale del santuario, dove lavorarono molti valenti artisti, avvenne nel 1777, presente l’arcivescovo di Torino, Francesco Luserna Rorengo di Rorà (1732- 1778).
Nell’antistante vasta piazza, ornata dal monumento in bronzo di Carlo Emanuele I, opera di Pietro della Vedova (collocata nel 1891 alla presenza di Re Umberto I), attorno alla quale si sviluppa, su pianta semiottagonale, una splendida palazzata disegnata da Vittozzi (originariamente Osteria dei pellegrini, Penitenzieria, Ospedale, casa del Duca, Pio Istituto degli orfani), si erge il possente edificio sacrale di ispirazione classicheggiante.
Al centro della chiesa, leggermente sopraelevato e chiuso entro una balaustrata ellittica, è il marmoreo tempietto del Pilone (1749), disegnato dal Gallo. Il rivestimento si deve alla mano degli scalpellini Quadrone e Rossi, mentre le statue in marmo bianco di Carrara raffigurano la Speranza e la Carità, scolpite da Solaro. La massiccia teca centrale d’argento e bronzo, cesellata nel 1751 da Ladatte e dall’orafo Boucheron, racchiude la miracolosa Madonna con il Bambino.
I Santi benedettini
A destra dell’ingresso del Santuario si trova la cappella di San Benedetto con il monumento di Margherita di Savoia-Gonzaga, figlia di Carlo Emanuele I, consorte del duca di Mantova Francesco Gonzaga, divenuta poi viceregina del Portogallo.
L’opera di Giuseppe Gagini di Genova ritrae Margherita nell’atto di venerare la Vergine e, ai lati dell’altare, sono collocate quattro statue di santi benedettini: Mauro, Placido, Cunegonda e Gertrude; l’icona dell’altare presenta i Santi Benedetto e Carlo in adorazione della Sindone.
Segue la Cappella di San Francesco di Sales, che ricorda il pellegrinaggio del santo Vescovo di Ginevra, qui giunto nel 1603.
Procedendo in senso antiorario si incontra la Cappella di San Giuseppe, che conserva ai lati dell’altare due tele attribuite a Perin del Vaga, discepolo di Raffaello. L’icona con i Santi Giuseppe, Michele e Pio V è opera di Giovenale Bongiovanni di Pianfei (1786).
La Cappella di San Bernardo ospita il neoclassico mausoleo di Carlo Emanuele I, opera dei fratelli torinesi Ignazio e Filippo Collino (1792), nonché i due sarcofagi eleganti, sobri e neri dei penultimi Sovrani d’Italia.
In fondo è l’abside, detta anche Cappella di San Rocco, con altare monumentale della famiglia Cordero di Pamparato. Sulla tribuna, che sovrasta l’atrio della cappella, è posto un organo Vegezzi-Bossi del 1903 con straordinaria cassa lignea dello scultore monregalese Antonio Roasio (1886).
Nel 1966, durante le celebrazioni del quarto centenario dell’elezione a Pontefice del vescovo di Mondovì, dal 1560 al 1566, Michele Ghislieri, con il nome di Pio V, venne costituito, sopra le cappelle del Santuario, grazie a don Enrico Nasi, il «Museo storico Ghislieri», comprendente una vasta documentazione relativa alla storia della Regina Montis Regalis, il Tesoro del Santuario, nonché la biblioteca dei Cistercensi, che presero dimora nell’adiacente Convento vittozziano, accolti da Roma dal Duca, perché officiassero nella magnificente chiesa.
FONTE: Radici Cristiane n. 131
FONTE IMMAGINE: L'Unione Monregalese (https://www.unionemonregalese.it/)
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