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domenica 9 giugno 2024

Agostino Sanfratello: in memoriam

Agostino Sanfratello con la moglie Jacqueline Amidi
a Piacenza nel 2015
L’amico Ivo Musajo Somma di Galesano, che ringraziamo, scrive per noi questo commosso ricordo di Agostino Sanfratello, scomparso lo scorso 28 maggio. Vi invitiamo a leggere anche il bellissimo articolo che gli ha dedicato Roberto de Mattei su Corrispondenza Romana del 5 giugno. 

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Addio, Agostino, combattente del Re del cielo

Milano, 22 marzo 1968: mentre l’Università Cattolica è occupata dal movimento studentesco, un gruppo di ardimentosi forza il blocco e libera temporaneamente l’ateneo, non senza un duro confronto con gli studenti comunisti. L’operazione, che, portata a termine con ferma determinazione, era destinata a suscitare grande scalpore, era stata concepita e messa in atto da uno studente piacentino, Agostino Sanfratello, noto per aver dato vita in università a un gruppo molto motivato di studenti cattolici anticomunisti. Quell’estate stessa, all’inizio di settembre, Agostino avrebbe preso parte al convegno di Gazzada, voluto dal rettore Giuseppe Lazzati come momento di incontro e libera discussione: in quell’occasione, oltre a negare qualunque legittimità rappresentativa al movimento studentesco egemonizzato dalla sinistra, avrebbe richiamato senza esitazione i grandi temi ispiratori del suo gruppo, in particolare quello, centrale, della regalità sociale di Cristo e dell’idea di Cristianità, ossia, come ebbe a dire, «un mondo dove tutto sia ordinato perché nulla si sottragga alla signoria del trascendente». Chi lo conosceva e frequentava in quegli anni lo ricorda come un ragazzo pieno di carisma e dagli ampi orizzonti intellettuali, dallo sguardo penetrante e dall’aria un po’ ascetica, un leader nato, insomma, che non temeva mai il confronto con gli avversari, nonostante i pericoli (nient’affatto remoti) che esso poteva comportare; dalle foto, almeno per chi non lo conosceva allora, appare come una figura che ha allo stesso tempo qualcosa del contemplativo e qualcosa del legionario. In un momento in cui l’Università Cattolica si presentava come l’avanguardia della rivoluzione a Milano, Agostino vi aveva fondato un gruppo denominato CUAC, Comunità Universitaria di Alleanza Cattolica, costantemente impegnato in attività di contrasto, molto spesso anche fisico, ma senza dimenticare mai le prospettive fondamentali: «operare perché nella città dell’uomo si instauri l’ordine dall’opera al rito, dalla cultura al culto, dal sapere alla rivelata e tràdita sapienza, dalle costituzioni al regno eterno di Cristo».

Nella vicina Piacenza, nel frattempo, andava crescendo una realtà militante di giovani attiva fin dai primi anni Sessanta: un gruppo di amici che si riuniva sotto il patronato di San Giorgio e si dedicava alla formazione spirituale e culturale nella prospettiva di un impegno controrivoluzionario, tanto sul piano politico-culturale quanto su quello ecclesiale. La sede era in via Sopramuro, tra la Chiesa di San Giorgio in Sopramuro (detta comunemente San Giorgino) e la dimora del conte Carlo Emanuele Manfredi, membro della prima ora. Dall’amicizia profonda e dalla collaborazione tra Giovanni Cantoni (1938-2020), leader del gruppo di via Sopramuro, e Agostino Sanfratello, con il movimento universitario che a lui faceva riferimento, avrebbe mosso i primi passi la realtà associativa di Alleanza Cattolica. Le due personalità, quella di Cantoni e quella di Sanfratello, erano quanto mai diverse, e tuttavia, com’è stato ben detto, e come afferma chi li ha conosciuti in quegli anni, “felicemente complementari”; altri, con espressione non meno azzeccata, hanno parlato di una “coppia esplosiva”. 

Se la società italiana era sconvolta dalla contestazione, la Chiesa era a sua volta preda di fremiti sovversivi che si erano ampiamente manifestati già mentre il Concilio Vaticano II era in corso, per poi mostrarsi negli anni appena seguenti in tutte le loro conseguenze. In quel contesto, Agostino e i suoi amici presero contatti con un vescovo francese che si era distinto nella minoranza conciliare e mostrava di non volersi rassegnare, per quieto vivere o conformismo, o per una malintesa devozione alla Sede apostolica, a cambiamenti di cui poteva intravedere le conseguenze tragiche: si trattava, evidentemente, di mons. Marcel Lefebvre (1905-1991). Allo stesso tempo, venivano stretti legami intellettuali e personali con figure e ambienti che si collocavano a vario titolo sul fronte tradizionalista e controrivoluzionario. Mi limito a ricordare, per l’Italia, tra i tanti, l’intellettuale fiorentino Attilio Mordini e la coltissima poetessa Cristina Campo, attiva nell’ambito della resistenza liturgica; a livello europeo, per il tramite di mons. Lefebvre, furono soprattutto allacciati fruttuosi contatti con il variegato mondo del tradizionalismo francese, in particolare con Jean Ousset, punto di riferimento della Cité Catholique, prima, e, poi, dell’Office international, ma senza dimenticare altri grandi nomi come Jean Madiran, Gustave Thibon, Léon de Poncins e tanti altri. Col tempo, un significato tutto speciale e duraturo assunse, soprattutto per Cantoni, l’opera del teorico brasiliano della controrivoluzione Plinio Correa de Oliveira (1908-1995). 

Il secondo momento emblematico sul quale desidero soffermarmi riguarda la resistenza ecclesiale e liturgica negli anni sofferti del postconcilio: il 6 giugno 1977, dopo essere stato colpito dalla sospensione a divinis, mons. Lefebvre veniva accolto e ascoltato a Roma, in una circostanza storica che ha rappresentato un momento di svolta nella storia del tradizionalismo italiano. Grazie alla coraggiosa determinazione della principessa Elvina Pallavicini, e nonostante le pressioni in senso contrario esercitate dal Vaticano, il vescovo francese viene invitato a tenere una conferenza nel suo palazzo sul Quirinale e a dare la sua personale testimonianza sulla situazione della Chiesa cattolica dopo il Concilio. Sanfratello ebbe un ruolo determinante nell’organizzare la conferenza e il successivo ricevimento, al quale parteciparono quattrocento invitati, anche se le persone richiamate dall’evento furono un numero molto superiore. Tra gli ospiti, in prima fila, l’anziano mons. François Ducaud-Burget (1897-1984) che pochi mesi prima, nel febbraio del 1977, era stato tra i protagonisti dell’occupazione della chiesa parigina di Saint Nicolas du Chardonnet, un momento epico nella storia della resistenza liturgica durante il postconcilio. 

Mentre la barca di Pietro attraversava acque tempestose, in attesa di una “nuova primavera” che tardava a venire, l’influenza del comunismo e la scristianizzazione della società procedevano inesorabili: era una chiamata alle armi per Agostino e i suoi amici, che nel 1971 avrebbero formalmente aperto presso la Corte di Cassazione le pratiche per avviare la raccolta di firme finalizzata al referendum contro il divorzio. In seguito lo scontro si sarebbe fatto ancora più duro con l’approvazione, nel 1978, della legge 194: in qualità di presidente di Alleanza per la vita, emanazione di Alleanza Cattolica, Agostino si sarebbe gettato anima e corpo nella battaglia antiabortista e alla fine di aprile del 1980, ancora a Roma, con il primo convegno internazionale per la vita, avrebbe colto un successo non trascurabile. Si tratta del terzo e ultimo episodio che intendo qui ricordare: al convegno avrebbe preso parte anche il genetista di fama internazionale Jérôme Lejeune (1926-1994), morto in odore di santità, di cui è in corso la causa di beatificazione. Agostino tenne l’intervento conclusivo: «Affidiamo l’esito del nostro combattimento e la buona causa della difesa del sangue innocente di tanti suoi figli, alla Beata Vergine Maria, chiedendo che ella ci ottenga la fortezza necessaria a ben condurre la buona battaglia».

I tre momenti emblematici che ho voluto sinteticamente ricordare – il blitz nell’Università Cattolica occupata, la conferenza romana di mons. Lefebvre e il convegno per la vita – sebbene concentrati nella prima parte del pellegrinaggio terreno di Agostino, dal 1968 al 1980, tratteggiano con efficacia la personalità di un combattente, un combattente del Re del cielo, generosamente, anche impetuosamente attivo sui fronti che in quegli anni erano più caldi e che ancora oggi lo sono: la battaglia politica e culturale contro il dilagare del progressismo e del nichilismo e nell’orizzonte della regalità sociale di Cristo; la reazione contro il nuovo corso del cattolicesimo durante e dopo il Vaticano II e la difesa della Messa di sempre (al di là della pia “ermeneutica della continuità”, il Sessantotto ecclesiale è stato non meno devastante di quello sociale e le sue conseguenze ultime le stiamo vivendo oggi); la difesa della società, a partire dalla famiglia e dalla vita nascente, contro l’aggressione di forze il cui strapotere da allora non ha fatto che crescere. 

La seconda parte della vita di Agostino lo ha portato a viaggiare molto e a vivere in luoghi diversi, da Roma, all’Italia meridionale, fino al Libano, per poi tornare in anni recenti a Piacenza insieme alla moglie Jacqueline: nella città d’origine, come al termine di un viaggio lungo un’intera esistenza, avrebbe ritrovato tanti degli amici di un tempo ad aspettarlo, proprio dove li aveva lasciati, nella vecchia via Sopramuro. Chi l’ha conosciuto solo in questo ultimo periodo non ha potuto fare a meno di ritrovare nel suo gusto per l’amicizia e la condivisione, nei suoi modi camerateschi, nella sterminata cultura e nel desiderio indomito di proseguire le battaglie di tutta una vita, i tratti di quella personalità fuori dal comune che lo aveva sempre contraddistinto. Le sue esequie sono state celebrate nell’oratorio di San Giorgino lo scorso 30 maggio, festa del Corpus Domini, quando il canonico don Grégoire de Guillebon lo ha ricordato con parole che sono il congedo più bello: «La grande semplicità di Agostino nascondeva un amore appassionato per la verità. Avendola cercata a lungo, la speranza cristiana ci permette di credere che ora la stia contemplando in tutto il suo splendore».

Ivo Musajo Somma

1 commento:

  1. Un grandissimo intellettuale e combattente, rimane però l'amaro in bocca che nè lui, nè i suoi amici abbiano scritto una contromemoria sul caso Braibanti. Purtroppo, per il grande pubblico, rimarrà come l'aguzzino del fratello. Sarebbe il caso di scrivere qualcosa a sua difesa, altrimenti questo ed altri articoli su di lui rimarranno solo nella cerchia di chi lo apprezzava

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