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mercoledì 15 maggio 2024

Qual è la vera bellezza?

Utili riflessioni sulla vera bellezza.
Luigi C.


Negli ultimi tempi si è avuta una vera e propria congiura contro la bellezza.
Si è detto che la bellezza o è inutile o che dovrebbe scaturire da un puro soggettivismo.
La cultura marxista, per esempio, ha affermato che la bellezza renderebbe indifferenti alle questioni più importanti, come per esempio quelle sociali.
Ciò è falso. La bellezza è strettamente legata al concetto di moralità e quindi a quello di giustizia.

Il bello dà espressione ad un concetto, rendendolo percepibile ai nostri sensi. Quando si osserva la bellezza, la percezione si amplia e si viene distolti dalle preoccupazioni individuali. Ma non solo. L’attenzione tende a rivolgersi verso l’esterno (altro che egoismo!), verso gli altri esseri umani, e così la contemplazione della bellezza diviene anche contemplazione di una bellezza morale; o, per dirla più precisamente, di una bellezza con implicazioni morali, cioè con implicazioni nel comportamento morale di chi la osserva e di chi la gusta. L’uomo, anche attraverso la sensibilità verso il bello, coglie il suo essere uomo e governa la sua istintività.

Veniamo adesso all’altra congiura nei confronti del concetto di bellezza, ovvero che essa scaturirebbe da un puro soggettivismo.

Il bello non solo non distoglie dal reale, ma è anche utile per “aprirsi” alla realtà. Ciò vuol dire che è anche una chiave della conoscenza della realtà stessa. Se non tutto ciò che è vero è bello (il dolore è vero ma non è bello, la morte è vera ma non è bella) certamente tutto ciò che è bello è vero.

La filosofia cristiana ha sempre tenuto fermo sul binomio verità-bellezza.

Sant’Agostino, nelle sue Confessioni, chiama Dio “Bellezza”. Così scrive nel libro X: “Tardi ti amai, o Bellezza divina, per me così nuova e così antica”.

San Tommaso dava del bello una definizione estrinseca, dicendo che bello “è ciò che visto, piace”. Ma -aggiungeva- si richiedono tre elementi all’oggetto affinché, visto, piaccia. Sono: l’integrità, la proporzione e lo splendore.

L’integrità: affinché una cosa sia bella, deve avere tutto quello che la natura della cosa richiede. Non è bello un volto privo di un occhio o del naso.

La proporzione: non basta che ci siano tutte le parti richieste dalla natura. Ci vuole anche quell’armonia senza la quale non c’è bellezza. Non è bello un uomo con il naso troppo grande.

Lo splendore: mentre l’integrità e la proporzione sono elementi “materiali” del bello, lo splendore ne è un elemento “formale”. Una cosa è bella anche se ha una sua chiarezza e un suo splendore che ne rendono piacevole la vista.

Questi tre elementi rendono il bello organico e non staccato dal reale, e quindi organico all’uomo, alle sue azioni, ai suoi affetti e al suo agire morale. Questa bellezza non chiude le porte all’altro, ma il contrario: dispone all’altro.

L’arte e l’estetica moderne –in parte- e quelle postmoderne –totalmente- si sono allontanate da questa prospettiva e perciò hanno considerato il bello come fine a se stesso, una sorta di cellula chiusa non comunicante con altro e che dovrebbe trovare il fondamento estetico in se stessa. E così la bellezza è diventata chiusura all’altro, è diventata incomprensibile ed è anche diventata paradossalmente bruttezza. Basta passeggiare in qualche museo di arte contemporanea per capire che, se non fosse per le etichette didascaliche, non si riconoscerebbe cos’è opera d’arte e cos’è semplice suppellettile.

Allora che fare?

Dinanzi al caos imperante, al disordine e alla bruttezza che sono state innalzate a punti di riferimento di una mentalità che ha il solo scopo di distruggere l’ordine naturale e l’oggettività della Verità, occorre riproporre la bellezza. Quella vera, però. Quella che è splendore della Verità! Quella che si può riconoscere qualora si conservi la capacità di stupirsi dinanzi al reale; e non credendo, invece, che il reale sia il frutto del nostro pensiero.

Ma non basta. Per riconoscere e sensibilizzarsi alla bellezza, occorre in un certo qual modo farsi “belli”, vivere in sé la bellezza, cioè avere in sé la vita della Bellezza per eccellenza, che è Dio, ovvero la Grazia.

Non è un caso che i bambini, che ancora non hanno perso l’innocenza, riescono più di tutti a riconoscere il bello e unificano naturalmente “bellezza” e “bontà”, “bruttezza” e “cattiveria”: spesso utilizzando come sinonimi “buono”-“bello” e “cattivo”-“brutto”.

Ed ecco perché qualsiasi bellezza creata non potrà mai raggiungere la più grande bellezza che il Signore ci ha donato: la Vergine Maria, la Tota Pulchra.

“Tutta Bella”, proprio perché piena di Grazia.