Ricordiamo il grande patrono della Svizzera nel giorno della sua festa.
Luigi C.
LE SEI LEZIONI DI SAN NICOLA DI FLUE, IL PATRONO DELLA SVIZZERA
Padre di dieci figli, combatte nell'esercito battendosi con la spada in una mano e il rosario nell'altra, poi la clamorosa chiamata a fare l'eremita e l'incredibile dono di non aver più bisogno di mangiare
da Santi e Beati
Nicola nacque nel marzo del 1417 nel piccolo abitato di Flùeli, sopra Sachseln, nella regione dell'Obwald. Nello stesso anno, l'11 novembre, il concilio che si svolgeva a Costanza, capoluogo della diocesi, poneva fine al grande scisma d'Occidente, suscitando speranze di riforma che sarebbero state però di breve durata.
Nella nuova costruzione europea che lentamente andava sostituendosi alla feudalità, la piccola Confederazione elvetica era alla ricerca di una propria identità e di un proprio ruolo all'incrocio delle grandi vie commerciali d' Europa. Le comunità montane e le borghesie cittadine erano interessate alla prosperità derivante dallo sviluppo dei traffici commerciali, ma le loro divergenti ambizioni politiche creavano antagonismi che giungevano spesso al limite della rottura. La vocazione di Nicola e il suo cammino alla ricerca di Dio si collocano dunque in un'epoca e in una terra attraversate da gravi crisi. Con la sua preghiera, l'influenza della sua presenza, la pace interiore che irradiava come risultato del suo abbandono a Dio, Nicola ottenne che comunità rivali e divise da interessi economici e politici giungessero ad accettarsi e a convivere su un piano di solidarietà.
Il cammino di Nicola presenta qualcosa di sconcertante. Cinquantenne, laico, sposato da venti anni e padre di dieci figli, ex soldato, contadino rispettato che poteva ritenersi pago del suo stato, magistrato e giudice impegnato negli affari del suo Cantone (ma che aveva abbandonato la carica per non essere riuscito a ottenere l'abolizione di una sentenza da lui ritenuta ingiusta), Nicola si lasciò condurre dalla chiamata di Dio là dove non avrebbe mai pensato di arrivare. La decisione presa fu il risultato di una lotta interiore, circa la quale egli fu sempre molto discreto: essa dovette pero essere dura, poiché Nicola la paragonò alla «lima che purifica e al pungolo che stimola».
LA CHIAMATA A DIVENTARE EREMITA
Un giorno, mentre pregava per chiedere a Dio la grazia di una fervida adorazione, vide una nuvola dalla quale uscì una voce che gli ordinò di abbandonarsi interamente alla volontà divina. Comprese allora che Dio, desiderando portare a termine in lui l'opera che aveva iniziato, lo invitava ad abbandonare la sua terra, i beni e la famiglia, per poter giungere fino a Lui. Egli chiese allora tre grazie: ottenere il consenso della moglie Dorotea e dei figli più grandi (il maggiore aveva allora 20 anni e poteva diventare capofamiglia, ma l'ultimo nato era di appena 13 settimane), non provare in seguito la tentazione di tornare indietro e infine, se Dio lo avesse voluto, poter vivere senza bere e mangiare. Tutte le sue richieste furono esaudite. Il 16 ottobre 1467, nella festa di S.Gallo, dopo aver salutato definitivamente Dorotea che egli avrebbe chiamato sempre «sua carissima sposa» e i figli, si pose in cammino, pellegrino dell'assoluto, «quasi volesse andare da solo nella miseria», come osservò Heini am Grund, un parroco delle vicinanze che sarebbe diventato suo confidente e amico. Voleva forse raggiungere una delle comunità degli «Amici di Dio» (Gottesfreunde) che fiorivano allora in Alsazia? È possibile, ma di fatto non arrivò oltre la piccola città di Liestal, nel cantone di Basilea: un contadino, al quale aveva parlato dei suoi progetti, lo persuase che in nessun luogo Dio lo voleva al suo servizio che non fosse in mezzo ai suoi. Umilmente Nicola accolse quel discorso come un segno. La notte successiva, mentre stava per addormentarsi, «vennero dal cielo una luce e un raggio che gli trafissero le viscere, come se un coltello lo avesse colpito». Sconvolto, ritornò con discrezione nei luoghi da cui era venuto, e decise di vivere in solitudine sullo scosceso prato del Ranft, all'estremità della foresta, in una valletta non lontana da casa sua. Dimorò in quel luogo per venti anni, abitando in una piccola cella fatta di assi, alla quale gli abitanti del villaggio aggiunsero ben presto una cappella.
LA FAMA DI SANTITÀ E IL DIGIUNO ASSOLUTO
Così, sorvegliato e protetto, Nicola si trovò a vivere nel deserto pur in mezzo ai suoi. Nulla lasciava allora immaginare il ruolo che avrebbe ben presto svolto a vantaggio del suo paese. Colpiti dalla fama della sua santità e anche dal suo digiuno assoluto (si nutriva solo dell'eucarestia, come fu verificato) ben presto molti ricorsero a lui per averlo come consigliere o arbitro. Fu grazie a questi incontri e a qualche breve lettera dettata alle autorità che lo avevano consultato, che Nicola trasmise il suo messaggio politico, che era quello di un operatore di pace secondo il vangelo. Per lui «in tutte le cose la misericordia vale più della giustizia», ed essa costituisce il miglior cemento per unire città e stati fra di loro. Nicola pone in guardia contro lo spirito di conquista, di guadagno e di possesso che genera solo risentimenti e conflitti. A lui, come ad estrema speranza, ricorse in tutta fretta Heini am Grund la notte fra il 21 e il 22 dicembre 1481 per cercare una parola di riconciliazione che potesse sia pure all'ultimo momento evitare una guerra fratricida fra i confederati. Senza l'intervento di Bruder Klaus la Confederazione elvetica non sarebbe sopravvissuta ai contrasti che allora la laceravano, e per questo Nicola è unanimemente venerato in Svizzera come «padre della patria», l'uomo che ne ha salvato le fondamenta nel momento più critico. «Sforzatevi di essere ubbidienti gli uni verso gli altri», scrisse alle autorità di Berna il 4 dicembre 1482, e aggiunse: «Custodite nel vostro cuore il ricordo della passione del Signore», rivelando così l'intima fonte della sua unione a Dio.
A un visitatore che gli chiedeva: «Come si deve meditare sulla passione del Signore?» Nicola rispose: «È buona qualunque via tu voglia scegliere», ma subito precisò: «Dio sa rendere la preghiera così dolce per l'uomo che questi vi si immerge come se andasse a ballare. Ma Dio sa anche far si che essa sia per lui come una lotta». E ripeté davanti al suo ascoltatore allibito: «Sì! Come se andasse a ballare!» Un altro eremita, venutosi a stabilire nelle vicinanze, avrebbe detto ammirato di Nicola: «Il mio compagno ha ormai varcato il Giordano. Io, miserabile peccatore, ne sono ancora al di qua».
AUTENTICO MISTICO
Nicola è «passato in Dio». Autentico mistico, nella sua solitudine si ritrova nel cuore del mondo, testimone di quella presenza divina da cui è irradiato. Non stupisce allora che non abbia più avuto bisogno di nutrimento, che la sua mirabile sposa abbia, condividendone la fede, accettato la sua assenza come compimento di una vocazione; che i suoi compatrioti l'abbiano chiamato «fratello» e che forze politiche pronte ad affrontarsi abbiano trovato alla sua scuola un modo di vivere in comunione di intenti nel rispetto delle reciproche libertà. Quello di Nicola fu il cammino di un'avventura interiore senza ritorno. Egli non conosce spiegazioni o distinzioni erudite: la sua conoscenza di Dio è quella del cuore, intima, non trasmissibile. Egli sa tradurre la sua esperienza spirituale solo nel linguaggio dei «sogni» simbolici, i cui elementi sono tratti dalle fonti bibliche e dagli archetipi e dalle tradizioni delle sue montagne. Nicola li confida solo ad alcuni amici particolarmente discreti, che li riferiranno dopo la sua morte.
Nel suo ritiro del Ranft, in una data che si può collocare fra il 1474 e il 1478, l'eremita ricevette da Dio una visione così intensa da restarne come annientato. Da allora, come confermano alcune testimonianze, «tutti coloro che lo avvicinavano erano presi da timore. Egli affermava di aver visto una volta una luce che lo aveva trafitto e nella quale si mostrava un volto d'uomo. Di fronte a questa visione aveva pensato che il suo cuore sarebbe scoppiato. Preso da spavento, aveva distolto lo sguardo e si era gettato a terra».
Quando Nicola, che non sapeva leggere, voleva mostrare il suo libro di meditazione, presentava una figura disegnata al centro di una grande ruota, dalla quale partivano dei raggi che rappresentavano le vie di abbassamento e di misericordia scelte da Dio per venire fino a noi, i diversi cammini di umiltà - l'incarnazione, la passione, i sacramenti - che ci rivelano la grandezza e la tenerezza divina. «Nicola - annoterà un visitatore - deve aver appreso alla scuola dello Spirito Santo questa figura della ruota che egli fece dipingere nella sua cappella e nella quale brilla lo specchio risplendente di tutta la divinità».
Nicola di Flùe morì nel suo eremo il 21 marzo 1487, all'età di 70 anni.
UN PROFETA IN PATRIA
Già mentre era ancora in vita Nicola fu considerato, dentro e fuori i confini della piccola nascente Svizzera, il santo della sua terra, un «profeta in patria». Per i suoi compatrioti, che non ebbero difficoltà a riconoscere in lui un saggio, un artefice di pace e un inviato di Dio, egli fu soprattutto uno di loro, un loro fratello: Bruder Klaus.
Nicola fu un montanaro dell'Unterwald e un attivo cittadino della giovane Confederazione degli otto Cantoni della Svizzera centrale, ma per la sua esperienza spirituale appartiene alla famiglia dei grandi mistici della Chiesa universale. I suoi contemporanei non si sbagliarono in questo e furono assai più colpiti da quanto emanava dalla sua persona che dal digiuno assoluto che egli osservò negli ultimi 20 anni della sua vita. Pur avendo conosciuto alcune delle opposizioni che inevitabilmente incontrano tutti coloro che prendono sul serio le parole del vangelo, la sua lotta fu sostanzialmente quella che tutti gli uomini alla ricerca di Dio conducono contro le oscurità, i dubbi e le contraddizioni che si manifestano dentro di loro. Così, rifiutandosi di circoscrivere la sua avventura umana nei limiti propri dell'uomo, Nicola si lasciò trascinare da Dio fino alla totale rinuncia di se stesso, con una progressione la cui originalità e austerità rimangono ancora oggi incomprensibili a molti. Un uomo che non sapeva né leggere né scrivere divenne così la più alta coscienza morale e spirituale del suo paese. Il suo radicale impegno in una vita di solitudine e di preghiera mise in evidenza come ogni alleanza umana, per essere solida, debba radicarsi nella pace che viene soltanto da Dio, poiché, come il santo amava ricordare, «Dio è la pace, e questa pace non potrà mai essere distrutta».
Il suo culto fu approvato da Clemente IX nel 1669. Venne canonizzato nel 1947 da Pio XII, che lo proclamò patrono della Svizzera. La più antica raffigurazione di Nicola è del 1492, cinque anni solamente dopo la sua morte. Il quadro fu commissionato per l'altare della chiesa di Sachseln, dove è sepolto. Nicola è raffigurato in piedi, scalzo, vestito del panno grezzo dei pellegrini e con il rosario in mano. La statua più antica, del 1504, oggi al municipio di Stans, conferma questa immagine del santo, ormai entrata nell'iconografia tradizionale.
La sua data di culto per la Chiesa Cattolica è il 21 marzo, mentre in Svizzera viene ricordato il 25 settembre.
Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente dal titolo "21 marzo, San Nicola di Flüe" si parla delle sei lezioni del santo elvetico.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Tradizione Famiglia Proprietà con la traduzione di Massimo Introvigne:
Nicola della Flue (1417-1487), figlio di poveri contadini del cantone di Unterwalden in Svizzera, pastore e padre di dieci figli, dall'età di 23 anni serve come capitano nell'esercito della Confederazione Svizzera, battendosi con la spade in una mano e Rosario nell'altra. Tornato a casa carico di decorazioni, rifiuta di assumere la carica di sindaco che gli è offerta, affermando che le sue umili origini non lo rendono adatto al ruolo. Accetta invece l'incarico di giudice, che esercita in modo esemplare per nove anni.
Dalla più giovane età e per tutta la vita è favorito da visioni celesti. Famosa è quella del giglio che esce dalla sua bocca e cresce fino al Cielo: ma mentre il santo lo contempla il giglio si accartoccia su se stesso, cade ed è divorato da un cavallo. Infine, con il permesso della moglie, si ritira a vita eremitica a Ranft, a poche miglia dalla sua casa, dedicandosi alla cura della sua anima, per lunghi mesi miracolosamente nutrito dalla sola Eucarestia che riceve una volta al mese. Ma è un eremita molto attivo: a lui vengono non solo pellegrini in cerca di consiglio spirituale ma anche i dignitari dei cantoni svizzeri in lotta tra loro che gli chiedevano di esercitare mediazioni in cui ebbe sempre successo. I pellegrinaggi alla tomba di questo santo nazionale della Svizzera continuano ancora oggi con grande fervore.
Propongo sei punti di meditazione.
PRIMO: LA TESTIMONIANZA DELLA DIGNITÀ DELLA VITA MILITARE
A quel tempo, come oggi, la Svizzera era uno Stato genuinamente federale, fondato sull'autonomia dei cantoni. Ogni cantone era quasi completamente indipendente, e l'autorità centrale della Confederazione era piuttosto vaga. Il rovescio della medaglia era che i cantoni si trovavano sovente in lite tra loro, anche perché per ragioni linguistiche i cantoni erano influenzati da poteri vicini: i cantoni di lingua francese dalla Francia, quelli di lingua tedesca dall'Austria e dalla Germania, quelli di lingua italiana da Milano e da altri Stati italiani. Queste dispute culturali e politiche spesso degeneravano in scontri militari.
Dobbiamo anche considerare che l'epoca di San Nicola della Flue è chiamata in Svizzera l'epoca militare. È in quel tempo che gli Svizzeri si rivelano grandi soldati e offrono truppe e guarnigioni a tutta l'Europa. Le guardie svizzere che ancora oggi servono il Papa sono il ricordo vivo di quella tradizione. È in questo scenario che anche San Nicola è chiamato alle armi, e partecipa alla guerra contro il cantone di Zurigo che si era ribellato alla Confederazione. Con il suo eroico comportamento San Nicola rende testimonianza alla dignità della vita militare.
SECONDO: IL ROSARIO SUL CAMPO DI BATTAGLIA
Immaginiamo quell'uomo valoroso sul campo di battaglia, con la spada in una mano e il Rosario nell'altra. È una bellissima scena di battaglia! Oggi colleghiamo immediatamente gli oggetti di pietà come il Rosario a qualche cosa di sentimentale. Chi collegherebbe oggi il Rosario a un guerriero? Al contrario per molti il Rosario è una cosa da vecchiette o da uomini imbelli e incapaci di combattere. Non è colpa del Rosario, che anzi subisce così una grave ingiustizia, ma di un sentimentalismo religioso che ha sovvertito il vero significato della preghiera cristiana.
TERZO: L'AMORE E IL RISPETTO PER LE GERARCHIE
È interessante meditare sull'atteggiamento di San Nicola quando rifiuta la carica di sindaco. Afferma: "No, sono di condizione umile e avrei difficoltà a esercitare la mia autorità su persone che per nascita sono in una posizione più elevata". Questa affermazione è incomprensibile oggi. Ma denota l'amore di San Nicola per le gerarchie: la sua comprensione del fatto che le gerarchie - certo diverse secondo i tempi e i luoghi - sono elemento essenziale di una società bene ordinata. Oggi vediamo piuttosto il contrario: a causa dell'egualitarismo che ci ha invaso talora si ritiene che una persona di condizione sociale più elevata non sia adatta a governare. Spesso alcuni governanti sono criticati perché sono di nascita nobile o di condizione sociale più alta della maggioranza dei governati. E spesso queste critiche vengono dall'invidia e dal rifiuto della nozione stessa di gerarchia, senza la quale però le società non possono sopravvivere.
QUARTO: LE VISIONI DI UN PASTORE, UN SOLDATO E UN GIUDICE
Nel mezzo della sua vita di laico San Nicola ha sempre avuto delle visioni. Consideriamo un pastore, un soldato e un giudice che, mentre si dedica alle occupazioni tipiche di queste posizioni, riceve delle visioni dal Cielo. Immaginiamo la scena del giudice Nicola della Flue mentre presiede il tribunale cantonale e ascolta le parti e gli avvocati. Mentre segue un'arringa, all'improvviso ci si accorge che il giudice ha uno sguardo lontano: è in estasi. Il suo volto è luminoso, contempla una scena paradisiaca. Si è distratto? Forse sì, ma le testimonianze attestano che quando la visione svanisce Nicola pronuncia parole di grande saggezza. Spesso le parti si riconciliano e il caso è risolto. Certo ai giorni nostri è difficile incontrare giudici di questo genere.
Possiamo anche immaginare il giovane Nicola pastore in un tipico paesaggio svizzero. Sullo sfondo le famose Alpi svizzere, coperte di una neve che al tramonto si vena di colori delicati, dal rosa all'azzurro. San Nicola suona il suo corno per radunare il gregge, ma si ferma a pregare prima di tornare alle stalle. In questo momento il Cielo si apre e mostra al santo le meraviglie del Paradiso e degli angeli. Una vita racconta che una volta il santo si ferma a conversare con Dio e un angelo porta il gregge nelle stalle in vece sua. Gli angeli, lo splendore primigenio delle montagne svizzere e l'anima purissima di San Nicola della Flue si compongono perfettamente in un quadro di rara bellezza. Un quadro davvero superiore!
QUINTO: NON DISPERDERE LE GRAZIE DELLA MEDITAZIONE
La visione del giglio che si reclina su se stesso ed è mangiato da un animale mostra come spesso la contemplazione è interrotta e, per così dire, guastata dalle preoccupazioni terrene. Dal momento che quando cerchiamo di meditare abbiamo tutti lo stesso problema, possiamo tutti prendere San Nicola della Flue come nostro santo patrono. Dobbiamo chiedergli di non disperdere le grazie della meditazione e di perseverare nei pensieri buoni. Ma è pure incoraggiante vedere che i santi hanno avuto i nostri stessi problemi.
SESTO: IL SANTUARIO DI SAN NICOLA
Meditiamo sul grande fervore che nel corso dei secoli il popolo svizzero ha mostrato nel pellegrinaggio verso la tomba di San Nicola della Flue e la cura che ha dimostrato nel mantenere e nell'abbellire il suo santuario. Lì possiamo vedere le sue decorazioni militari, e - cosa curiosa - anche quelle che i suoi discendenti diretti hanno conquistato sui campi di battaglia del mondo e donato al santuario. Con questa eccellente tradizione di famiglia, che è durata fino a non molti anni fa, i della Flue dichiarano che per loro è più glorioso discendere da un santo che mostrare le decorazioni che si sono guadagnate. È un gesto carico di significato.
CONCLUSIONE
Questi sono i punti della nostra meditazione ammirata su San Nicola della Flue. Anche se non siamo soldati, dobbiamo chiedergli la grazia di saperci sempre battere - nelle difficili battaglie, non necessariamente militari, in cui siamo impegnati oggi - con la spada in una mano e il Rosario nell'altra.
HITLER DECISE L'INVASIONE DELLA SVIZZERA, MA UN SANTO LO FERMO'
San Nicola di Flüe bloccò i carri armati e gli aerei tedeschi con un miracolo (testimoniato da migliaia di soldati elvetici)
di Rino Cammilleri
Titolo originale: San Nicola di Flue Padre di famiglia ed eremita
Fonte: Santi e Beati