Le grande monarchie sacrali e la loro liturgia.
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Luigi C.
Il Magistero della Chiesa riconosce come legittime tre forme di governo: monarchia, aristocrazia e democrazia, ritenendo quella monarchica di per sé la forma migliore. Alla base di questa dottrina vi è una concezione gerarchica dell’universo. Nella civiltà cristiana, la Chiesa non solo riconosce, ma sacralizza il potere temporale. I monarchi cristiani sono incoronati dall’autorità religiosa, governano “per grazia di Dio” e hanno la croce di Cristo sulle loro corone. Qual è il significato religioso delle incoronazioni regali? Che cosa vuol dire la sacralità del potere temporale? Ne ha parlato il prof. Massimo de Leonardis in un incontro nell’ufficio milanese della TFP.
Della consacrazione dei Re, Joseph de Maistre ha scritto: «Non si è mai avuta cerimonia, o meglio professione di fede, più significativa e degna di rispetto», sottolineando altresì «l’opinione universale ed eterna che invoca la potenza divina a fondare gli imperi». Nella consacrazione del Sovrano, infatti, alla pompa esteriore corrisponde una ricchezza ineguagliabile di simboli e significati, tutti peraltro riconducibili a un insegnamento fondamentale e costante della Chiesa sulla legittimità del potere. Scrive Leone XIII nell’enciclica Diuturnum del 1881: «Il diritto di comandare deriva da Dio, come dal suo naturale e necessario principio». Si suole contrapporre alla legittimità divina del potere una “1egittimità” popolare, in realtà inesistente. Osserva opportunamente Louis de Bonald che «tutto ciò che è legittimo è divino, poiché la legittimità non è altro che la conformità alle leggi di cui Dio è l’autore».
La monarchia sacrale
La monarchia sacrale riconosceva apertamente la fonte divina della sua legittimità e la consacrazione regale era appunto la cerimonia con la quale il Papa, nel caso del Sacro Romano Imperatore, o un Vescovo, nel caso dei Re, conferiva solennemente la sanzione religiosa al potere del Sovrano di governare i suoi sudditi. Nel corso del Medioevo molte monarchie conobbero una cerimonia di consacrazione del Sovrano, nella quale si trovarono riuniti i due riti, l’unzione regale, atto più propriamente religioso di unione con Dio, introdotta inizialmente in Occidente, e l’incoronazione imperiale, gesto più secolare di unione con i sudditi, tipica dell’Impero bizantino.
In realtà il Sacre è una proclamazione del dogma della Regalità Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. Dom Pierre Pluniet nel suo commento al Pontificale Romano, scrive che «1a consacrazione regale è un riconoscimento solenne e una notificazione in nome di Dio del diritto al trono conferito innanzi tutto dalla nascita o dall’elezione [...] grazie alla sua incoronazione il monarca diviene il rappresentante di Cristo nello Stato». Allo stesso tempo «1a consacrazione sottomette il Re all’alta sovranità di Cristo [...] i popoli, nei secoli della fede, riconoscevano volentieri nel loro re un prestigio soprannaturale al quale amavano rendere omaggio». Infatti la consacrazione, anche se non conferisce il potere regale, ne definisce lo spirito e il carattere, tanto da divenire la pietra angolare della monarchia. La consacrazione è il riconoscimento solenne della legittimità di origine e un impegno altrettanto solenne a conservare la legittimità di esercizio: il Re promette di servire Cristo in unione con la Chiesa. Alla formula di benvenuto «Maestà, come figli del Regno di Dio, vi accogliamo nel nome del Re dei Re», Carlo III ha risposto: «Nel suo nome, e seguendo il suo esempio, vengo non per essere servito ma per servire».
La struttura delle cerimonie rimase in larga misura costante nei secoli. Nell’Ordo della consacrazione di Carlo X nel 1825, l’ultima in Francia, si ritrovava metà delle preghiere dell’Ordo di Incmaro, Arcivescovo di Reims nel IX secolo, usato per consacrare Carlo il Calvo. La consacrazione di Carlo III del Regno Unito segue sostanzialmente il rito codificato dall’Arcivescovo di Canterbury Dunstan per l’incoronazione di Re Edgar nel 973 e rivisto nel Liber Regalis di Nicholas Lytlington, abate di Westminster dal 1362 al 1388. Il trono, fabbricato per Edoardo I, è utilizzato per l’incoronazione dal 1399 e racchiude la Pietra di Scone, sulla quale, secondo un’antica leggenda posò la sua testa Giacobbe (Gen 28,10-17).
Sia in Francia che in Inghilterra la cerimonia del Sacre aveva una durata media di sei ore e comprendeva sette grandi momenti, ciascuno con una sua precisa ragione d’essere: i giuramenti e la benedizione della spada, l’unzione, la benedizione degli attributi della regalità, l’incoronazione, l’intronizzazione, la S. Messa, la comunione. Ciò è rimasto nell’incoronazione di Carlo III. Naturalmente, il contesto del rito non è più purtroppo cattolico, ma anglicano.
Un sacramentale
Prima che la Chiesa, nel Concilio di Lione del 1274, fissasse a sette il numero dei sacramenti, era naturale, anche da parte di santi, prelati e dottori come S. Pier Damiani, S. Thomas Becket, S. Ivo di Chartres, considerare l’unzione regale un sacramento che quindi operava nell’essere spirituale del Sovrano una profonda trasformazione. Da allora la consacrazione regale è annoverata tra i sacramentali collegati al sacramento dell’ordine, al pari della benedizione degli abati e delle badesse.
Il rito della consacrazione regale e quello della consacrazione episcopale presentano degli evidenti parallelismi. I giuramenti del Re ed il suo riconoscimento da parte dei presenti come Sovrano legittimo ricordano la professione di fede e l’esame del Vescovo-eletto; entrambi si prosternano al canto delle litanie dei santi e ricevono l’unzione sul capo con il sacro crisma (mentre i sacerdoti la ricevono solo sulle mani con il semplice olio dei catecumeni); lo scettro è l’equivalente del pastorale, la corona della mitra (o mitria). Non a caso alcune corone, come vedremo, ricordano una mitra.
Commentando nel 1953 l’incoronazione della Regina Elisabetta II, Plinio Correa de Oliveira ne lodava e giustificava l’inalterata magnificenza: «Il gusto dell’uomo per le onorificenze, per le distinzioni, per la solennità, non è altro che la manifestazione del saggio istinto di sociabilità, tanto inerente alla nostra natura, tanto giusto in se stesso, tanto saggio quanto qualsiasi altro istinto di cui Dio ci ha dotati [...] La stessa Chiesa […] ha istituito titoli di nobiltà, ha distribuito e distribuisce decorazioni, ha elaborato per sé tutto un cerimoniale di una mirabile precisione nel definire tutte le differenze gerarchiche che la legge divina e la saggezza dei Papi sono venute creando nel suo seno nel corso dei secoli [...] L’uomo contemporaneo, ferito e trattato male nella sua natura da tutto un tenore di vita costruito su astrazioni, chimere, teorie vane, nei giorni della incoronazione si è rivolto, affascinato, immediatamente ringiovanito e riposato, verso il miraggio di questo passato così diverso dal terribile giorno d’oggi. Non tanto per nostalgia del passato, quanto di certi principi dell’ordine naturale che il passato rispettava, e che il presente viola in ogni momento».
L’incoronazione papale
Nel Sacro Romano Impero l’incoronazione papale era un prerequisito essenziale per avere il titolo imperiale fino al 1508, quando papa Giulio II rico-nobbe il diritto a usare il titolo imperiale dei monarchi tedeschi eletti dai principi elettori secondo quanto previsto dalla Bolla d’oro. Carlo V fu l’ultimo imperatore del Sacro Romano Impero a essere incoronato da un papa, da Clemente VII a Bologna nel 1530. Successivamente, fino all’abolizione dell’impero nel 1806, non vennero più incoronati dal Papa. La Corona ferrea (e l’annesso titolo di Re d’Italia) era conferita, a partire dal 1312, nella basilica di Sant’Ambrogio aMilano, la corona del regno di Borgogna era conferita ad Arles, e la corona tedesca, che divenne la corona più importante, di solito era conferita ad Aquisgrana fino al 1562, anno in cui gli imperatori eletti vennero incoronati re in Germania nel duomo di Francoforte, che già nel 1356 era diventato anche il luogo stabilito per elezioni imperiali. Rimase il luogo dell’incoronazione e dell’elezione fino all’ultima incoronazione tedesca del 1792.
I Papi non erano consacrati, poiché il ministero papale non è un grado superiore degli ordini sacri, ma incoronati con il Triregno o Tiara papale formata da tre corone simboleggianti il triplice potere del Papa: padre dei re, rettore del mondo, Vicario di Cristo. Paolo VI la depose. Anche quest’ultima qualifica è abolita.
Il Sacre dei Re di Francia durava cinque giorni. Il secondo momento, il più importante, era l’unzione del Re con il sacro crisma che, secondo la tradizione, lo Spirito Santo in forma di colomba aveva recato in un’ampolla a San Remigio, Vescovo di Reims, per battezzare Clodoveo Re dei Franchi. Conservata per secoli, l’ampolla era stata distrutta nel 1793 con gesto ostentatamente dissacrante da un deputato alla Convezione già pastore protestante. Fortunatamente il parroco di Saint-Rémi, la chiesa ove era conservata l’ampolla, aveva in precedenza prelevato una certa quantità di crisma, parte del quale fu usato per l’unzione di Carlo X. Il Re si prosternava a terra come i candidati al sacerdozio o all’episcopato, mentre si cantavano le litanie dei santi, al termine delle quali l’Arcivescovo effettuava le nove unzioni sulla testa, sul petto, sul dorso, sulle spalle, sulle braccia e sulle mani del Sovrano.
Il martedì, vigilia del ritorno Parigi, avveniva la cerimonia del “tocco degli scrofolosi”: ad ognuno dei malati il Re diceva: “Il Re ti tocca, Dio ti guarisca” (fino al 1722 si diceva ti guarisce). I Re di Francia e di Inghilterra, secondo la tradizione, godevano di poteri taumaturgici di guarigione degli scrofolosi.
Il Re, “non meramente un laico”
Nel Medioevo fu generale la convinzione che il Sovrano consacrato, in una certa misura, condividesse con vescovi e sacerdoti il privilegio della condizione sacerdotale. Ancora autori tardo medievali continuarono a sottolineare che il Sovrano consacrato non era “meramente un laico”, «Imperator (Rex) non omnino laicus» L’olio santo elevava i sovrani molto al di sopra dei comuni mortali. La medaglia però aveva il suo rovescio. Nel corso della cerimonia diconsacrazione, l’officiante che conferiva l’unzione sembrava per un momento superiore al monarca che devotamente la riceveva: occorreva un Vescovo per fare un Re, il primo poteva consacrare il secondo, ma non viceversa, segno evidente della superiorità dell’autorità spirituale su quella temporale.
Anche per la Chiesa però la questione presentava aspetti contraddittori. Esaltare il significato religioso, l’importanza, l’assoluta necessità della cerimonia di consacrazione per assumere la dignità regale poteva anche voler dire riconoscere al Sovrano, proprio in grazia dell’unzione ricevuta, un ruolo nella Chiesa. Insomma il Sacre era al centro del tema della regalità sacerdotale. Non a caso a Costantinopoli, dove il Basileus, ereditando il ruolo degli Imperatori romani, era riuscito a dominare sia lo spirituale che il temporale, il cosiddetto cesaropapismo, l’unzione regale comparve tardivamente, perché il Sovrano era già sacro di per sé, senza bisogno della sanzione ecclesiastica.
Il carattere quasi sacerdotale che la cerimonia della consacrazione conferiva al Sovrano sembrava insomma così evidente che ai tempi delle dinastie Sassone e Salica i rituali ufficiali descrivendo la consegna all’Imperatore da parte del Papa della tunica, della dalmatica, del piviale, della mitra e dei sandali, commentavano: “Ibique facit eum clericum”. Il Re di Francia è sempre stato considerato come “l’eveque du dehors”: «é un vescovo temporale e la sua missione temporale si esercita in uno spirito sacerdotale». Per questo le donne non potevano accedere al trono.
Parallelamente, non potendo contestare che il Sovrano “fosse qualche cosa di più di un laico”, si precisò in senso riduttivo la sua posizione nell’ambito della gerarchia ecclesiastica. A partire dal XIII secolo gli ordini dell’incoronazione dell’Imperatore «attestano lo sforzo ben preciso per assimilare la situazione ecclesiastica del capo temporale della cristianità a quella di un diacono o più spesso di un suddiacono». In effetti, gli Imperatori tennero a esercitare in determinate occasioni tali funzioni: alla sua incoronazione Carlo V servì come diacono la Messa al Papa Clemente VII. Anche i Re di Francia, ancora all’epoca di Luigi XVI, erano considerati suddiaconi. Imperatori e Re di Francia conservarono il privilegio della comunione sotto le due specie alla loro incoronazione ed in altre occasioni; fino alla fine gli Imperatori d’Austria poterono accostarsi al calice il Giovedì Santo. I Sacri Romani Imperatori erano annoverati tra i canonici di S. Pietro, mentre i Re di Francia erano canonici onorari di S. Giovanni in Laterano (un privilegio assurdamente conservato anche ai quasi sempre atei presidenti della repubblica francese); ma, appunto, nei tempi passati, per essere canonici non occorreva essere sacerdoti.
Limiti all’assolutismo
Lungi dal favorire l’assolutismo, la consacrazione veniva a rafforzare, nel monarca, il riconosci-mento dei limiti del suo potere e dell’obbligo di diventare il “ministro di Dio per il bene”. Da questo la famosa formula usata in Castiglia: “Sarai re se rispetterai il diritto, se no no”. Quanto ai rapporti fra il potere temporale e quello spirituale, la consacrazione non comportava né sottomissione indebita a questo, né attribuzione al potere civile del reggimento della società ecclesiastica.
Non vi sono più riti di consacrazione perché non si vuole più riconoscere che il potere di governare deriva da Dio; la “1egittimità” dei regimi politici odierni si fonda sul suffragio universale. Non esistono più monarchie sacrali: il Regno Unito ne conserva l’esteriorità formale ma non la sostanza. Allo stesso tempo, dopo il Concilio Vaticano II, il Papato ha rinunciato a qualunque forma monarchica, abolendo la tiara, i Principi assistenti al soglio e tutta la corte pontificia, tre corpi armati su quattro e così via. La Rivoluzione è riuscita a separare Trono e Altare. Accanto a Sovrani detronizzati o morti per la fede, come Luigi XVI, “immolato principalmente in odio alla fede e con spirito di furore contro i dogmi cattolici” (Pio VI), altri hanno creduto di salvare i loro troni prendendo le distanze dalla Chiesa, che oggi, a sua volta, dopo il Concilio, sembra rinnegare i secoli in cui “procedevano concordi il Sacerdozio e l’Impero, stretti avventurosamente tra loro per amichevole reciprocanza di servizi” (Leone XIII, Immortale Dei).
Se in astratto il Cattolicesimo accetta sia la forma monarchica che la forma repubblicana dello Stato, è però altrettanto vero che il regime ideale alla luce della dottrina politica cattolica è la monarchia, “la miglior forma di governo” (Pio VI). Secondo Juan Donoso Cortés, al Cattolicesimo, che insegna che Dio esiste in persona, regna e governa le cose umane è connaturale la monarchia tradizionale; al deismo, che nega la Provvidenza e per il quale Dio non governa le cose umane, corrisponde la monarchia costituzionale parlamentare; il panteismo, che nega Dio come persona identificandolo con tutto ciò che esiste, vive e si muove, non concepisce altro governo che la repubblica; infine l’ateismo comporta l’anarchia. Storicamente la civiltà cristiana si è realizzata in una Europa interamente monarchica e “la religio regis, fu un fattore unificante della società medievale e della prima età moderna”. L’istituzione monarchica non fu allora ornamento superfluo, ma pilastro insostituibile. Veuillot: «È interesse dell’Avversario, non interesse della Chiesa e della società cristiana togliere la croce alla corona e la corona alla croce».
Veramente molto interessante.
RispondiEliminaSoprattutto attuale.
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