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Elenchi dei Vescovi (e non solo) pro e contro Fiducia Supplicans #fiduciasupplicans #fernández

Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

giovedì 11 aprile 2024

Noi stiamo con il Card. Sarah

Cari Amici,

da qualche, giorno, da quando sono apparse le ormai note anticipazioni circa le confidenze autobiografiche del Papa sul Card. Sarah (ved. qui), la cui nomina alla Congregazione del Culto Divino sarebbe stata un errore, perché il Cardinale sarebbe stato “manipolato da gruppi separatisti”, ci stiamo interrogando sul miglior modo di dimostrare pubblicamente la nostra solidarietà all’eminente Porporato, del quale chi scrive ricorda personalmente - per avervi assistito - la splendida prolusione tenuta al Convengo Sacra Liturgia di Londra nel 2016: quella, per intenderci, in cui il Cardinale invocò un ritorno generale alla celebrazione ad orientem (ved. qui, qui, qui e qui). Che la manipolazione subita dall’allora Prefetto consistesse in questo?

Ci è venuto in aiuto Sandro Magister, il quale ha pubblicato ampi stralci di un discorso tenuto dal Card. Sarah ai Vescovi del Camerun lo scorso 9 aprile: ritrovate qui di seguito il pezzo dell'illustre vaticanista. Quale miglior dimostrazione di solidarietà, quale miglior tributo, che farci anche noi diffusori del magistero del Cardinale? Un magistero che appare davvero illuminante nel dire le cose come stanno, senza circonlocuzioni e senza ambiguità più o meno gesuitiche, e, così, nello smascherare la torbidezza del clima ecclesiale nel quale è maturata l’idea che la nomina del Cardinale al Culto Divino sia stata un errore.

Di questo “errore” - peraltro tristemente neutralizzato prima dal palese sabotaggio dell’opera del Cardinale quale Prefetto, e, poi, dalle decisioni liturgiche assunte dopo la sua rimozione - vogliamo esser grati al Signore, confidando che il Card. Sarah continui a far sentire con luminosa chiarezza la sua voce, conservando sempre, col sostegno della nostra preghiera, il coraggio vieppiù necessario per dire alte e forti le verità che dispiacciono ai potenti.

Enrico Roccagiachini
Nel prossimo Sinodo sarà l’Africa a fare blocco contro i novatori. E il cardinale Sarah detta le linee guida

(s.m.) Nella prossima sessione del Sinodo mondiale dei vescovi, convocata da papa Francesco a Roma per ottobre, saranno i vescovi africani i più decisi a fare blocco contro le innovazioni propugnate da certi episcopati del Nord: diaconato femminile, preti sposati, nuova morale sessuale. Esattamente come già è venuta dall’Africa la più compatta resistenza alla benedizione delle coppie dello stesso sesso, autorizzata dalla dichiarazione vaticana “Fiducia supplicans” dello scorso dicembre.

A prevedere questa battaglia campale dei vescovi africani “in difesa della fede contro i fautori del relativismo culturale”, anzi, a ispirarla e a dettarne le linee guida è un autorevole cardinale anche lui d’Africa, Robert Sarah, già critico severo di “Fiducia supplicans”. È in visita in Camerun per una dozzina di giorni (vedi foto) e ieri mattina, martedì 9 aprile, ha tenuto ai circa trenta vescovi di quel Paese, nella sede della conferenza episcopale a Mvolyé, sul colle che sovrasta la capitale Yaoundé, l’impegnativo discorso programmatico riprodotto qui sotto nel suoi passaggi salienti.

Da Roma, dalla cerchia del papa e in particolare dal cardinale argentino Victor Manuel Fernández, prefetto del dicastero per la dottrina della fede e primo firmatario di “Fiducia supplicans”, si giudica la resistenza dei vescovi africani alle innovazioni come il portato di una loro arretratezza culturale, già poco elegantemente messa alla berlina nel 2014, in occasione del Sinodo sulla famiglia, dal cardinale Walter Kasper, all’epoca il teologo europeo più nelle grazie di papa Jorge Mario Bergoglio.

Nei prossimi giorni il cardinale Sarah sarà in Guinea, dove è nato 78 anni fa e dove è stato parroco in un villaggio della savana e poi vescovo a Conakry, la capitale, difensore indomito della libertà religiosa e civile in anni di spietata dittatura, anche a rischio della vita.

Forte di studi teologici a Roma e biblici a Gerusalemme, fu chiamato in Vaticano nel 2001 da Giovanni Paolo II come segretario della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Nel 2010 fu creato cardinale da Benedetto XVI, che lo volle presidente del pontificio consiglio “Cor Unum”, a sostegno dei popoli sofferenti. Il 23 novembre 2014 Francesco lo nominò prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, incarico da cui fu congedato il 20 febbraio 2021.

È autore di libri letti in più lingue, dal forte impatto spirituale, come si può notare anche nella parte conclusiva di questo suo discorso, contro “l’ateismo fluido” che pervade la società d’oggi e insidia anche la Chiesa.

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I vescovi d’Africa, i difensori dell’unità della fede
di Robert Sarah

Cari fratelli vescovi del Camerun, nella vostra coraggiosa e profetica dichiarazione del 21 dicembre sul tema dell’omosessualità e della benedizione delle “coppie omosessuali”, richiamando la dottrina cattolica su questo tema, avete servito grandemente e profondamente l’unità della Chiesa. Avete compiuto un’opera di carità pastorale ricordando la verità. […]

Alcuni, in Occidente, hanno voluto far credere che voi abbiate agito nel nome di un particolarismo culturale africano. È falso e ridicolo attribuirvi tali propositi! Alcuni hanno affermato, in una logica di neocolonialismo intellettuale, che gli africani non erano “ancora” pronti a benedire le coppie omosessuali per delle ragioni culturali. Come se l’Occidente fosse più avanti degli africani arretrati. No! Voi avete parlato per tutta la Chiesa “nel nome della verità del Vangelo e per la dignità umana e la salvezza di tutta l’umanità in Gesù Cristo”. Avete parlato nel nome dell’unico Signore, dell’unica fede della Chiesa. Quando mai la verità della fede, l’insegnamento del Vangelo, devono essere sottomessi alle culture particolari? Questa visione di una fede adattata alle culture rivela a qual punto il relativismo divide e corrompe l’unità della Chiesa.

Cari fratelli vescovi, questo è un punto che esige di essere custodito con grande vigilanza in vista della prossima sessione del Sinodo. Sappiamo che alcuni, anche se dicono il contrario, si apprestano a propugnare in esso un programma di riforme. Tra queste c’è l’idea distruttiva che la verità della fede debba essere recepita in modo differenziato a seconda dei luoghi, delle culture e dei popoli.

Questa idea non è che un travisamento della dittatura del relativismo, così fortemente denunciata da Benedetto XVI. Essa mira a consentire violazioni della dottrina e della moralità in determinati luoghi con il pretesto dell’adattamento culturale. Si vorrebbero permettere il diaconato femminile in Germania, i preti sposati in Belgio, la confusione tra sacerdozio ordinato e sacerdozio battesimale in Amazzonia. Alcuni esperti teologi nominati di recente non nascondono i loro progetti. E vi diranno con falsa gentilezza: “State tranquilli, in Africa, noi non vi imporremo questo genere di innovazione. Voi non siete culturalmente pronti”.

Ma noi, successori degli apostoli, siamo stati ordinati non per promuovere e difendere le nostre culture, ma l’unità universale della fede! Noi agiamo, secondo le vostre parole, vescovi del Camerun, “nel nome della verità del Vangelo e per la dignità umana e la salvezza di tutta l’umanità in Gesù Cristo”. Questa verità è la stessa ovunque, in Europa come in Africa e negli Stati Uniti. Poiché la dignità umana è la stessa ovunque.

Sembra che per un misterioso disegno della provvidenza siano ormai proprio gli episcopati africani i difensori dell’universalità della fede contro i fautori di una verità frammentata, i difensori dell’unità della fede contro i fautori del relativismo culturale. Eppure Gesù è stato esplicito nel mandato dato agli apostoli: “Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). È infatti a tutte le nazioni che gli apostoli sono stati inviati per predicare sia la fede che la morale evangelica.

Nella prossima sessione del Sinodo, è essenziale che i vescovi africani parlino nel nome dell’unità della fede e non nel nome di culture particolari. Nella precedente sessione la Chiesa d’Africa ha difeso con forza la dignità dell’uomo e della donna creati da Dio, ma la sua voce è stata ignorata e disprezzata da coloro la cui unica ossessione è compiacere le lobby occidentali. La Chiesa d’Africa dovrà presto difendere la verità del sacerdozio e l’unità della fede. La Chiesa d’Africa è la voce dei poveri, dei semplici e dei piccoli. A lei spetta il compito di annunciare la Parola di Dio a fronte dei cristiani dell’Occidente che, perché ricchi, si credono evoluti, moderni e saggi della saggezza del mondo. Ma “ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini” (1 Cor 1,25).

Non sorprende quindi che i vescovi dell’Africa nella loro povertà siano oggi gli araldi di questa verità divina di fronte alla potenza e alla ricchezza di certi episcopati d’Occidente, perché “quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono” (1 Cor 1,28).

Ma si avrà il coraggio di ascoltarli nella prossima sessione del Sinodo sulla sinodalità? Oppure dovremmo pensare che, nonostante le promesse di ascolto e di rispetto, non si terrà alcun conto dei loro ammonimenti, come già vediamo oggi? Dovremmo pensare che il Sinodo sarà strumentalizzato da coloro che, sotto la copertura dell’ascolto reciproco e della “conversazione nello Spirito”, servono un’agenda di riforme mondane? Ogni successore degli apostoli deve avere il coraggio di prendere sul serio le parole di Gesù: “Sia il vostro parlare: ‘Sì, sì’, ‘No, no’; il di più viene dal Maligno” (Mt 5,37).

Cari fratelli vescovi, a volte ci dicono che non abbiamo compreso lo spirito del Concilio Vaticano II che imporrebbe un nuovo approccio all’oggettività della fede. Alcuni ci dicono che il Vaticano II, senza cambiare la fede stessa, avrebbe cambiato il rapporto con la fede. Ci dicono che d’ora in poi ciò che è più importante per un vescovo è l’accoglienza degli individui nella loro soggettività piuttosto che l’annuncio del contenuto del messaggio rivelato. Tutto dovrebbe essere relazione e dialogo e dovremmo relegare in secondo piano la proclamazione del “kérygma” e l’annuncio della fede, come se queste realtà fossero contrarie al bene delle persone. […]

Credo che chiarire definitivamente questa questione sarà un compito importante degli anni a venire, e sicuramente di un futuro pontificato. In verità noi conosciamo già la risposta. Ma il Magistero dovrà insegnarla con una solennità definitiva. C’è dietro tale questione una sorta di paura psicologica che si è diffusa in Occidente: la paura di essere in contraddizione con il mondo. Come diceva Benedetto XVI: “Nel nostro tempo, la Chiesa resta un ’segno di contraddizione’” (Lc 2,34). Non è senza ragione che papa Giovanni Paolo II, quando era ancora cardinale, abbia dato questo titolo agli esercizi spirituali predicati nel 1976 a papa Paolo VI e alla curia romana. Il Concilio non poteva avere l’intenzione di abolire questa contraddizione del Vangelo riguardo ai pericoli e agli errori dell’uomo. Anzi, “era senz’altro suo intendimento accantonare contraddizioni erronee o superflue, per presentare a questo nostro mondo l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e purezza” (Benedetto XVI, 22 dicembre 2005).

Ma numerosi prelati occidentali sono paralizzati dall’idea di opporsi al mondo. Dal mondo sognano di essere amati. Hanno perso la volontà di essere segno di contraddizione. Forse una eccessiva ricchezza materiale porta a scendere a compromessi con gli affari del mondo. La povertà è una garanzia di essere liberi per Dio. Credo che la Chiesa del nostro tempo viva la tentazione dell’ateismo. Non l’ateismo intellettuale, ma questa condizione di spirito sottile e pericolosa: l’ateismo fluido e pratico. Quest’ultima è una malattia pericolosa anche se i suoi primi sintomi sembrano benigni. […]

Dobbiamo prenderne coscienza: questo ateismo fluido scorre nelle vene della cultura contemporanea. Non dice mai il suo nome ma si infiltra ovunque, anche nei discorsi ecclesiastici. Il suo primo effetto è una forma di sonnolenza della fede. Anestetizza la nostra capacità di reagire, di riconoscere l’errore, il pericolo. Si è diffuso nella Chiesa. […]

Che cosa dobbiamo fare? Forse vi si dirà che così è fatto il mondo e non vi si può sfuggire. Forse vi si dirà che la Chiesa deve adattarsi o morire. Forse vi si dirà che poiché l’essenziale è al sicuro bisogna essere flessibili sui dettagli. Forse vi si dirà che la verità è teorica ma che i casi particolari le sfuggono. Tante massime che confermano la grave malattia che ci attanaglia tutti!

Io vorrei invitarvi piuttosto a ragionare diversamente. Non dobbiamo cedere alla menzogna! L’essenza dell’ateismo fluido è la promessa di un accomodamento tra la verità e la menzogna. È la tentazione più grande del nostro tempo! Siamo tutti colpevoli di accomodamenti, di complicità con questa grande menzogna che è l’ateismo fluido! Fingiamo di essere cristiani credenti e uomini di fede, celebriamo riti religiosi, ma in realtà viviamo da pagani e non credenti. Non illudetevi, non si combatte con questo nemico, che finisce sempre per portarvi via. L’ateismo fluido è sfuggente e viscido. Se lo attaccate, vi intrappolerà nei suoi sottili compromessi. È come la tela di un ragno, più vi agitate contro di essa, e più si chiude attorno a voi. L’ateismo fluido è l’ultima trappola del Tentatore, di Satana.

Egli vi attira sul suo stesso terreno. Se lo seguite, sarete portati a utilizzare le sue armi: la menzogna, la dissimulazione e il compromesso. Fomenta attorno a sé la confusione, la divisione, il risentimento, l’amarezza e la faziosità. Guardate in che stato è la Chiesa! Ovunque non c’è che dissidio e sospetto. L’ateismo fluido vive e si nutre di tutte le nostre piccole debolezze, di tutte le nostre capitolazioni e compromissioni con la sua menzogna. […]

Con tutto il mio cuore di pastore, voglio invitarvi oggi a prendere questa decisione. Non dobbiamo creare partiti nella Chiesa. Non dobbiamo proclamarci i salvatori di questa o quella istituzione. Tutto ciò contribuirebbe al gioco dell’avversario. Ma ciascuno di noi può oggi decidere: la menzogna dell’ateismo non troverà più spazio in me. Non voglio più rinunciare alla luce della fede, non voglio più, per comodità, pigrizia o conformismo, far coabitare in me la luce e le tenebre. È una decisione molto semplice, al tempo stesso interiore e concreta. Essa cambierà le nostre vite. Non si tratta di andare in guerra. Non si tratta di denunciare dei nemici. Quando non si può cambiare il mondo, si può cambiare noi stessi. Se ciascuno umilmente lo decidesse, il sistema della menzogna crollerebbe da solo, perché la sua unica forza è il posto che gli facciamo dentro di noi. […]

Cari fratelli vescovi, offrendoci la fede Dio apre la sua mano affinché noi mettiamo lì la nostra e ci lasciamo condurre da Lui. Di che cosa avremo paura? L’essenziale è tenere fermamente la nostra mano nella sua! La nostra fede è questo legame profondo con Dio stesso. “Io so in chi ho posto la mia fede”, dice san Paolo (2 Tm 1,12). Di fronte all’ateismo fluido, la fede acquista un’importanza essenziale. È allo stesso tempo il tesoro che vogliamo difendere e la forza che ci permette di difenderci.

Conservare lo spirito di fede è rinunciare a ogni compromesso, è rifiutare di vedere le cose in altro modo che attraverso la fede. Significa tenere la nostra mano nella mano di Dio. Credo profondamente che questa sia l’unica fonte possibile di pace e dolcezza. Tenere la nostra mano in quella di Dio è la garanzia di una vera benevolenza senza complicità, di una vera dolcezza senza codardia, di una vera forza senza violenza.

Voglio anche sottolineare come la fede è fonte di gioia. Come non essere nella gioia quando ci siamo affidati a Colui che è la fonte della gioia? Un’attitudine di fede è esigente, ma non è rigida e tesa. Cerchiamo di essere felici mentre a Lui tendiamo la mano. La fede genera forza e gioia insieme. “Il Signore è mia fortezza, di chi avrò paura?” (Sal 27,1). La Chiesa sta morendo, infestata dall’amarezza e dallo spirito di parte, e solo lo spirito di fede può fondare un’autentica benevolenza fraterna. Il mondo sta morendo, divorato dalla menzogna e dalla rivalità, e solo lo spirito di fede può portargli la pace.